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Self Portrait with World Center Trade Center, 1979 Photography by Tseng Kwong Chi, © 1979  by Muna Tseng Dance Projects, Inc., New York NY. Courtesy Galleria Carla Sozzani 

Un imprevisto, un equivoco, apparire cosa non si è e poi diventarlo. In un lontano giorno del 1979 Joseph Tseng divenne un altro, altro che incarnò il suo io per il resto dell’esitenza, anticipatamente interrotta nel 1990 a soli quaranta anni. La scena è quella di un ristorante di Manhattan, di quelli un po’ retrò in cui vige ancora l’obbligo del dress code: ‘suit and tie’. Tseng, originario di Hong Kong, ma figlio di un soldato dell’esercito nazionale che aveva combattuto contro i rivoluzionari della Cina comunista, indossa una giacca in stile Mao e viene fatalmente scambiato per un ambasciatore del governo cinese, meritevole del miglior trattamento destinato solo ai VIP. Da questo banale equivoco, degno delle migliori pochade francesi, nasce un ciclo di immagini in bianco e nero che Tseng comincerà a scattare per tutta l’America e il mondo. “East meets West” è il titolo che raccoglie questa serie di fotografie in cui Tseng, travestito da anonimo visitatore del governo cinese, esplora, sfrutta e ridicolizza gli stereotipi occidentali nei confronti del mondo asiatico. Con aria marziale, giacca maoista e occhiali da sole, Tseng posa di fronte ai luoghi simbolo dell’epica americana compiendo una sorta di ridimensinamento del gigantismo monumentale delle icone architettoniche che riprende: l’Empire State Building, le Twin Towers, la scritta “HOLLYWOOD” appesa sulla collina californiana, il monte Rushmore, il Golden Gate bridge di San Francisco; monumenti che perdono la loro grandiosità proprio perché profanati nella loro sacralità. Il procedimento seguito da Tseng è al contempo di matrice surrealista e pop. Non solo inserisce un elemento straniamente all’interno di immagini familiari, di monumenti impressi nell’immaginario e nella memoria collettiva, ma si spinge oltre creando un artificio prospettico: sovrappone al naturale dell’icona architettonica l’artificiale della figura umana che viene ripetuta identica e sempre uguale di fronte a ogni paesaggio: perdita dell’unicità, “decadenza dell’aura” e inizio del processo di riproduzione infinita tipico della Pop Art. Secondo la proprietà transitiva di omologia Tseng di fronte a questi paesaggi iconici diventa icona egli stesso: immagine esemplare dotata lui stesso di sacralità. Il percorso intrapreso da Tseng coinvolge fortemente anche gli aspetti politici della sua arte, basti pensare che le prime immagini risalgono agli inizi dell’era reaganiana e vanno dunque a scontrarsi con le tematiche della guerra fredda e della neo retorica anticomunista che caratterizzarono la politica americana degli anni ‘80 durante i due mandati di Ronald Reagan alla presidenza USA. Contro l’ignoranza diffusa nei confronti delle culture orientali dimostrata quotidianamente dal mondo occidentale Tseng propone una serie di immagini ironiche e stranianti che hanno mantenuto negli anni la loro carica provocatoria nel tentativo di esplorare e raccontare la difficile interazione tra individui e culture incarnando il ruolo di un paradossale ambiasciatore dell’arte.