area 108 | Mexico City

La ricchezza dell‘architettura contemporanea messicana deriva dalla sua diversità. Diversità in quanto valore, non come pout-pourri di offerte senza carattere, ma come intreccio di generazioni, stili e affinità. Se in altri paesi dell‘America Latina va messa in risalto la generazione emergente (è il caso del Cile) o la continuità con il modernismo classico attraverso le generazioni (Brasile), in Messico coesistono architetture che si pongono in relazione con il passato precolombiano, coloniale e moderno, o altri momenti storici che hanno contribuito alla costruzione del suo carattere complessivo. Architetti di riconosciuta fama come Teodoro González de Leon, che continua a produrre opere di eccezionale livello sin dalla sua esperienza nello studio di Le Corbusier negli anni quaranta, o Ricardo Legorreta, che sta per iniziare con Richard Rogers uno degli edifici più alti della capitale per la nuova sede BBVA Bancomer, condividono la scena con i delicati edifici-origami di Michel Rojkind o i funghi termonucleari di Fernando Romero, paradigmi della nuova generazione globale, insieme all‘High Tech commerciale di Enrique Norten o le strutture tettoniche di Alberto Kalach. Opere come il complesso Reforma 222, di Teodoro González de Leon, che combina insieme appartamenti, uffici e centro commerciale, e contemporaneamente si apre, rivitalizzandolo, al Paseo de la Reforma; il nuovo Hotel Camino Real a Monterrey di Legorreta+Legorreta; il Centro de las Artes a Zamora di Francisco Serrano, Susana Garcia Fuertes e Juan Pablo Serrano; l‘hotel Habita MTY a Monterrey di Agustin Landa o l‘edificio Americas di TEN Arquitectos a Guadalajara, dimostrano la vivacità creativa e produttiva dei grandi nomi dell‘architettura nazionale, diffusa in tutto il paese.
Forse il Museo Universitario di Arte Contemporanea di Teodoro González de Leon, che completa il Centro Culturale della Città Universitaria, UNAM (Università Nazionale Autonoma del Messico) è l‘opera più rilevante degli ultimi due anni. Un cilindro avvolgente contiene alcuni cubi di cemento bianco illuminati zenitalmente, orientati sull‘asse nord-sud, e due strade a questo perpendicolari. Quest‘asse struttura il mandala compositivo del progetto, mentre la nuova piazza organizza l‘accesso al museo e alla sala da concerto Netzahualtcoyotl, mettendo allo stesso tempo in luce la scultura di Rufino Tamayo, La Espiga, finora abbandonata in un parcheggio. La facciata sud si diluisce di fronte alla piazza, senza toccarla. È una superficie di settanta metri, di vetro sfumato, inclinato a 45°, che lascia vedere la piazza dall‘interno, mitigando nel contempo l‘incidenza della luce solare.
Due strade interne e quattro cortili definiscono la posizione delle sale, le cui dimensioni si basano su di un modulo di dodici metri, con diverse altezze di sei, nove e dodici metri. La luce zenitale, articolata da un ingegnoso doppio rimbalzo su piani inclinati può essere oscurata, e buona parte di questi grandi volumi possono essere separati. Non si tratta di un mero passeggio tra sale d‘esposizione, ma di una sequenza di contenitori intercambiabili. L‘involucro cilindrico è tagliato con precisione, sezionando paesaggi vulcanici: lava nera e cemento bianco liscio.
In anni recenti, va segnalata la profusione di strutture didattiche realizzate dalla UNAM, in gran parte sotto l‘impulso dato da Felipe Leal e dal Coordinamento Progetti Speciali, sia nella capitale che in altri Stati. Tra questi vanno segnalati la Facoltà di Veterinaria di Tequisquiapan a Queretaro, di Isaac Broid; l‘Unità di Ricerca Multidisciplinare di Fes, in Acatlan Mexico State di Axel Arañó; Biblioteca ed Emeroteca della Facoltà di Medicina, nella Città Universitaria, opera di Nuño, MacGregor, De Buen; il Museo della Divulgazione Scientifica del Planetario Luis Enrique Erro, di Victor Alcérreca; la Facoltà di Odontoiatria, a León, di Miguel Àngel Romero, l‘Unità Accademica e Culturale della UNAM a Morelia, di Felipe Leal, o l‘ampliamento della Scuola di Infermeria e Ostetricia di Città del Messico, di chi scrive.
A questo panorama si aggiungono le iniziative private, come la Scuola d‘Arte di Leon, di Augusto Quijano; la nuova Scuola dell‘Università della Valle del Messico a Monterrey, di Alejandro Lenoir; il Nuovo Campus del CEDIM, sempre a Monterrey, di Arquitectura 911sc (Jose Castillo e Saidee Springall) con Fernanda Canales; il Museo del Cioccolato Nestlé a Toluca, di Michel Rojkind e la Scuola d‘Arte di Oaxaca, opera di Mauricio Rocha. Questi ultimi due progetti si distinguono per le loro opposte caratteristiche ed esemplificano bene l‘attuale diversifità.
La fabbrica di cioccolato Nestlé, vicino a Toluca, capitale dello Stato del Messico,  è caratterizzato da un percorso coperto in modo che i visitatori possano osservare il processo di produzione. Michel Rojkind ha proposto il primo Museo del Cioccolato in Messico (il termine “cioccolato” viene dall‘antico Nahuatl: chocoa/cacao + atl/acqua), creando una nuova immagine della fabbrica grazie alla nuova facciata, di trecento metri, che si sviluppa lungo l‘autostrada. La concezione del progetto è basata su una forma pieghevole, come un uccello in origami o un alebrije (tradizionali figure di carta in forma di animale, dipinte a colori vivaci). Le sue capricciose pieghe rosse sono il racconto dell‘esplorazione di ciò che dovrebbe essere questo spazio. Lo spettacolare risultato è solido come le sfaccettate superfici che lo sostengono, dall‘ingresso principale, dove ha inizio il percorso attraverso la fabbrica fino al negozio del museo. L‘esperienza è prevalentemente sensoriale, piena di sorprese e rotture. La Scuola di Arti Plastiche a Oaxaca, progettata da Mauricio Rocha, nasce dall‘iniziativa del pittore Francisco Toledo, in collaborazione con l‘Università Autonoma Benito Juárez. Premessa importante, integrata nel progetto, è la presenza nel terreno di una struttura per il gioco del pallone pre-ispanico, in attività durante i fine settimana, e l‘edificio adiacente, utilizzato come una biblioteca, che diventerà il nuovo centro culturale dell‘Università. L‘assenza di un piano generale che integrasse inizialmente questi elementi, nonché l‘enorme quantità di terra dovuta ai lavori che si stavano svolgendo nel campus, hanno portato alla creazione di una serie di diverse pendenze sistemate a giardino e all‘isolamento richiesto per una scuola d‘arte.
La scuola si basa su due tipologie costruttive: edifici in pietra e altri in terra compattata. I primi si trovano al di sotto delle pendenze e generano una serie di terrazzamenti che ospitano l‘area amministrativa, la mediateca e le aule. La seconda tipologia è costituita dagli edifici isolati rispetti ai pendii, tutti orientati a nord, a eccezione della galleria e dell‘Aula Magna (nord-sud), realizzati in terra compattata, un sistema di costruzione in grado di raggiungere un microclima ottimale per le condizioni estreme di Oaxaca, e di isolare acusticamente l‘aula. Una sequenza di cortili, disposti lungo la pianta a scacchiera del complesso, in un‘alternanza di pieni e vuoti favoriscono la ventilazione incrociata nei laboratori.
Un altro lavoro, minore per dimensioni ma non per importanza, è l‘ampliamento del Museo di El Eco, opera di Fernando Romero e Juan Pablo Maza, a Città del Messico. Risultato di un concorso, organizzato dalla UNAM tra dodici architetti messicani under 40, l‘ampliamento per servizi del Museo Experimental, progettato da Mathias Goeritz nel 1952, muove da un atteggiamento progettuale discreto con caratteristiche peculiari e incorpora un cortile che raddoppia l‘originale e si apre sulla strada. L‘opera si presenta come l‘eco di quella di Goeritz, esplorando le potenzialità delle geometrie non ortogonali, pur rispettando le linee guida originali per ospitare un programma complementare, con magazzino, laboratori, uffici e servizi. Tuttavia, esperienze come questi musei e queste scuole d‘arte sono le eccezioni, in un contesto in cui gli edifici per appartamenti continuano a occupare il nucleo centrale della migliore produzione nazionale. Ininfluenti in materia di edilizia popolare (tema sviluppato da grandi imprese), gli architetti hanno incanalato le loro proposte tipologiche e formali negli alloggi collettivi di media dimensione, localizzati prevalentemente nelle zone centrali delle aree metropolitane, in particolare nella capitale. Se in alcuni casi il rapporto con il contesto può essere rilevante, i fattori compositivi determinanti rispondono più all‘espressionismo strutturale e alle restrizioni di permeabilità. A differenza dei complessi residenziali di altre parti del mondo, le forti esigenze antisismiche di Città del Messico impongono un carattere degli elementi strutturali tale da farli diventare gli elementi più importanti nelle facciate e perfino negli interni. A loro volta, le restrizioni della penetrabilità (più che della profondità edificabile, com‘è normale in molti altri paesi), hanno fornito soluzioni in cui le aree di circolazione comune diventano spazio permeabile. Il risultato favorisce la penetrazione visiva all‘interno dell‘edificio dalla strada, la creazione di cortili stretti e il recupero della tipologia ottocentesca delle vecindades (vicinati).
Da un altro punto di vista, la casa unifamiliare rimane il laboratorio formale per eccellenza, dato che né la struttura né il programma arrivano a condizionare il risultato, dando la possibilità  di un‘espressione sontuosa della spazialità: interni inondati di luce, ambiguità tra interno ed esterno ed espressività dei materiali, definiscono i tratti della maggior parte delle case. Sono degne di menzione l‘edonistica generosità delle case di López Baz y Calleja, la ricerca spaziale di Alberto Kalach, il solido rapporto tra forma e funzione nella casa TDA di Cadaval e Solà-Morales a Puerto Escondido, il delicato equilibrio tra lusso ed essenzialità della Casa Negra a Valle de Bravo, di Bernardo Gómez-Pimienta, o la Casa Kasuga di El Cielo Arquitectos. Questi ultimi esempi contrappongono una certa leggerezza all‘imperante tettonicità del contesto messicano. La diversità e la pluralità dell‘architettura messicana recente, evidenti in questa breve rassegna, non possono nascondere la mancanza di iniziative e progetti che riguardano lo spazio pubblico. Tuttavia, le proposte illustrate sono testimoni di un quadro assai complesso, in cui si manifestano comuni spunti e una varietà di risposte caratteristiche della prassi attuale, rivelando una quantità di architetture di spicco, che condividono strategie orientate a costruire con strumenti locali una realtà tangibile.

Miquel Adrià (1956), laureato alla Escuela Tecnica Superior di Barcellona, nel 1994 si trasferisce in Messico. Ha insegnato alla Escuela Elisava de Barcelona, al TEC di Monterrey, alla Facoltà di Architettura della UNAM, e in molte altre università. Attualmente è docente al IAAC (Instituto de Arquitectura Avanzada de Catalunya). Ha fatto conferenze in tutto il mondo e partecipato a molti seminari progettuali. È direttore della rivista messicana di architettura “Arquine”, e ha pubblicato un vasto numero di articoli su riviste internazionali. Ha realizzato molti edifici alcuni dei quali premiati, attualmente sta realizzando vai spazi pubblici nel territorio del Distrito Federale de Mexico e sta costruendo la Scuola di Infermeria e Ostetricia della UNAM; alcuni edifici a Polanco e La Condesa a Città del Messico e a Barcellona.