Con questa chiacchierata con Francesco Subioli si chiude la serie dedicata a I Food Designer.

Francesco, ma in che mondo stiamo vivendo? E quale è, e sarà, il nostro rapporto con il cibo?
Carestie, pandemie, guerre, sono nell’ordine le prime tre fonti di mortalità nella Storia che forse pensavamo di aver superato con la scienza, la tecnologia, la globalizzazione. Purtroppo sono tre fattori che non vivono separatamente e spesso si intrecciano alimentandosi reciprocamente. Il Covid sarà seguito da carestie in alcune zone del pianeta ma per la guerra penso non ci sia più posto perché gli interessi della globalizzazione non possono più permetterselo. Dunque buone notizie, assieme alle cattive, ma resta da capire come sia possibile che il Nulla si appropri del Tutto con tanta facilità, una fragilità disarmante, un mondo che pensavamo cinicamente solidissimo azzerato da un dettaglio irrilevante, casuale e prevedibile. C’era un noto designer e nostro docente di progettazione all’Isia, che ogni volta che qualcuno accennava di problemi ambientali insostenibili in un mondo basato sulla produzione in crescita infinita usava sempre la stessa frase: ueh mica possiamo girare la chiavétta? con la e tipica del dialetto milanese. Per noi quella frase diventò un mantra e dentro di noi, in romanaccio, pensavamo: macché davero davero? e ci immaginavamo un mondo con la chiavetta girata, impossibile, impensabile, in realtà non ce lo immaginavamo proprio. Ma se proprio doveva accadere sarebbe stato sicuramente un Generale a girare la chiavetta, oppure un Alieno proveniente da Andromeda dopo aver superato le correnti gravitazionali.
Dunque adesso il problema è: chi gliel’ha data al Pipistrello ‘sta chiavetta? l’ha girata da solo o aveva un complice e soprattutto... non è che per caso ne ha fatta una copia? Perché allora si che siamo nei guai. D’improvviso ci siamo trovati da una vita esagerata a una morigerata, su cento euro che intascavamo solo venti andavano per gli alimenti, ora sarà almeno il doppio. Tutti a casa come nel Mulino Bianco a impastare farina per fare il pane, a gioire per essere entrati nel reparto delle verdure dopo mezz’ora di fila scoprendo che in fondo non eravamo in guerra perché di cibo ce n’era sempre tanto e ora potevamo sceglierlo che di tempo a disposizione ne avevamo. Trent’anni fa eravamo convinti che ben presto l’umanità si sarebbe cibata solo in pillole, vent’anni fa gli OGM ci garantivano raccolti standardizzati a prova di siccità e inondazioni, oggi sappiamo con certezza che mangeremo solo insetti… Sé vabbé…!
Tutto è stato, è e sarà sempre infinitamente più normale del previsto perché non possono bastare 50 anni di evoluzione digitale a cancellare 6 milioni di anni di evoluzione biologica e alla meravigliosa fisicità che ci distingue. Se siamo quello che siamo come Sapiens lo dobbiamo più alla capacità di socializzare che alla grandezza del nostro cervello.

Tutto chiaro, Francesco. E ora, tu come la vedi?
Se vogliamo prevedere cosa accadrà nei prossimi mesi nei contesti in cui la socialità è un aspetto determinante, come in quello della vendita e consumo del cibo, ci dobbiamo rassegnare a pensare che solo l’insieme di idee e progetti normali, e non delle performance da wow effect, ci condurrà verso l’uscita gentile dall’incubo oscuro. Tutti si aspettano il colpo di scena dai designer che con la loro creatività risolleveranno le sorti dell’umanità e i designer, tronfi di questo ruolo, si sforzano di trovare la genialità, quella che lascia tutti a bocca aperta, già pronta per mangiare. Non funziona così e questo becero modo di vedere il design nel suo aspetto teatrale è proprio quello che ne frena la diffusione capillare come portatore sano di normalità, di una bella, pulita, giusta normalità.

 

Ma non ne siamo usciti migliori, allora?
Temo che il prossimo imminente futuro sarà sgarbato e frutto di un’applicazione brutale di norme che lo Stato ha emanato e ancora nessuno ha avuto il tempo di trasformare in progetti. Colate di plexiglass, mascherine sado-maso, docce di Amuchina per tutti e strofinate furiose tra mano destra e mano sinistra con buona pace delle impronte digitali ormai praticamente scomparse.
In alternativa?
Campane di vetro che calano dall’alto sulle teste degli avventori, caschi gonfiabili che proteggono dal virus e distanziano nel modo corretto ma non si sa quale sia l’aspettativa di vita della capoccia protetta, calotte in vetro ermetiche che consentono di vedere il sorriso prima della smorfia definitiva, giocosi cappelli distanziatori, elegantissimi manichini che come i panda in peluche segnalano gli spazi da non occupare e garantiscono una piacevole compagnia.


Le tue proposte?
Se pensiamo che ci piacerebbe tornare alla normalità e non essere fenomeni da circo facciamo un pò di chiarezza:
-Stop al panico e alla sciatteria.
Stop allo scambio di tonnellate di germi attraverso ammucchiate fameliche, buffet realizzati con gli avanzi della giornata, menù cartacei dove la carta non c’è più sostituita ormai da materiale organico, odori di cappuccini e brioche mischiati a pizzette scaldate e pastasciutte precotte, gestori che smanettano contanti tra una ramazzata di scopa e una preparazione di tramezzino fetish, baristi sguaiati che sghignazzano sopra i vassoi di cornetti, che se ti mangi l’ultimo hai collezionato anche tutto il dna del personale.
-Stop all’orrore.
Abbiamo veramente bisogno di ammazzare 300.000 animali al minuto come avviene ora?
O di trasformare la biodiversità in monocoltura, che ad esempio significa trasportare le api per migliaia di km distruggendole, quando dipende dalla loro impollinazione il 60% dei nostri raccolti. Hai visto mai che ci riusciamo a liberare da quell’elemento chimico camuffato da ingrediente chiamato Soia, lo Zelig dell’alimentazione che si trasforma persino in latte assurgendo allo stato di mammifero.
-Comunicazione.
Molta e fatta bene, in maniera divertente come ad esempio sta riuscendo a fare la Coop, per rendere chiare immediatamente tutte le novità e tranquillizzare i clienti che nulla è come prima perché tutto è meglio di prima.
-Logistica
Si alla pulizia, alla disinfestazione come norma perpetua, alla comunicazione per regolare le distanze, si all’appropriazione di suolo pubblico per allargare l’area e quindi il numero di clienti, del resto parliamo di un servizio pubblico. E se è facile rubare un posto auto per mettere una pedana sarà più difficile gestire gli spazi antistanti sul marciapiede. Avremo bisogno di nuove figure che regoleranno il flusso delle clientela e favoriranno pagamenti digitali e take away. Sensi unici per entrare e uscire.
-Digitale.
Si all’utilizzo di tutte le forme digitali di pagamento, all’elimina code che ti consente anche di andare fare due passi in attesa del turno, si a comande e prenotazioni che consentiranno ai gestori di avere meno offerta di cibo ma più fresco e di abbattere lo spreco alimentare.
-Interior.
Nuovi banconi o adattamento di quelli vecchi, stesso discorso per tavoli, sedie, illuminazione, servizi igienici.
-Oggetti per le persone e divise.
Nuove divise per nuove figure professionali e nuove funzionalità, ma anche oggetti per mangiare e bere che assecondino il riutilizzo a discapito dell’usa e getta. Packaging per Take awåay e Delivery ripensati in funzione delle modalità di asporto e distribuzione.
Scopriremo che l’unica vera novità del futuro sarà il Design Thinking come modalità di affrontare qualsiasi problema dell’umanità per trasformarlo in una risorsa per una vita di qualità, bella e gentile. Vita finalmente Normale perché è quello stato di equilibrio in cui la noia e la gioia, alternandosi e confondendosi, ci fanno stare meglio e liberare dalle paure.
Insomma…: One Health e Circular Economy.
Esseri Umani, Animali, Natura interconnessi al punto tale che uno squilibrio in uno dei tre mondi porterebbe inevitabilmente alla catastrofe futura. Da oggi e per sempre si lavorerà avendo il concetto di One Health come un Dogma, un Tabù, un Paradigma di riferimento imprescindibile.