location: National Art Center, Tokyo

“L’architettura necessita di una esperienza fisica, non può essere compresa solo attraverso le immagini. Per questo cerco sempre di realizzare edifici e spazi dove l’esperienza fisica continua a produrre emozioni e le persone possono sentirsi bene”. (Tadao Ando)

Il National Art Center di Tokyo celebra il suo decimo anniversario con la monumentale mostra “Tadao Ando. Endeavors“, aperta fino al prossimo 18 dicembre. La lettura qui di seguito proposta si avvale anche di risposte che Ando ha dato in occasione d’una intervista che mi ha rilasciato esattamente dieci anni fa presso il suo studio di Osaka.
50 anni di carriera; 270 tra plastici, schizzi e disegni; 6 sezioni tematiche approfondite. Sono questi i numeri che rappresentano la grandiosità della mostra dedicata all’architetto giapponese, vincitore del premio Pritzker nel 1995. Una delle attrazioni principali qui visibili è la replica a scala reale della celebre “Chiesa della luce”, capolavoro che esprime profonda spiritualità attraverso contrasti tra materia e luce, tra solidità e assenza.

photo by Matteo Belfiore

La rassegna si apre con la riproposta dello studio/atelier di Osaka, spazio minuscolo e familiare, incredibilmente il luogo nativo e ispiratore di tutte le opere di Ando degli ultimi cinquant’anni. Segue, una selezione di schizzi risalenti a quando l’architetto - appena ventenne - decise di partire per il “Grand Tour” in Europa, abbandonando poi la carriera di pugile per iniziare quella di architetto. Le sei sezioni che compongono l’insieme espositivo rappresentano altrettanti temi che condensano la carriera di Tadao Ando.

photo by Matteo Belfiore

“Durante il mio viaggio in Europa ho visitato la Cappella di Notre Dame du Haut a Ronchamp, il capolavoro di Le Corbusier. Quest’opera mi ha davvero impressionato, ma ancora oggi la ritengo un oggetto fortemente scultoreo. Da quell momento ho sognato di poter collegare l’interno e l’esterno in maniera spirituale, realizzando un’architettura invisibile con la stessa qualità spaziale di Ronchamp ma priva di valenze scultoree”.

I - Origini/Case

Nella poetica di Ando, la casa è la vera origine dell’architettura. Attraverso gli oltre cento progetti in esposizione, emergono le caratteristiche che negli anni hanno reso riconoscibile il suo lavoro: cemento a vista, forme semplici e legame con la natura. La Sumiyoshi Row House ne è l’emblema.
“La cosa più importante, quando si lavora con l’architettura, è avere coraggio. Occorre proporre nuove idee e portarle a termine superando le difficoltà. Non importa quanto grande possa essere il progetto su cui stai lavorando: ci sarà sempre qualcuno che saprà apprezzarlo e qualcuno a cui non piacerà. Prendiamo ad esempio la Row House a Sumiyoshi. Molte persone capiscono e apprezzano il tema principale del progetto, la prossimità con la natura e la relazione con il cielo. Eppure non è semplice vivere in una casa dove c’è sempre la luce del sole e dove hai bisogno dell’ ombrello per andare al bagno! Su 5 persone, forse 4 direbbero “non potrei mai vivere lì”. Ma forse ce n’è uno che vuole vivere proprio in un luogo del genere. Questa persona che potrebbe dire “sì”, fa che i nostri progetti si avverino”.

II – Luce

Insieme agli altri agenti naturali, la luce attiva la materia, inonda il vuoto, crea relazioni. Per poter accogliere al meglio tali elementi, la forma deve essere nuda, minimale, ridotta alla propria essenza. L’architettura diventa una tela, sulla quale la natura può esprimersi senza limiti. Citazione d’obbligo, la “Chiesa della luce”
“Queste continue mutazioni della luce, caratteristiche dell’architettura tradizionale giapponese, hanno influenzato molto il mio modo di lavorare. Questa sensazione di meraviglia che suscita la continua mutevolezza della luce mi affascina molto più del pilastro stesso. La nostra tradizione architettonica non è basata su monumenti o su maestosi edifici di rappresentanza. Essa ha da sempre espresso molta cura per la qualità della vita, per le relazioni tra le persone e anche per il rapporto tra il dentro e il fuori di ogni costruzione”.

photo by Matteo Belfiore

III – Spazi vuoti

Yohaku è la parola giapponese che descrive gli spazi vuoti. La strategia urbanistica di Tadao Ando consiste in ciò che egli stesso definisce come “guerriglia urbana”, creare cioè dei vuoti che non siano tali (nella definizione occidentale). Il vuoto in Giappone ha un valore intrinseco e non ha bisogno di essere riempito. Creare Yohaku significa quindi plasmare luoghi dove le persone possono incontrarsi e creare relazioni, come avviene nella stazione di Shibuya della Tokyu-Toyoko line.
“Il concetto di MU è quello di cogliere l’essenza del vuoto che c’è in natura, ma anche nel cuore della gente. In questa idea c’è qualcosa che unisce la natura e le persone. Anche se Louis Kahn non era giapponese e non è stato influenzato dal Giappone, vi è certamente qualcosa in comune tra la sua architettura e quella della tradizione giapponese. Egli ha creato spazi di intensa spiritualità attraverso l’uso del vuoto. Ma tra me e lui vi è una differenza sostanziale. Louis Kahn ha fatto uso di forme molto possenti, la sua architettura aveva una forte definizione spaziale. Il mio lavoro, invece, è più nella ricerca dell’assenza di forma. Io non cerco di produrre volumi forti ma mi concentro sullo spazio “in-between”.

IV – Leggere il sito

Frank Lloyd Wright sosteneva che l’architettura non potesse essere sulla collina, ma essere la collina stessa. Nonostante l’architettura di Ando sia in genere ponderosa e riconoscibile, essa riesce a integrarsi armonicamente nel contesto ed è concepita per “aumentare” le caratteristiche preesistenti del sito. Lo dimostrano i progetti esposti nella mostra, laddove fieri paesaggi naturali accolgono e promuovono le forme dell’architettura. A Naoshima si ritrovano alcune tra le più significative.
“Un altro obiettivo che mi propongo è quello di collegare l’interno e l’esterno dell’edificio in maniera ottimale. Provo a concepire il dentro e il fuori come un’entità unica. Legare queste due parti è come unire l’uomo alla natura. Lo stesso concetto si ritrova nell’architettura tradizionale del Giappone. Forse ciò deriva dallo stile di vita giapponese, intimamente legato alla natura”.

V - Costruire ciò che esiste, creare ciò che non esiste

La storia e le preesistenze sono il seme che genera l’architettura di Ando. La rivitalizzazione degli edifici storici è l’occasione per creare un ponte tra passato e futuro, una sfida intrigante che permette all’architetto giapponese di sperimentare nuovi approcci e prospettive inedite. Gli imponenti plastici dei lavori europei sono la dimostrazione concreta di tale approccio. Essi mostrano un’architettura che interviene sulla preesistenza storica valorizzandola, senza essere mimetica o emulativa. La “Punta della dogana” a Venezia e la “Borsa del commercio” di Parigi ne sono testimonianza.
“Credo che il mio lavoro possa fare da tramite tra la conoscenza contemporanea e quella tradizionale (non solo la loro forma tangibile), allo stesso tempo riscoprendo la storia e gli aspetti caratteristici del luogo in cui vado ad operare. In architettura vi sono molte strade e approcci possibili. Ciascun architetto ha il proprio modo di progettare e di progredire attraverso il suo lavoro. Credo che dovremmo guardare avanti, ricercare nuovi spazi e nuovi habitat in cui vivere. Ma allo stesso tempo non dobbiamo dimenticare la storia. Con il mio lavoro provo a creare un ponte tra il futuro e il passato”.

photo by Matteo Belfiore

VI – Nutrire

Il vero nutrimento dell’architettura è nella sua capacità di creare il contesto, sociale oltre che fisico. Per Ando, l’architettura ha il dovere di migliorare le nostre vite e il mondo in cui viviamo. I progetti che concludono la mostra – lavori di riqualificazione ambientale e ricostruzione post-disastro – sottolineano il valore collettivo dell’opera di questo architetto il cui credo è: “costruire edifici = creare contesto”. Nella mostra, la conferma con il progetto per la Baia di Tokyo e le proposte per la costa del mare interno di Seto.
“Ogni architettura è costituita da tre elementi: la progettazione e costruzione, le questioni teoriche e la filosofia. Quest’ultima parte è la più importante, perché progettare spazi e edifici significa costruire architetture per l’umanità. L’architettura non si limita alla progettazione di edifici. Essa richiede lo sviluppo di una propria visione, necessaria a costruire una propria filosofia. Dal momento che l’architettura ha un forte carattere pubblico ed una responsabilità sociale, noi architetti dovremmo sempre occuparci della società nel suo complesso e delle comunità locali attraverso il nostro lavoro. Non dimenticate, quindi, qual è il ruolo dell’architettura: dare risposte e soluzioni intelligenti ai problemi della nostra società”.

27 settembre - 18 dicembre 2017
National Art Center, Tokyo