area 102 | leisure

architect: Boeri Studio

location: Cinisello Balsamo, Italy

year: 2008

Ai lati di una grande strada in uscita da Milano, è oggi difficile notare la presenza di un piccolo edificio commerciale di due piani, nascosto tra l’invasiva folla di fratelli maggiori dai nomi altisonanti: Brico Center, Multimedia, Metro, Ikea, GS. Quel piccolo edificio dal nome autoreferenziale (’shopping center’, come se un albergo si chiamasse solo ’hotel’) è stato il primo centro commerciale integrato italiano, il primo luogo dove si è tentata la fusione tra grande distribuzione alimentare e piccoli esercizi al dettaglio. Vent’anni fa questo capannone di 6.000 mq. percorso da un corridoio che mimava l’andamento di una strada pubblica, ha fatto scuola tra gli addetti al settore della grande distribuzione; oggi è quasi un pezzo di archeologia, destinato ad essere sostanzialmente ridisegnato per adattarsi alle nuove regole della competizione tra i colossi del mercato.

photo by Paolo Rosselli

La storia di questa scatola di 7 metri ci dice di quanto sia breve il ciclo di vita dei grandi edifici commerciali e ludici che seguendo il suo esempio negli ultimi venti anni sono progressivamente atterrati come astronavi attorno alle grandi arterie suburbane italiane. Costruzioni tanto tracotanti quanto fragili, introverse eppure geneticamente costrette a nutrirsi della vita che li circonda e, forse anche per questo, soggette a frequenti trasformazioni. Si nutrono infatti di spazio. E non solo perché si circondano di grandi parcheggi e attorno a loro fanno il vuoto. Dal finestrino di un aereo, centri commerciali, cinema multisala, complessi polivalenti (e le infinite varianti e contaminazioni di queste tre tipologie), ci appaiono come una sorta di contrappunto dimensionale, di “fuori scala” rispetto alla “grana fine” delle villette, dei capannoni, delle palazzine, degli autolavaggio. Gli unici manufatti (se si escludono aeroporti e stazioni ferroviarie) capaci di fare gerarchia, di imporsi nella moltitudine di piccoli edifici solitari ed ammassati che affolla le nostre aree suburbane. Ma questa “fame” di spazio non è una loro prerogativa.

photo by Paolo Rosselli

Come le villette e i capannoni che li circondano, i grandi contenitori onnivori tendono a localizzarsi secondo una razionalità settoriale, che li porta a individuare il loro sito – accessibile e visibile dalle grandi arterie tangenziali, a opportuna distanza da altri contenitori merceologicamente simili – a prescindere dagli edifici che stanno loro intorno. Sono i protagonisti più in vista di quel sistema di differenze contigue (villetta + centro commerciale + zona agricola + borgo antico + tangenziale + capannone + palazzina) che trasforma in un discorso composto da parole sconnesse la crescita della città contemporanea. Diversamente dalla città storica, costituita da grandi macrostrutture – il borgo medioevale, l’isolato ottocentesco, i quartieri di edilizia pubblica – che (come accade per le proposizioni coerenti di un discorso) condensano al loro interno edifici simili, la città contemporanea funziona infatti per associazioni a distanza. Mentre nella città storica sono queste grandi frasi ad ospitare – e a controllare, secondo regole e proporzioni date – le declinazioni di ogni particolare tipologia edilizia e a organizzare l’eterogeneità delle attività umane, nella città contemporanea i simili di necessità non si accostano, la “variazione sul tema” (della villetta unifamiliare, del capannone con residenza, del centro commerciale) avviene a distanza. L’isolamento e l’introversione di queste grandi costruzioni, la loro “fame” di spazio non sono insomma altro che la pantografia di un gesto mille volte ripetuto nella costruzione quotidiana del nostro territorio, fatto di monadi accostate casualmente e gelose del loro spazio, indifferenti a ciò che accede fuori dal loro recinto. Si nutrono di tempo.

I grandi contenitori ludico-commerciali sono potenti terminali delle esperienze percettive simmetriche e ripetitive che li precedono e seguono: dalla televisione, all’automobile, alla tangenziale, al parcheggio (unica esperienza effettiva di “esterno”) fino all’ingresso in un grande spazio collettivo controllato e climatizzato dove il flusso di percezioni si inverte: l’uscita, il parcheggio, la circonvallazione...È come se durassero di più del tempo impiegato per abitarli. È come se ci sintonizzassimo sulla loro linea d’onda (quella di una fruizione distratta dello spazio che ci scorre ai nostri lati) molto prima e molto dopo avere accesso a questi grandi interni onnivori. Ingoiano il nostro tempo anche perché la nostra vita assomiglia sempre di più a quella, letteralmente caricaturale, che ospitano. Queste grandi “architetture dell’intrattenimento” si nutrono, infatti, anche di immaginari. La loro dimensione “pubblica” è fondata su un rigoroso principio di mimesi dello spazio pubblico urbano per antonomasia, quello dei centri storici europei. Non solo replicano strade porticate, scorci improvvisi, piazzette con fontane e bar all’aperto, ma addirittura di recente si mostrano disponibili a tollerare comportamanti imprevisti: bande di giovani, gruppetti di pensionati, comunità etniche vi si incontrano, li eleggono a luoghi di un’interazione calda e per certi versi incontrollabile, che sembra preferire la copia all’originale. Forse perché dopo essere stati eletti a modello di mercato, sono proprio molti dei centri storici europei, pedonalizzati e totalmente omologati ad un commercio irrigimentato e da souvenir, a replicare oggi le regole spaziali rielaborate dai centri commerciali integrati. Basta camminare per le strade patinate di San Marino, basta cercare di sfuggire alle telecamere a circuito chiuso che controllano tutto lo spazio pubblico urbano di Montecarlo, per accorgerci che la città vera, la città autentica, non sempre finisce ai bordi dei parcheggi che circondano queste grandi costruzioni onnivore. A ben guardare, quello che esse ci propongono è solo una versione più radicale e meno ipocrita di quella vita governata dai codici a barre che scorre anche fuori, nella metropoli contemporanea.

architectural design: Boeri Studio (Stefano Boeri, Gianandrea Barreca, Giovanni La Varra with: Fabbio Dacarro, Frederic De Smet, Federico Masin, Max Pescio)
project first phase: 2002-2003
second phase: 2007-2008
property: Shopping Center spa (gruppo Filcasa)
structural design: Cesare Morini, Michele Morini
commission: preliminary, definitive, executive and works supervision
surface: 5.800 sqm
volume: 69.000 mc
budget: 4.500.000,00 euro
photos: Paolo Rosselli

Boeri Studio is an architectural and urban design firm based in Milan, Italy, founded in 1999 by Stefano Boeri together with Gianandrea Barreca and Giovanni La Varra. In the last years, the office has concentrated its interests on the contemporary urban condition in Europe, in particular providing architectural interventions and urban planning for a series of medium sized cities in large metropolitan areas, and requalification of major Portual areas in the Mediterranean Sea. Boeri Studio’s most recent projects are the development and execution of numerous transformation and rehabilitation projects for urban and tourist use in different European waterfront properties: Marseille, Genoa, Naples, Trieste, Ravenna and Thessaloniki. In the architectural design field, Boeri Studio has focused its works on commercial and entertainment buildings, on the reconversion of industrial buildings, and on the qualification of power plants. Boeri Studio is currently also working on a number of requalification and modification projects for urban areas throughout Italy. Boeri Studio’s works have been published in the main architectural and urban design magazines and exhibited in the principal design centres. Following the 2001 realization of the new geothermic plant of the ENEL company in Bagnore, Stefano Boeri was invited to represent Italy in the traveling exhibition “New Trends in Architecture. Europe and Japan”, presented in Porto, Rotterdam and Tokyo during 2003.