Tra le nuove iniziative della 16. Biennale di Architettura, il Padiglione Vaticano sull'isola di S. Giorgio Maggiore, a cura di Francesco Dal Co, ha presentato dieci cappelle di dieci architetti da tutto il mondo. Tra i vari, ha partecipato anche lo studio di progettazione Flores i Prats, formato nel 1998 da Ricardo Flores e Eva Prats, dopo anni di collaborazione con Enric Miralles.
R.C. Raccontateci la vostra esperienza al Padiglione Vaticano. Quando ha avuto inizio la progettazione?
E.P. 
Nell’agosto 2017, Francesco Dal Co ha raccolto tutti i progettisti in loco per scegliere il sito di intervento. Il parco è costituito da diversi percorsi che si incrociano, di cui uno più lungo degli altri, e noi abbiamo scelto di collocare la cappella proprio accanto a questo, che va dal chiostro del Palladio alla laguna, lasciando alle spalle la città per immergersi nel mondo naturale. Il luogo ha contribuito fortemente alla definizione spaziale della cappella, che si presenta come un muro longitudinale costeggiante il percorso, o come un portale che, una volta oltrepassato, permette al visitatore di appartarsi e di entrare in contatto con la natura, gli alberi del parco e le acque di Venezia.
R.C. Che cosa è interessante di questa iniziativa?
R.F. 
L’iniziativa ha un grande valore perché riapre al pubblico uno spazio di proprietà del Vaticano, che negli ultimi anni era inagibile. La possibilità di offrire uno spazio verde ai cittadini ed ai visitatori della Biennale è sicuramente il punto più importante di questo progetto.
R.C. In che modo il vostro progetto si rapporta al tema religioso?
R.F. 
La cappella non è destinata ad un culto religioso specifico; bensì essa rappresenta un luogo di spiritualità, intesa come connessione con la natura, e permette all’uomo di allontanarsi dalla città e ritrovare sé stesso nel mondo naturale.
R.C. Quali sono le affinità con la Cappella nel Bosco di Erik Gunnar Asplund, linea guida assegnata da F. Dal Co?
E.P. 
Come suggerito da Francesco Dal Co, la Cappella di Asplund rappresenta un luogo di orientamento e di incontro all’interno del bosco. Questa è l’analogia principale che si può riscontrare tra il nostro progetto e quello dell’architetto svedese. Poi, entrambi i progetti mirano ad esprimere tranquillità, pace e sicurezza.
Dal punto di vista morfologico, il nostro intervento si discosta invece fortemente da quello scandinavo. Innanzitutto i due padiglioni sono situati in contesti naturalistici e geografici molto differenti, poi, mentre il primo è costituito da un elemento lineare immerso nella natura mediterranea, dove beneficiare delle temperature miti del luogo e stare all’aria aperta, il secondo è uno spazio circolare chiuso attorniato da vegetazione nordica, in cui trovare riparo dal rigido clima scandinavo. Il programma funzionale delle due architettura è anch’esso differente. La cappella di Asplund è un luogo che esprime tristezza, solitudine, ed è collocato all’interno di un cimitero, mentre il nostro progetto vuole trasmettere gioia, senso di comunità e di comunione con il cosmo.
R.C. Quali altre indicazioni fornitevi da Dal Co sono state utili all’elaborazione del progetto?
R.F. 
Non ci sono stati molti vincoli progettuali. Essenzialmente veniva richiesto di collocare un pulpito, un altare e di rispettare parametri dimensionali per cui la cappella doveva risultare piccola. La progettazione è stata perciò molto libera e si è consentito ai progettisti di sperimentare soluzioni differenti.
R.C. Così come in altri vostri progetti, ad esempio nella Sala Beckett, il colore gioca un ruolo fondamentale. A cosa è dovuta la scelta cromatica in questo caso?
R.F. 
La scelta del colore è legata al luogo. Ci siamo ispirati ai toni del cocciopesto, materiale edilizio tipico veneziano, utilizzato anche da Palladio e caratteristico della cultura architettonica locale. Inoltre, i toni del rosso si accostano molto bene con il verde delle chiome degli alberi del parco.
R.C. Da che cosa avete tratto ispirazione per il concept?
E.P. 
Il luogo è stato la nostra fonte di ispirazione principale, ma anche la visita di siti terremotati sparsi per l’Italia ha influito sul progetto. La vista di così tante rovine ci ha affascinato. Ci siamo accorti che molte chiese distrutte presentavano ancora parti intatte, come ad esempio il presbiterio, l’altare o la cupola, e dunque conservavano ancora un senso di spiritualità. Il nostro progetto vuole apparire proprio come una rovina, come un frammento murario di una chiesa che termina con una cupola.
La cupola è stata poi forata in un due punti strategici ad est, che lasciano passare la luce, e creano un gioco di riflessi lungo l’altare, aprendosi su tutti i lati ed esponendosi alle intemperie allo stesso modo delle rovine che avevamo osservato.
R.C. Ci sono stati riferimenti progettuali influenti per la scelta della soluzione finale?
R.F. 
Le cappelle religiose aperte del centro America, in cui avviene una comunione con l’ambiente naturale, sono state di riferimento per la morfologia del progetto. Volevamo che l’intervento comunicasse con la natura dunque si è preso spunto soprattutto da quelle architetture religiose in cui lo spazio esterno è complementare al progetto.
R.C. Come si è svolta la fase di costruzione? Quali metodi sono stati scelti?
E.P. 
I metodi di costruzione sono stati influenzati anch’essi dalla storia del luogo. Per quanto riguarda le fondazioni, si è voluto riprendere il metodo delle palafitte in legno veneziane, così come l’uso del laterizio rosso per la panca e del cocciopesto per la parte principale. La fase di costruzione è stata gestita soprattutto da Francesco Dal Co, il quale ha svolto anche la funzione di coordinatore tra progettisti e imprese di costruzione locali e, a partire da Febbraio 2018, siamo venuti sempre più spesso a Venezia per seguire l’andamento dei lavori.
R.C. Cosa pensate del risultato finale?
E.P.
 Credo che si tratti di un progetto riuscito. Il coordinamento da parte di Dal Co di progettisti provenienti da distinti Paesi del mondo è lodevole. Inoltre è sorprendente come la natura sia riuscita ad accogliere le diverse proposte, rendendo il parco più interessante da visitare. Il risultato finale è quello di un luogo che permette di vivere un’esperienza sensoriale che coinvolge tutti i sensi.

photo by Adrià Goula
photo by Adrìa Goula