architect: Massimo Alvisi

year: 2018

In occasione della 16. Biennale di Architettura di Venezia, Area incontra Massimo Alvisi e Junko Kirimoto, fondatori del gruppo di progettazione Alvisi Kirimoto, formato a Roma nel 2002, architetti che fanno della riqualificazione del paesaggio, della perpetua collaborazione con il cliente e dell'attenzione ai materiali la chiave della loro produzione artistica, al fine di accrescere la "qualità dello spazio".
“I sensi dell'utente devono essere stimolati dalla qualità dello spazio che li circonda. Creare spazio di qualità è il nostro intento" sostiene Massimo Alvisi, durante un breve colloquio nei giardini di fronte al Padiglione Italia.
R.C. Che cosa pensate del Padiglione Italia di quest'anno? Cosa emerge rispetto alle scorse edizioni?
M.A. Principalmente quest'anno il Padiglione Italia, curato da Mario Cucinella e dal titolo “Arcipelago Italia“, ha unito tre temi. Da un lato c'è l'idea di ripensare alle aree centrali della Penisola, concepite non solo come luoghi di bellezza ‘estinta‘, ma anche come spazi da costruire e ricostruire. Dall'altro, una profonda analisi della situazione attuale italiana è stata elaborata al fine di selezionare specifici luoghi che necessitavano di intervento. Dopodichè, il terzo punto è l'itinerario, interpretato similmente allo storico ‘Touring Club Italiano‘, come una guida emozionale e letteraria, oltrechè turistica, che fornisca indicazioni sui borghi italiani al fine di creare una sorta di ‘percorso dell'animo‘.

by MCA

R.C. D'altronde, siete stati chiamati a partecipare al Comitato Scientifico a supporto della ricerca delle aree strategiche per il rilancio dei territori interni del Paese. Ci domandavamo quali fossero i criteri adottati per individuare questi luoghi.
M.A. Il territorio italiano si compone di luoghi unici, uno diverso dall'altro. Insieme a Mario Cucinella, abbiamo pensato che la selezione dovesse partire dal grado di necessità di intervento, misurabile non solo dal punto di vista architettonico ed economico ma anche sociale. Ci siamo preoccupati di investigare quali luoghi italiani vivessero un forte disagio sociale, come ad esempio la località di Camerino, nelle Marche, la cui popolazione è costretta a vivere fuori dal centro urbano, nascosto ed inaccessibile, sebbene sia la parte più bella della città. Siamo andati a cercare quei luoghi in cui il disagio è culturale.
Un altro caso è rappresentato dalla città di Gibellina, in Sicilia, un progetto urbano non riuscito, forse perchè troppo ambizioso o troppo autoreferenziale, dove, anzichè abbattere, si crede sia opportuno ricollegare, riconnettere il tessuto agricolo a quello urbano. In questo contesto, l'opera dell'architetto Pietro Consagra ci è sembrata un ottimo connettore tra spazio agricolo e realtà urbana, essendo stata la richiesta degli abitanti di Gibellina quella di riavviare il tessuto economico della città.
Altro oggetto di interesse del Padiglione Italia è la Sardegna. Qua si è sviluppato il tema della salute, espremibile non solo attraverso la progettazione di ospedali o cliniche mediche, bensì tramite un disegno urbano che sia di supporto ospedaliero. Esistono infatti due tipologie di pazienti: coloro che hanno bisogno di una cura medica, dunque necessitano di un'apposita struttura, e coloro che sono malati cronici e richiedono cure provenienti dalla città stessa e dalle architetture che la compongono.
Deve essere la città dunque a prendersi cura del malato e più in generale del cittadino.
R.C. In quanto tutor nell’ambito di Casa Italia, si è dovuto impegnare nella scelta di città in cui operare. Come è avvenuta invece questa selezione?
M.A. Anche stavolta, la scelta non si è orientata verso quelle città più deboli a livello sismico, ma carenti dal punto di vista sociale, ovvero quei luoghi che si stanno spopolando ed in cui lo spopolamento crea disagi all'architettura e al cittadino. Questo è un altro argomento su cui riflettere: qualora un luogo è disabitato, nessuno se ne prende cura.
Ciò interessa non solo i luoghi colpiti dal sisma ma anche i centri con molto turismo, come ad esempio il nucleo storico di Roma, in cui la moltitudine di strutture ricettive sono costantemente piene, ma vuote di persone che se ne prendono cura: edifici che vengono solo ‘sfruttati‘ senza essere messi in sicurezza.

by AlvisiKirimoto

R.C. Cosa vi augurate che questa esposizione trasmetta ai visitatori della Biennale?
M.A. Riguardo al ‘prendersi cura‘, vorremmo fornire strumenti amministrativi agli italiani in modo che possano dedicare tempo all'architettura.
Poi, essendo i borghi italiani affiancati da un sistema di belle architetture, talvolta emblematiche, vorremmo far riflettere più in generale sul paesaggio locale, inteso come un paesaggio che produce, che riporta in vita l'economia, riprendendo i principi del Palladio. Prendendo la Cantina Bulgari a Podernuovo in Toscana, essa rappresenta esattamente un progetto chiave, che racconta la relazione tra architettura e paesaggio industrializzato.
Inoltre, in occasione della Biennale, molti giovani progettisti si sono dilettati nella creazione di opere che esprimono idee innovative, soprattutto dal punto di vista programmatico, e ciò ha riportato in auge il progetto, mostrando come l'architettura sia fatta di vari componenti, quali il sociologo, l'ingegnere, l'architetto, lo psicologo, e dunque necessiti di un collettivo, al fine di far dialogare gli edifici con il luogo e con le persone che lo vivono.
R.C. Su cosa si suggerisce ai nuovi architetti di focalizzarsi ed orientare il proprio percorso professionale? Ci sono particolari accorgimenti che le giovani menti dovrebbero avere per produrre quell'‘architettura sensibile‘ di cui spesso si è parlato?
M.A. In quanto tutor sia del G124 che del comitato della Biennale, consiglio di saper ascoltare il luogo in cui si opera, ascoltare la realtà ed immedesimarsi nel sito, seppur respirando aria internazionale ovvero “pensare locale ma rivolgersi ad una dimensione extraterritoriale“. Reputo che i giovani progettisti debbano fare esperienza all'esterno, step necessario per poi poter tornare in Italia e far coesistere gli input internazionali con il proprio territorio.