"Architetti, architettura" esce nella nuova veste grafica della storica collana A&a - Architetti e architetture, e ospita scritti brevi, non di rado estemporanei e a volte inediti, e riflessioni che Eduardo Souto de Moura ha raccolto negli anni. Il filo rosso che li unisce è il fine verso il quale convergono: smontare l’idea secondo la quale lo scopo degli architetti è mutare l’aspetto del mondo non facendone parte, un preconcetto che gocciola attraverso innumerevoli microfratture nella loro cultura, nei loro atteggiamenti e nei loro pensieri.

Nulla è più lontano da questa idea del modo di pensare e lavorare di Souto de Moura.
"Da quattordici anni, dal mio primo progetto, continuo a disegnare la stessa casa, come se si trattasse di un’ossessione. Ma nonostante le case siano sempre uguali, sono diverse, perché i luoghi e le persone meritano questo", scrive Souto de Moura. Casa, naturalmente, è una sineddoche: la parte per il tutto. E di tutto il suo mondo Souto de Moura parla negli scritti raccolti in questo libro: dei suoi progetti, delle sue letture i cui ricordi affiorano in ogni pagina, dei suoi maestri, Álvaro Siza e Fernando Távora prima di tutti, degli architetti che predilige, Jacques Herzog e Rafael Moneo, per esempio, ma sotto le ombre persistenti di Mies van der Rohe e di Aldo Rossi, e dei luoghi che ama. Come si è architetto? Cosa significa esserlo? Come si pratica la professione? Come selezionare nello sterminato sfondo della storia quanto ancora è parte del tuo lavoro? Queste sono le domande che rimbalzano in Architetti, architettura che, spesso spiazzante, non parla, però, soltanto agli architetti.