Il PAC Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano presenta la prima ampia mostra personale di Luisa Lambri in Italia, un progetto espositivo pensato e sviluppato appositamente per il padiglione milanese.
Concentrandosi principalmente sulla fotografia, il lavoro di Lambri è caratterizzato da un impegno con un esteso spettro di soggetti che ruotano attorno alla condizione umana e al suo rapporto con lo spazio, come la politica della rappresentazione, l’architettura, la storia della fotografia astratta, il modernismo, il femminismo, l’identità e la memoria. L’installazione delle sue fotografie e lo spazio espositivo costituiscono una parte integrante del suo lavoro. Ogni nuovo luogo che accoglie una sua installazione presenta qualità uniche con le quali l’artista interagisce, rendendo ogni progetto un’opera site-specific. Le opere di Lambri non sono mai installate indipendentemente dalla struttura che le ospita.
Il titolo della mostra al PAC è un omaggio alla critica d’arte Carla Lonzi che nel 1969, prima di lasciare la professione per dedicarsi alla militanza femminista, pubblica sotto il titolo di “Autoritratto” una raccolta di interviste con quattordici artisti scelti da lei nell’esperienza dell’avanguardia anni ‘60. Il dialogo che ne deriva dà una dimensione degli artisti privata e che privilegia il loro ruolo attivo nel parlare in prima persona di sé e del proprio stare nell’arte e nel mondo. Allo stesso modo Lambri costruisce letture personali e intime dei soggetti da lei scelti per i suoi lavori e incoraggia un dialogo tra l’osservatore, l’opera d’arte e lo spazio in cui si trova nel loro complesso.
Luce, tempo e movimento giocano un ruolo importante nelle fotografie di Lambri, che potrebbero essere lette come una preoccupazione metalinguistica per la costruzione, il linguaggio e gli elementi formali del mezzo stesso: la fotografia. È necessario guardare con attenzione per percepire lievi differenze di luce o di inquadratura, che riflettono il movimento dell’artista nello spazio. Elemento vitale della pratica di Lambri è il rapporto delle sue opere con la storia dell’astrazione geometrica, che si ritrova nell’uso di linee, griglie e del colore nelle sue fotografie. L’esplorazione dello spazio molto precisa e specifica corrisponde a una forma di esplorazione del sé. Il Light and Space Movement della California, l’arte neo-concreta brasiliana e il minimalismo americano sono i suoi modelli più frequenti. Il progetto al PAC si concentra sui rapporti tra le opere di Lambri e l’architettura di Ignazio Gardella. Le fotografie diventano una vera estensione dello spazio e, di conseguenza, l’architettura di Gardella e l’esperienza soggettiva dei visitatori una parte integrante del lavoro.
Una vasta selezione di opere, alcune mai presentate prima in Italia e realizzate tra il 1999 e 2017, sottolineano la sua tendenza a lavorare in serie. Lambri si pone in dialogo con il lavoro di artisti come Donald Judd, Robert Irwin, Lygia Clark e Lucio Fontana oltre che il lavoro di architetti come Álvaro Siza, Walter Gropius, Marcel Breuer, Mies van der Rohe, Luis Barragán, Rudolph Schindler, Paulo Mendes da Rocha e Giuseppe Terragni, tra gli altri.
Un elenco così formidabile, tuttavia, è piuttosto fuorviante. Sebbene l’architettura modernista e le sue eredità, o i grandi esempi della scultura minimalista americana sembrino essere una sua costante ossessione, il lavoro di Lambri rende tali punti di riferimento quasi anonimi o non identificabili, concentrandosi su dettagli secondari o marginali di opere d’arte e architettoniche. Finestre, porte, persiane e angoli rivelano una predilezione per i passaggi e le soglie tra esterno e interno, proprio come nell’architettura milanese di Gardella con la quale Lambri si pone in costante dialogo. Lambri usa l’architettura per creare le sue immagini e non le immagini per documentarla.
La mostra al PAC rivela quindi in maniera evidente il rapporto di Lambri con lo Spazialismo, il movimento artistico nato in Italia dopo la seconda guerra mondiale e associato in gran parte a Lucio Fontana, che scrisse il “Manifesto Spaziale” nel 1947, e che ha influenzato molto la sua ricerca. L’allestimento della serie Untitled (Sheats-Goldstein House), 2007, nel parterre del PAC, coinvolge anche un altro importante architetto: l’italiana Lina Bo Bardi, che nel 1957 ricevette l’incarico per la progettazione del nuovo Museo di Arte Moderna di San Paolo del Brasile (MASP). Le dieci fotografie selezionate sono esposte sui cavalletti realizzati da Bardi per il museo brasiliano, qui riprodotti in collaborazione con l’Instituto Bardi di San Paolo. Le opere installate sui vetri dei piedistalli dialogano col giardino esterno attraverso le grandi vetrate del PAC. La sala offre un’esperienza visiva e spaziale unica, grazie alla luce naturale, all’integrazione tra interno ed esterno e ai riflessi della natura circostante sulle fotografie che si concentrano sul rapporto tra architettura e natura. Il gesto di togliere le opere dal muro e posizionarle sui cavalletti e rendere l’architettura di Gardella parte dell’opera le rende più vicine e familiari al pubblico. Inoltre, la possibilità di accedere anche al retro delle fotografie consente un incontro più diretto e intimo con il lavoro dell’artista. In questo contesto la fruizione della mostra diventa più umana, plurale e democratica.
La mostra è co-curata da Diego Sileo e Douglas Fogle, e sarà accompagnata da un catalogo bilingue che comprende le immagini di tutte le opere esposte, numerose vedute di installazione e nuovi saggi critici che offriranno ulteriori approfondimenti sul lavoro di Lambri.