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Morfologia urbana, clima ed energia

A differenza della pianificazione urbanistica modernista, che tende all’uniformità e alla ripetizione di oggetti semplici dalla grandi dimensioni, la morfologia delle città storiche combina un grado elevato di strutture frattali in scala (ossia il tessuto urbano presenta motivi complessi su scale diverse quando si ingrandisce o si riduce l’immagine) con numerose variazioni stocastiche (ossia un’irregolarità apparentemente casuale), senza essere mai del tutto ordinata o disordinata. La compresenza di ordine e disordine deve essere integrata nell’analisi, che non può ridurre la città a un assemblaggio meccanico di forme semplificate e ripetitive. In presenza di forme identiche, la luce solare disponibile o la velocità del vento, ad esempio, sono di gran lunga inferiori rispetto a configurazioni con altezze variabili degli edifici.

I fattori di forma
Per descrivere e modellare l’interazione del tessuto urbano con il clima e l’energia, la morfologia urbanistica utilizza fattori di forma.
I principali sono i seguenti:
Rapporto volume-superficie (rapporto tra volume degli spazi chiusi costruiti ed estensione della superficie di inviluppo).
Per un dato edificio, il rapporto volume-superficie indica la distanza media di un occupante dall’inviluppo. Si misura in metri lineari. Questo parametro fornisce informazioni sul potenziale di ventilazione e illuminazione naturale. Ha un impatto negativo sulle esigenze di riscaldamento nei paesi freddi, a meno che l’inviluppo non sia opportunamente isolato. È il contrario della compattezza volumetrica (S/V). I calcoli eseguiti a Londra, Berlino e Tolosa su campioni di tessuto urbano con dimensioni pari a 400 x 400 metri dimostrano che il rapporto volume-superficie è di circa 6 metri a Berlino, 4,62 metri a Londra e 4 metri a Tolosa. Gli edifici di Berlino, dunque, essendo più compatti e più grandi, hanno un minore potenziale passivo rispetto alle morfologie medievali che si trovano nel centro storico di Tolosa.

Volume passivo
Il volume passivo corrisponde allo spazio, entro i 6 metri dall’involucro, che beneficia di ventilazione e luce naturali. Si tratta di un parametro chiave per caratterizzare il potenziale che un edificio ha di utilizzare sistemi passivi (ventilazione e luce naturali, accumulo termico passivo). Esiste una correlazione inversa tra il coefficiente di volume passivo (percentuale di volume passivo rispetto al volume totale) e il rapporto volume-superficie. Il coefficiente di volume passivo è del 61% a Berlino, 77% a Londra e 84% a Tolosa. La complessa morfologia medievale del centro storico di Tolosa presenta un tasso decisamente più elevato di volume passivo rispetto alla morfologia massiccia e regolare della moderna Berlino. Di poco inferiori alle performance eccellenti degli edifici più antichi sono le configurazioni del XIX secolo, anch‘esse di gran lunga migliori sotto questo profilo rispetto alle strutture moderniste.

Questi dati dimostrano che una media pari a circa il 40% degli edifici nel moderno centro di Berlino non ha accesso alla luce e alla ventilazione naturali.
Variazione tra l‘altezza delle superfici e dei perimetri delle sezioni orizzontali.
La variazione di questo fattore di forma descrive la progressiva apertura della città verso il cielo, ossia il suo grado di ostruzione. Fornisce informazioni sull’accumulo diurno di energia radiante e sulle perdite di energia radiante alle alte lunghezze d’onda verso il cielo notturno. È inoltre importante per descrivere la dispersione degli inquinanti ad opera del vento.
Il limite superiore del tessuto urbano non è dato dall’edificio più alto. Un parametro utile in questo senso è la superficie mediana dei volumi delle costruzioni, ossia la linea ad H al di sopra e al di sotto della quale le superfici risultano uguali. Questo parametro consente di definire la densità del costruito in tre dimensioni. Il perimetro della sezione in funzione dell’altezza è un indicatore analogo. La superficie al di sotto della curva rappresenta la superficie verticale complessiva degli edifici. Con la sua struttura più o meno complessa e le sue proprietà ottiche, essa presenta un legame diretto con l’assorbimento e le riflessioni mutue delle radiazioni. Il parametro superficie/altezza misura inoltre la “percentuale di ostruzione” e ci permette di valutare il potenziale di ventilazione urbana.
Sezioni verticali e direzionalità
I principali fattori climatici direzionali sono la radiazione solare e la direzione del vento, che a loro volta interagiscono con la larghezza e l’orientamento delle strade. L’ostruzione rappresentata dagli edifici in una determinata direzione può essere calcolata con una sezione verticale o un‘altezza media. L’anisotropia della struttura urbana è quantificabile in una serie di misurazioni dell’altezza media quando la sezione trasversale è orientata in una direzione normale rispetto al piano: ciò dà origine
a un profilo iniziale delle altezze medie. La direzione normale rispetto al piano viene quindi ruotata verso l’azimut per calcolare i profili successivi. Un tessuto urbano isotropico presenta variazioni minime dei profili, mentre un tessuto urbano con forti elementi direzionali, ad esempio ampi viali, presenterà profili con variazioni più marcate.

L’impatto della complessità
I dati precedenti suggeriscono che la complessità e l’irregolarità hanno un forte impatto sulla performance ambientale ed energetica dei tessuti urbani. Le morfologie di Tolosa e Berlino sono molto diverse. Berlino ha la microstruttura più ampia (costituita da blocchi urbani massicci e regolari), seguita da Londra e Tolosa. Inoltre, Berlino presenta i profili architettonici meno complessi.
Le caratteristiche del tessuto urbano sono visibili; i parametri studiati ne danno una misurazione quantitativa. Il volume non passivo e il rapporto volume-superficie rispecchiano la dimensione della microstruttura e la sua complessità. I parametri della forma urbana possono essere posti in relazione con l’assorbimento solare risultanti dagli studi sulla riflessione. Per i tre siti presi in considerazione (Londra, Berlino e Tolosa), al diminuire del volume non passivo diminuisce anche la rifrazione rispetto a quella di una superficie piatta. Ciò indica un aumento dell‘assorbimento solare. Le morfologie urbane massicce e regolari come a Berlino aumentano l’effetto isola di calore. Per quanto riguarda la dispersione degli inquinanti, le strutture urbane più complesse e articolate, come quelle di Tolosa, si dimostrano maggiormente efficienti.
L’ottimizzazione frattale delle strutture a corte
Le strutture frattali naturali rispondono alle leggi degli scambi ottimizzati fra membrane.
Per quanto riguarda le forme urbane, le strutture a corte come quelle di Tolosa soddisfano il criterio dell’ottimizzazione bioclimatica. Per questo motivo, caratterizzano quasi universalmente le città storiche, dalla Cina all’India, dal mondo islamico alla Grecia fino all’Italia. Sono rimaste in auge fino all‘invenzione di mezzi artificiali per controllare gli ambienti interni, mezzi che presentano un costo elevato in termini di carburanti fossili.
Un semplice esempio renderà più chiaro questo aspetto. Supponiamo che un sistema abbia bisogno di incrementare l’accumulo di energia dall’ambiente, attraverso una membrana. Questo è il caso della luce naturale e dell‘accumulo termico passivo nonché, arrivando ai nostri giorni, del potenziale di cattura dell'energia fotovoltaica attraverso l’inviluppo dell’edificio. L’accumulo energetico (e gli scambi bioclimatici in generale) sono proporzionali all‘estensione superficiale della membrana. Invece di ridurre la perdita di calore sacrificando l’accumulo termico, la ventilazione e l’illuminazione naturali, un’architettura bioclimatica deve piuttosto risolvere il seguente problema sul fronte dell’ottimizzazione: è possibile ottimizzare la superficie di scambio senza aumentare il volume dell’edificio? L’unica soluzione per incrementare lo scambio bioclimatico (o il potenziale di cattura dell’energia) è aumentare l’involucro dell’edificio tramite la complessificazione frattale. A una data scala, l’aumento presenta un limite che può essere superato solo con una nuova complessificazione ad una scala inferiore e così via. L’iterazione frattale si esaurisce quando i vantaggi sono controbilanciati da altre restrizioni o limitazioni fisiche.
Il processo della complessificazione ottimizza il volume passivo, come abbiamo osservato in riferimento a una porzione della città di Torino che, a partire dalla fondazione in epoca romana, si è evoluta acquisendo una ragguardevole complessità interna e ha incrementato notevolmente le proprie superfici di scambio (40 km di facciate verso la strada e 16 km verso i cortili interni in un‘area di 710 x 770 metri che corrisponde alla colonia romana originaria), ma senza deteriorare le prestazioni termiche.

Per contro, gli isolati a forma quadra di Barcellona, progettati su una griglia grande il doppio rispetto
a quella di Torino (135 x 135 metri invece di 70 x 70 metri), e che in appena un secolo e mezzo di vita sono cresciuti in densità, ma senza complessificazione come quelli di Torino, che hanno ben duemila anni, non presentano lo stesso carattere ottimale.

Fattori di forma ed energia
Negli anni Sessanta, a Cambridge, March1 ha cercato una risposta alla domanda: quale forma dovrebbe avere un edificio per ridurre le perdite di calore? La sua soluzione strettamente geometrica prevedeva di realizzare edifici profondi con bassi coefficienti di vetratura, un approccio che mancava di considerare l’importanza dell’accumulo termico passivo nonché l’energia necessaria per la ventilazione e l’illuminazione. Inoltre, data la scarsa capacità di isolamento degli edifici negli anni Sessanta, dava un risalto eccessivo alla compattezza, che nel tempo ha perso la sua ragion d‘essere con l‘avvento delle tecnologie isolanti. Oggi, con l’innalzamento degli standard di isolamento e accumulo interno, l‘attenzione di chi pensa al consumo energetico si è spostata su illuminazione e ventilazione meccanica, per le quali gli effetti della geometria urbana cambiano fino a divenire opposti. Per massimizzare la luce naturale, occorre aumentare il volume passivo e pertanto la compattezza diminuisce.
Carlo Ratti, Nick Baker e Koen Steemers2 hanno eseguito un’analisi energetica dei tre tessuti urbani di Londra, Berlino e Tolosa, il che ci consente di approfondire ulteriormente la disamina dell’impatto che determinano i diversi fattori di forma.
Abbiamo effettuato gli stessi calcoli su molte città del mondo, ma ci limiteremo a illustrare i risultati relativi alle tre morfologie di Londra, Berlino e Tolosa. Come prevedibile, data la bassa presenza di volume passivo e i valori elevati del rapporto volume-involucro, Berlino presenta la compattezza volumetrica (S/V) minore e dunque la sua morfologia è la più compatta. A Londra e Tolosa, la compattezza di forma diminuisce.
Le implicazioni di queste caratteristiche devono essere tuttavia interpretate alla luce di un’analisi che separi le dimensioni dai fattori di forma. Infatti, il rapporto S/V può essere scomposto, per singoli edifici o gruppi di edifici collegati, nel modo seguente: S/V=1/V1/3 x S/V2/3.
In questa equazione 1/V1/3 rappresenta il fattore dimensionale dell’edificio (più grande è la costruzione, minore è il valore di questo termine) mentre S/V2/3 è un fattore adimensionale che descrive la forma dell’edificio. Questa scomposizione perde di significato a livello di tessuto urbanistico. Infatti, l’impossibilità di separare gli effetti dimensionali da quelli di forma nel parametro S/V provoca una perdita considerevole di informazioni su un aspetto essenziale del tessuto stesso. In questo caso, vediamo che la compattezza volumetrica del tessuto urbano è un parametro eccessivamente semplice poiché non ci permette di rilevarne la “trama”, ossia il fatto che il tessuto urbano è composto da molti edifici piccoli che possono essere considerati un unicum complesso e continuo (il quale, per effetto della contiguità, si traduce in un buon fattore di compattezza) oppure da grandi edifici discontinui (anche in questo caso il fattore di compattezza è valido, ma si degradano altri parametri energetici, come la disponibilità di luce diurna o il potenziale di ventilazione naturale).
A livello di tessuto urbano, uno dei parametri più incisivi è la percentuale di volume esposto all’ambiente esterno. La massimizzazione del volume passivo offre un grande potenziale di risparmio energetico. Le zone passive prive di ostruzioni a meno di sei metri dalle facciate consumano il 50% circa di energia in meno per mq rispetto agli spazi più interni dell’edificio.
A parità di condizioni, ossia tralasciando il ruolo del clima, delle tecnologie presenti negli edifici e del comportamento dei residenti, i consumi energetici dei tessuti urbani quantificati esclusivamente in base all'effetto dei fattori di forma vedono susseguirsi in ordine ascendente Tolosa, Londra e Berlino.
La percentuale di volume passivo può dunque essere utilizzata per prevedere i consumi energetici complessivi, in quanto i tessuti urbani che presentano il tasso maggiore di volume passivo sembrano consumare meno energia totale, considerando nel calcolo illuminazione, riscaldamento, ventilazione e raffrescamento. Inoltre, i tre tessuti urbani esaminati sono rappresentativi di morfologie tipiche del Medioevo, del XVIII secolo e dell’epoca contemporanea. Come si può notare, andando indietro nel tempo, il tessuto urbano si dimostra più sostenibile ed efficiente dal punto di vista energetico.