Chiara Scalco: Mai come negli ultimi anni abbiamo cambiato, trasformato, rivisto le nostre abitudini di vita. Quali conseguenze hanno portato queste trasformazioni nella tua attività e nella progettazione di nuovi prodotti e sistemi?
Giorgio Biscaro:
Sicuramente la casa per cui progetto e gli stili di vita che questa ospita sono diventati più fluidi: un’esperienza diretta, la mia, che viene corroborata dall’attuale e riconosciuto modello abitativo che sta al centro delle indagini progettuali di chi si occupa di design. In conseguenza alla variazione degli schemi vita/lavoro (un’onda lunga che nasce con l’adozione sempre più universale e agevole di strumenti che trasportano molte attività-funzioni fuori dal loro contesto d’origine e non le relegano al solo luogo loro originariamente deputato, come nei casi di un ufficio domestico, il food delivery, la palestra in casa, la D.A.D. ecc.) abbiamo assistito alla concretizzazione di alcune audaci anticipazioni sociologiche di fine secolo che prefiguravano appunto un nuovo modo di vivere degli ambienti domestici estesi e liquidi, meno legato a schematizzazioni retaggio di ruoli sociali e rapporti interpersonali fortunatamente ormai desueti. In nome di questa fluidità, quindi, il progettista è chiamato a dare corpo all’immagine di una casa mutevole, chimerica, svincolata e a volte destrutturata per assecondare il più possibile gli stili di vita più diversi e le esigenze più singolari che stanno emergendo: questa è una continua occasione di effettuare una sorta di evoluzione degli archetipi, cosa che negli ultimi anni è diventata esercizio pressoché assodato e a cui mi dedico in occasione di ogni nuovo briefing.

C.S.: Per tutti, al primo posto oggi c’è il benessere e l’innalzamento del comfort domestico. Come i tuoi progetti concorrono a migliorarlo e quali sono gli aspetti da tenere in considerazione per vivere in luoghi sostenibili, sicuri e confortevoli?G.B.: Potrei rispondere elencando molte caratteristiche quantitative che riguardano il calore della luce, l’ergonomia di uno schienale o la ruvidità di un rivestimento, eppure sono convinto che i prodotti di oggi debbano semplicemente smettere di essere “oggetti qualunque”, intercambiabili, come se non facesse alcuna differenza sceglierne uno piuttosto che un altro: gli oggetti hanno un valore che va oltre alla materia di cui sono fatti e come questa è disposta, un contenuto valoriale che va esplicitato e celebrato. Si commenterà che l’assuefazione del pubblico a un pervasivo (e spesso ingiustificato) storytelling ha d’altronde generato un brusio che impedisce di far emergere i contenuti importanti e progettualmente rilevanti del prodotto. Eppure anche qui risiede il suo comfort: essere consci di ogni aspetto del progetto, e aumentare la cultura progettuale non già nei professionisti ma nei consumatori aiuta a dare valore al prodotto di qualità, lo rende meno transeunte e intrinsecamente permette di consumare meno ma molto meglio. Ecco, credo che il benessere domestico passi anche per il valore (reale) che possiede ciò che scegliamo perché ci circondi. Alle aziende con cui lavoro chiedo quindi di porre l’accento soprattutto sull’identità del prodotto: voglio che ne vengano veicolati i valori, che attraverso le sue superfici, i suoi colori, il suo nome traspaia tutto il mondo che gli ho immaginato accanto con le sue ispirazioni, culture, immagini, profumi. Credo che questo, ai propri progetti, un designer lo debba proprio.

C.S.: La tecnologia è uno dei fattori di grande cambiamento delle nostre vite. Una tecnologia che ha rivoluzionato i luoghi più privati trasformando in parte le funzioni tradizionali e cambiando le regole del gioco. Come questo tema ha condizionato il tuo lavoro?
G.B.: La tecnologia, nella sua accezione informatica e informazionale, permea ormai quasi tutti gli ambiti del nostro vivere quotidiano. In risposta ai già citati spostamenti di funzione, il luogo dell’abitare si è trasformato in una grande cornice per il dispositivo dedicato all’acquisizione di informazione - lo smartphone - al quale ci rivolgiamo ormai in un incessante flusso di uscita e di entrata, delegando alla casa il ruolo di semplice agevolatrice o azionatrice di queste bulimiche operazioni di espansione di conoscenza. C’è un’ulteriore aspetto della tecnologia, che svolge un ruolo più attivo nella modificazione degli spazi domestici e non: Big Data, AI, IoT e domotica stanno per confluire in un sistema complesso, in cui l’utente non è più chiamato ad azionare leve metaforiche o fisiche per ottenere una funzione; al contrario, quell’utente sarà a sua volta visto come un insieme di informazioni che possono in misura più o meno consistente influire sul comportamento di un oggetto, se non nella stessa sua geometria. Sedute che reagiscono alla prossimità di un utente modificando l’altezza del sedile in relazione alle sue misure corporee o che variano l’inclinazione dello schienale per assecondare dei difetti posturali non sono più pittoresche vestigia della cultura space-age, ma una realtà. Una realtà seamless in cui inoltre l’interfaccia sparisce: utilizzare la tecnologia IoT per dare ai prodotti la spontanea capacità di assecondare l’utilizzatore in modo autonomo abbattendo la pesante barriera esperienziale degli oggetti pre-digital sarà per me la sfida progettuale più eccitante dei prossimi anni. Sfortunatamente per le aziende che si occupano di tecnologie produttive, la tecnologia informatica è ancora un tabù, anche per via dei grandi investimenti che la sua implementazione comporta, ed è difficile iniettare questo tipo di know-how in realtà medio-piccole, ma è un àmbito che da sempre mi appassiona personalmente e che cerco di approfondire il più possibile in modo da progettare in maniera consapevole quando l’accessibilità a queste tecnologie sarà maggiore.

C.S.: Stare bene all’interno di un ambiente nel quale trascorriamo molto tempo come quello domestico vuol dire anche circondarsi di cose belle, di superfici e materiali in equilibrio formale, di oggetti amici. Dal punto di vista estetico quali sono le scelte che stai portando avanti e i trend secondo te più attuali?
G.B.:
Nel corso degli anni ho avuto la fortuna di lavorare a stretto contatto con aziende dall’ottima reputazione e per questa ragione non sono un grande sostenitore dei “trend”: nel momento in cui il prodotto arriva sugli scaffali, l’idea che lo ha generato ha già circa un anno, un po’ tardi per fare avanguardia. Diventa quindi importante capire bene non dove siamo, ma dove andremo. In questo senso, è impossibile slegare la produzione culturale di una civiltà dalla sua storia e quest’ultimo periodo, con la (forzata) riscoperta del valore del benessere abitativo, è certamente emblematico. Come già accaduto in passato, insomma, periodi di grande stravolgimento portano a reazioni psicologiche profonde; il progetto non sfugge a questa logica e credo che alcune tematiche potrebbero ripresentarsi. Per esempio, aver combattuto a lungo un nemico invisibile potrebbe portare a rifugiarci in una dimensione dove l’esplicitazione ostentata degli oggetti e delle loro funzioni ci illuderà di avere maggior padronanza dell’ambiente che ci circonda. Sparirà il compiaciuto piacere che avevamo provato negli anni ’90 per l’oggetto misterioso, allora importante per rimarcare la propria unicità, status e peculiarità esistenziale, e preferiremo oggetti archetipici. Anche la riscoperta delle icone del passato (e chi ne ha, del presente?) e il citazionismo saranno un espediente utile a ricordarci solide e affermate certezze. L’estetica artificiale lascerà presumibilmente il campo al naturale, perché più facilmente vicino alla nostra esperienza di vita, privilegiando tecnologie wabi-sabi, la cui imperfezione è sinonimo di autenticità e onestà semantica. Ma non avendo il dono della preveggenza, potrei azzardare che assisteremo a una recrudescenza di Grigio Tortora.