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L’opera dell’indiscusso maestro Ludwig Mies van der Rohe si è sempre cimentata con una dimensione architettonica del progetto, anche quando, sulla base di una chiara conoscenza della struttura, il sistema costruttivo si solleva fino ad essere arte. L’esigenza di collocare gli aspetti costruttivi della nuova architettura ha origini lontane. Già Viollet-le-Duc esigeva l’espressione sincera e coerente della funzione mediante i mezzi ed i metodi costruttivi del tempo. Contro la transitorietà delle mode, emerge una linea di condotta che non muta secondo le oscillazioni del tempo.
Mies mantiene un rapporto di forte continuità con il passato: appare evidente il riferirsi agli edifici del passato che hanno  espresso un proprio ordine strutturale, come nel dorico. La raffinatezza degli accostamenti si riannoda alla tradizione della classicità, nonostante la diversità degli elementi e dei materiali. Il fine di Mies è ordine e verità. Ed è proprio questa sincerità, di cui anche l’ultimo dettaglio ne è testimone, che rivela le intenzioni del Maestro.
Cosa resta, oggi, della lezione di Mies van der Rohe? Previsione, pensiero logico, ricerca di identità tra classicità e progetto, ma anche un pacato equilibrio tra forma e struttura. In un tempo di crisi è indispensabile ripensare a Mies e alla sua mole, ma anche di indagare sulle leggi della forma esprimendo atti di verità nel quadro della contemporaneità.

Detlef Mertins
Mies
Phaidon 2014