Pretziada è uno studio creativo con sede nell’isola di Sardegna che promuove il patrimonio di un territorio attraverso diversi progetti dedicati al ruralismo contemporaneo. Con questo termine si intende qualsiasi azione che contribuisca a plasmare la traiettoria futura dell’isola in modo sano e inventivo, senza piegarsi alle esigenze e alle aspettative del mondo esterno. Kyre Chenven, californiana di origine, e Ivano Atzori, milanese di nascita, si sono trasferiti nell’angolo sud- occidentale della Sardegna nel 2016 per iniziare a lavorare con gli artigiani alla rivitalizzazione dell’artigianato locale. Kyre ha lavorato per anni come scenografa a New York, mentre Ivano proviene dal mondo dei graffiti e dell’arte contemporanea. La ricerca e la narrazione sono al centro di questo progetto con un lavoro costante nel creare opportunità per i residenti temporanei così che possano assorbire il più possibile dalla cultura locale. La collezione di oggetti di design è il frutto dell’incontro tra creativi internazionali e artigiani locali. Ogni pezzo è un omaggio alla storia ea ll’iconografia della Sardegna, realizzato con cura e attenzione ai dettagli.
Pretziada è un progetto interdisciplinare che unisce i mondi del design, dell’artigianato, del turismo, ma soprattutto è un progetto che ha base in Sardegna. Come nasce tutto questo e che cosa significa Pretziada?Pretziada vuol dire preziosa, o prezioso in sardo. Per ripercorrere la storia di questo studio creativo è necessario fare un passo indietro. Io e Kyre arriviamo entrambi da professioni e mondi che possiamo definire estremamente contemporanei. Negli anni in cui vivevamo negli Stati Uniti Kyre lavorava nel campo della scenografia e della fotografia di moda, mentre io mi aggiravo nel mondo dell’arte contemporanea. Dopo un lungo periodo trascorso tra New York e Milano, abbiamo sentito la necessità di iniziare una nuova fase; chiudere un capitolo e iniziare qualcosa di nuovo anche se non è facile trovare il coraggio di rinnovarsi, soprattutto quando implica stravolgere la propria vita. È anche vero che noi avevamo acquisito delle competenze che erano ormai piuttosto solide e che ci hanno spinto a voler alterare l’attuale lettura della geografia. Volevamo, in un certo senso, annientare l’idea diffusa di un centro dove accadono le cose, e viceversa applicare un pensiero in cui esse accadono se c’è qualcuno a farlo avvenire. I centri possono essere molteplici e sono le persone a decidere dove posizionarli. È stato un esercizio difficilissimo, in particolar modo per la Sardegna, un’isola che rappresenta le mie origini, ma a entrambi affascinava l’idea di una zona remota, un luogo circondato dal mare. Questa era la scommessa, creare dei ponti immaginari tra un territorio e la terra ferma, all’interno di una zona di cui vedevamo il potenziale.
Questo passaggio in quali anni è avvenuto?
Pretziada nasce 7 anni fa. Ma già quando eravamo a New York ci ponevamo molte domande profonde sul nostro futuro. Funzionavamo come coppia e abbiamo pensato che fosse una buona idea dare vita a qualcosa di nostro, indipendente, e così abbiamo strutturato questo progetto che è molto legato alla collettività.
I vostri lavori sono caratterizzati da una notevole ricercatezza per quanto riguarda i materiali utilizzati implicando l’aiuto di artigiani esperti. Nel vostro caso l’inclusione di queste figure è parte integrante del processo creativo, che consiste nel coinvolgere artigiani locali e metterli in relazione con i designer. Credo che questo sia il fulcro del progetto, dare risonanza a luoghi e persone, guardare l’isola non soltanto come una meta turistica, ma sostenere e credere in una realtà che ha tanto da offrire. Potete raccontarci il processo che c’è dietro a tutto questo?
Abbiamo cercato di dar voce all’artigianato, al design, al territorio e alla sua contemporaneità, considerando il nostro lavoro su un piano orizzontale. Creando delle connessioni immersive reali tra i creativi, che vengono qui, e i laboratori artigianali. È realmente nostra necessità dare la stessa luce ai singoli partecipanti di questo progetto corale, dove tutti intervengono con le loro competenze, pensieri, difficoltà per poi raggiungere l’obiettivo finale: creare un pezzo da aggiungere alla collezione che possa omaggiare il territorio e permettere una identificazione da parte di un’intera popolazione.
Quindi il progetto prevede l’accoglienza per i designer che desiderate coinvolgere?
I creativi vengono accolti e accompagnati nel territorio attraverso una traduzione culturale. È fondamentale che ci sia una direzione artistica, una comprensione del linguaggio, della cultura, degli ideogrammi. La Sardegna è caratterizzata da consistenti sovrapposizioni culturali che rimandano alla Palestina o al Marocco, per esempio. Oggettivamente questa terra è stata luogo di visita dal tempo nuragico e non è immediato instaurare un contatto con essa.
Questo numero è dedicato a due materiali importanti nel mondo del design, la ceramica e la pietra. Abbiamo visto che nelle vostre creazioni appaiono spesso. In Sardegna la pietra è un materiale importante, simbolico, che rappresenta gran parte della memoria del territorio. Qual è il vostro rapporto con questo materiale?
La pietra è un elemento che effettivamente ha una storia molto lunga in Sardegna, ovunque sono disseminate sculture o strutture architettoniche monolite. Stiamo parlando di un materiale che ha trattenuto in sé il tempo e la narrazione del territorio, si tratta di qualcosa di molto profondo e complesso che accompagna l’umanità da millenni ormai, fino ad arrivare poi a rappresentazioni artistiche come quelle di Pinuccio Sciola che attraverso delle opere scultoree ha reso possibile che la pietra possa riprodurre dei suoni. La pietra è molto più spirituale e teatrale di quello che si possa immaginare. È un elemento costante, che ha dato un tetto e delle pareti all’umanità, dei recinti agli animali, e in generale ha consentito la crescita dell’uomo e del suo fabbisogno.
In che modo avete tradotto questo materiale arcaico in oggetto di design?
La pietra è arcaica ma è anche fuori dal tempo. Quando proponiamo ai designer le immersioni nel territorio, creiamo per loro degli appuntamenti nei siti archeologici dove ovviamente la pietra diventa protagonista. È un elemento che costringe a porsi delle domande sul tempo passato, presente e futuro. Andrea Branzi, ad esempio, ha creato delle scatole di metallo che sembrano dei palchi teatrali, dando l’idea di contenere qualcosa anche se di fatto non accade. Con la collezione Immortale, Branzi ha creato qualcosa di metafisico, e quando venne in Sardegna per una sua mostra al Museo Nivola, capii immediatamente quale fosse il ruolo della pietra nell’isola e l’importanza che avesse per la comunità. Lo stesso è accaduto sia nella collaborazione con Studiopepe, che in quella con P.A.M. Perks and Mini, insieme a CP Basalti, un lavoro quest’ultimo, in cui l’antica simbologia del monolite viene contaminata dall’incisione di un QR code che rimanda a un soundtrack dove sono stati registrati suoni naturali e antropologici del territorio. Quando abbiamo esposto questo lavoro a Milano è stato fonte di discussione: “è design o non è design?”.
In fondo è questo quello che cerchiamo: il confronto.
Come avviene la collaborazione con la popolazione locale e che rapporto si crea con il designer?
Abbiamo imparato a instaurare un rapporto di fedeltà con i laboratori artigiani e fino ad oggi la risposta è stata eccellente. L’età media dei nostri collaboratori è molto alta e non sembra che ci sia nell’aria un cambio generazionale. Il rischio è che possa scomparire un intero comparto che è lontanissimo dal pensiero industriale attuale, trattandosi di qualcosa di puramente artigianale. Pretziada vuole mettere in allarme, ma anche essere d’ispirazione, comunicando il limite di essere una piccola realtà che non può soddisfare mercati ampi ma al contempo che desidera trasformare queste caratteristiche in un punto di forza, costruendo rapporti in giro per il mondo e curando il dettaglio di ogni realizzazione seppur limitata a pochi pezzi.
Pensate che le prossime generazioni sentano l’esigenza di fare un passo simile al vostro?
Notiamo tuttora moltissima paura, perché le città offrono ancora una sensazione di sicurezza. Fare una scelta come la nostra richiede piani di vita molto chiari e una volontà di voler cambiare le cose, insieme ad un pizzico di poesia. In città, a Milano come a New York, eravamo sempre circondati da comunità e persone che avevano la nostra stessa visione e sensibilità, ma all’interno di questi piccoli circuiti elitari non nasceva mai un pensiero critico sui nostri modelli di vita. In Sardegna abbiamo il vantaggio di scambiare pensieri e idee con una comunità molto diversa da noi e questo è un elemento che arricchisce moltissimo. È sicuramente complesso, però se c’è entusiasmo, si tratta di una grande opportunità.
Detail of one of Luxi Bia’s exterior lights.
Photo by Studio Vetroblu
Potete raccontarci qualcosa in più della realtà di Luxi Bia? È il posto in cui vivete, dove ospitate i creativi, ma è anche un luogo di accoglienza per qualsiasi visitatore voglia sperimentare una Sardegna più autentica.
Quando ci siamo trasferiti a Santadi abbiamo sentito una grande responsabilità nel proseguire un racconto fatto di forme, muretti a secco ed elementi naturali. Abbiamo cercato di inglobare tutto questo in un concetto più ampio che è quello dell’architettura, fatto di tegole, travi, terracotta, intonaco. Nel 2015 siamo riusciti ad acquisire un borgo di contadini, chiamato furriadroxu in sardo, in stato di abbandono dagli anni Cinquanta. E da lì in poi ci siamo dedicati a creare un luogo contemporaneo, che mette in dialogo le tecniche costruttive della zona con un uso dello spazio attuale. È una continuazione del discorso che facciamo con Pretziada, dove ogni scelta ha una sua storia, e una sua origine specifica. Così facendo Luxi Bia è stata un’opportunità per mostrare il proprio progetto all’interno di uno spazio abitativo reale. Far dialogare la nostra collezione con un luogo che ospitasse anche altre aziende di design con le quali poter creare delle melodie.
Attualmente a quali progetti state lavorando?
A settembre presenteremo due nuovi collezioni. La prima – che contempla due oggetti un armadio e un pensile – vuole dare voce al connubio lavorativo tra Le Corbusier e Costantino Nivola, dopo il loro incontro avvenuto negli Stati Uniti alla fine della seconda guerra mondiale, cercando di portare alla luce il legame di Nivola con la Sardegna, un mondo arcaico fatto di figure legate anche alla dea madre, e la necessità di Le Corbusier di parlare di modernismo. La seconda è una collezione di letti che si rifà tantissimo alla pasticceria tradizionale sarda, poiché in Sardegna ci sono dei linguaggi visivi che partono dalla ceramica per poi passare alla tessitura, arrivando all’intaglio del legno per poi tornare al cibo. L’isola ti permette di fare questo, di plasmare ogni settore e di unire tutto in unico fil rouge molto riconoscibile a livello di mappatura geografica. In questa terra tutto sembra circolare, come lo sono le corti del bestiame. Si dice che anche i nuraghe fossero circolari perché l’angolo veniva percepito come un’interruzione e per questo motivo la circolarità è rimasta integra. Poi mi sembra che l’angolo come concetto architettonico sia venuto fuori con i Fenici e prima di allora l’architettura, come anche il ballo nativo di quest’isola, era tundu.
Photo by Studio Vetroblu