architect: Gaetano Pesce
year: 2009
Marco Casamonti: Sei un designer che ha mostrato negli anni una riconosciuta duttilità lavorando a tutto campo, come architetto alla scala dell’edificio e dell’interno, come progettista per l’industria del mobile e dell’arredo, e, adesso, con sorprendente naturalità, sei stato coinvolto nel disegno di vestiti e scarpe. Si tratta certamente di un percorso inusuale pertanto ritengo sia interessante per i lettori comprendere. come ti sei calato in questo nuovo tipo di progetto.
Gaetano Pesce: Direi senza difficoltà alcuna. Sarebbe interessante suggerire l’idea che ogni designer o architetto, facendo un mestiere creativo, può senza fatica disegnare o tagliare o modificare delle scarpe per farle diventare un oggetto di industrial design o un pezzo unico, purché ne abbia voglia e senta il desiderio di farlo.
M.C.: Melissa come azienda è predisposta a coinvolgere designer che operano anche al di fuori dell’ambito specialistico della moda, perché, come noto, ha già lavorato anche con altri architetti che avevano progettato oggetti per l’ambiente domestico. Il rapporto con l’azienda ed in particolare il lavoro sul prodotto è stato più difficile e complesso rispetto alle tue esperienze precedenti?
G.P.: No, no! È stato facilissimo. Fortunatamente sono persone che cercano l’innovazione. Melissa è un’azienda che interpreta la ricerca in un modo che mi è molto vicino, semmai ho avuto la sensazione che altri colleghi con cui l’azienda ha lavorato in precedenza, ad esempio i fratelli Campana, abbiano utilizzato alcuni codici che derivano dal mio modo di lavorare creando un modello di scarpe avvolte da spaghetti; altri invece hanno concepito dei prodotti molto tradizionali, direi banali, perché alcuni di loro sono più decoratori che non autentici innovatori nell’ambito del design. È importante definire e riconoscere il ruolo del designer, che è un ricercatore che lavora al progetto intervenendo con profondità nell’intero processo, mentre spesso molti lavorano fermandosi alla superficie, decoratori che lavorano alle forme, che possono anche risultare eleganti, ma sono solo una porzione epidermica di ciò che intendiamo per progetto. Melissa ha capito bene questo concetto perché le mie scarpe le vedo nei negozi di New York ed in tutto il mondo, un buon segno.
M.C.: L’aspetto interessante e innovativo del tuo progetto è che anche colui che compra un paio di scarpe può intervenire, staccarne dei pezzi, modificarle; sembra l’aspetto di un progetto vivo e non imposto, potremmo dire che si tratta di una scarpa democratica, nel senso che ognuno se la progetta e modifica a suo modo.
G.P.: Certo. Sono andato ad una presentazione in una galleria di Roma, lo scorso novembre e appena entrato ho notato che c’era già qualcuno che aveva comprato le mie scarpe, una giovane signora che le stava sistemando a suo gusto. Questo mi ha fatto immensamente piacere perché significa, in primo luogo, che il messaggio è arrivato, inoltre che la creatività non è un privilegio ma una opportunità che appartiene a tutti, non è una condizione limitata e limitante poiché provocando la creatività la gente può esprimersi. Questi risultati per me ed il mio lavoro sono molto importanti e gratificanti.
M.C.: Mi sembra questa la vera innovazione del progetto Melissa. L’aver concepito il disegno di una calzatura come un progetto aperto, in divenire...
G.P.: È un progetto aperto in grado di industrializzare oggetti che rifiutano lo standard, si tratta del futuro della produzione industriale intesa anche come adattamento e alterazione. Una produzione che in fondo rifiuta la messa sul mercato di pezzi uguali uno all’altro come se non esistesse l’originale ma una serie infinita di copie, viceversa attraverso questa strategia ogni pezzo è diverso, unico, individuale.
M.C.: Si tratta di una strategia che in qualche modo intreccia e mette in relazione il mondo dell’arte al mondo dell’industrial design...
G.P.: Esatto. E, a proposito dell’arte, vorrei sottolineare come finalità e obiettivo che l’arte non è mai stata quella che noi pensiamo o di cui discutiamo oggi; l’arte è sempre stata un’arte “utile” che serviva a soddisfare precise e determinate esigenze; la necessità di un ritratto, della rappresentazione nelle mura domestiche, di un paesaggio, di nature morte. In definitiva in passato il mercato non richiedeva un’arte fine a se stessa, richiedeva piuttosto dei prodotti realizzati attraverso la pittura, la scultura o altre forme e discipline d’intrattenimento come la musica e la danza. Per questo ritengo che occorra attenzione quando si parla di arte perché, a mio giudizio, ha un futuro solo se è utile alla società, alla vita delle persone. Adesso mi pare che talvolta l’arte sia utile solo a coloro che vanno nei musei di arte contemporanea, i quali come diceva Baudrillard non capiscono niente; tutti dicono che ciò che vedono, o a cui assistono, è estremamente interessante senza sapere il perché, condizione che spesso riguarda probabilmente anche gli autori.
M.C.: Ancora a proposito di Melissa mi piacerebbe capire la relazione tra chi pensa, progetta e chi produce, in fondo l’azienda ha prodotto veramente un pezzo alla Gaetano Pesce, nel senso che anche dal punto di vista della materia ha cercato di avvicinarsi ad un intero modo di pensare e lavorare, alle tue resine, alla tua esperienza con le plastiche, insomma ha aderito completamente al tuo modo di pensare.
G.P.: Quello che noi in genere facciamo quando lavoriamo sperimentalmente, in particolare quando Melissa è venuta a vedere il prodotto, è presentare una scarpa già fatta (un modello perfetto, non un disegno). In questo modo hanno potuto portarlo a casa mostrarlo ai dirigenti e capire che c’era veramente qualcosa di innovativo nella nostra proposta. Dopodiché hanno collaborato con grande capacità e attenzione e una altissima qualità realizzativa. Forse qualcuno pensa ancora al Brasile come ad un paese in via di sviluppo, una sorta di terzo mondo, ma con Melissa direi che parliamo di un’azienda di primissimo piano e di provate capacità.
M.C.: Passiamo dall’oggetto alla città, mi interessa un tuo pensiero, sintetico, rispetto a La Spezia e New York. La prima la conosci perché è la città dove sei nato e per la quale hai disegnato una diga a forma di pesce, un progetto, visionario, meraviglioso, divertente, ma che in Italia nessuno avrà il coraggio di costruire. Poi vorrei una definizione per New York che è la città dove hai scelto di abitare e lavorare.
G.P.: Prima di tutto vorrei dire che il luogo in cui mi piace di più abitare è New York, proprio perché trovi la maggiore offerta di servizi. New York è ancora una città in cui la gente ha bisogno di lavorare, non come Venezia o probabilmente anche Firenze. È una città dove la gente vuole tenere i negozi aperti e gli uffici disponibili 24 ore al giorno. A New York non sono i cittadini al servizio della città, come succede nelle vecchie metropoli, ma è la città, con la sua offerta di opportunità, al servizio di chi la abita. È in un certo senso una città domestica. Non è quella grande capitale come tutti noi pensiamo, perché New York è come un villaggio dove la gente comunica facilmente, dove i problemi vengono condivisi. Per quanto riguarda La Spezia, come ho già sottolineato con l’installazione alla Triennale, valgono quelle considerazioni che ho stigmatizzato con l’Italia crocifissa: la nostra nazione soffre perché il governo non solo non crea più i servizi necessari per vivere decentemente, ma possiede una classe di amministratori incapaci di proporre idee e progetti innovativi, una generazione incapace di elaborare grandi idee. Il passato ci consegna un paese che ha saputo produrre modelli e idee forti e originali, pensieri che il mondo per secoli ha celebrato e che viene ancora a vedere. Oggi l’Italia non propone più alcuna grande idea; il pesce di cui parlavi era un progetto che se realizzato avrebbe attirato visitatori a La Spezia che, viceversa, è una città invisitabile, dove non c’è niente che attira, se si esclude nelle vicinanze Portovenere.
M.C.: Personalmente l’avevo trovato un progetto straordinario e ho percepito l’imbarazzo del sindaco che pensava fosse bello e interessante ma irrealizzabile. Viceversa penso che dovremmo provare a costruire e proporre opere straordinarie arginando la banalità, raggiungere l’irraggiungibile, avere visioni e tentare di realizzale come hanno fatto i nostri antenati nel passato...
G.P.: Esatto. Dobbiamo fare un passo verso lo straordinario se vogliamo tornare ad essere il paese di prestigio che eravamo da secoli. Non lo siamo più e non siamo più nemmeno invitati a partecipare a decisioni politiche prese fra Germania, Francia, Inghilterra, Stati Uniti e Giappone; quello che a noi manca è l’originalità che avevamo e che non siamo più in grado di far germogliare e far rinascere, per questo la vita si ingrigisce e la gente diventa più vecchia, triste e disinteressata.
M.C.: Visto che abbiamo a lungo parlato di Melissa cosa pensi di una citta’ come San Paolo, o meglio quali idee suggerisce l’attuale Brasile?
G.P.: San Paolo è l’equivalente di Milano per l’Italia. È una città viva, molto grande, molto popolata. È una città che fra 50 anni probabilmente diventerà leader del mondo perché il Brasile è una delle nazioni più ricche di risorse naturali e San Paolo diventerà la capitale di questo immenso “capitale”.
M.C.: Avendo visto in triennale la tua installazione bellissima e suggestiva, dove l’Italia è rappresentata crocifissa, prende un senso di sconforto. Nel nostro paese ci sono molti soggetti e imprese capaci di pensare, proporre, progettare, tuttavia nell’opinione pubblica e nella considerazione di chi ci osserva sembriamo sopravvive solo sulla memoria, sugli allori passati come se non fossimo più in grado di esprimere valori forti e contemporanei.
G.P.: Penso che l’Italia abbia tutte le risorse intellettuali che possiede ogni altro paese avanzato, tuttavia non abbiamo il petrolio, l’uranio, il ferro, abbiamo però, ed è universalmente riconosciuto, una grande qualità che vale come una ricchezza naturale che è la creatività, ma purtroppo, ed anche questo risulta acclarato, non abbiamo la possibilità di metterla in uso. Siamo in grado di elaborare grandi progetti, quali ad esempio, il ponte sullo stretto di Messina: tuttavia costruire un ponte dritto che va da una parte all’altra sarebbe la più grande scemenza che possiamo fare, perché di quei ponti ce ne sono a migliaia e il più bello è il Golden Gate di San Francisco. La questione è realizzare un ponte unico al mondo e ho pensato che sarebbe "eccezionale" pensare ad un andamento planimetrico che segua una forma ad "S", (S come Sicilia), ad esempio per decelerare la velocità. Se il ponte, così come l’ho immaginato, fosse sostenuto da 20 pilastri, che rappresentano le 20 regioni di Italia, e se tali sostegni avessero dimensioni tali da contenere spazi espositivi all’interno per la promozione turistica e culturale dei luoghi idealmente attraversati allora, effettivamente, il ponte sarebbe qualcosa di unico al mondo. Il finanziamento infine potrebbe pervenire dal contributo di ogni regione di Italia che in qualche modo restituisce alla Sicilia quello che non è stato dato nel tempo.
M.C.: Ritornando al tuo progetto per Melissa ritieni il fatto che queste scarpe di plastica siano riciclabili, delle eco scarpe, sia una parte importante e fondativa del progetto, oppure si tratta di una condizione accessoria, perché oggi tutto deve essere politically correct? Inoltre quanto ha pesato questa idea di eco-strategy rispetto al progetto in generale e al rapporto che hai avuto con la struttura aziendale, la loro filosofia e il loro modo di lavorare?
G.P.: Se posso darti una percentuale, rispetto alla prima domanda, direi il 30%. Per quanto riguarda le considerazioni sul lavoro e l’azienda ti dico che in Melissa ci sono due proprietari, che si chiamano Grendene e sono di Verona. Quindi l’italianità ha radici profonde ed emerge dappertutto. Grendene ha consentito ad un brasiliano di origine giapponese di nome “Matzuo”, che è l’art director, di avere carta bianca in termini di creatività, un personaggio che gira il mondo per cercare spunti interessanti che poi conferiscono forma e identità alle collezioni.
M.C.: Se puoi, senza svelare niente, mi piacerebbe che tu mi parlassi dei tuoi ultimi progetti, delle cose che hai sul tavolo in questo momento.
G.P.: Sto lavorando a delle immense poltrone; la grande dimensione significa che la struttura degli oggetti diventa protagonista della nostra vita. La loro dimensione diventa macroscopica. Realizzo questi oggetti per delle gallerie d’arte e mi interessa molto perché è un procedimento completamente nuovo. Il materiale utilizzato è lo stesso delle siringhe per le trasfusioni che lavorato a temperature diverse riesce a creare qualcosa di molto interessante.
area/ Paulo Antonio Pedó Filho Melissa Manager
area: Chi è/Cos’è Melissa?
Melissa: Melissa rappresenta la celebrazione e la democratizzazione del design. Il marchio brasiliano, che compie 32 anni nel 2011, è conosciuto in tutto il mondo per il proprio spirito innovatore, per le creazioni in plastica, per aver saputo esplorare, lanciare e ricreare tendenze.
area: Melissa produce milioni di scarpe ogni anno ed esporta dal Brasile in tutto il mondo. Quando è iniziato questo successo?
Melissa: In questi 32 anni, Melissa ha investito nell’innovazione con l’obiettivo di diventare un punto di riferimento per la moda in tutto il mondo e non un effimero fuoco di paglia. L’azienda usa la materia prima del futuro: la plastica. Il segreto di tale successo è da ricercarsi in tutta una serie di valori, insiti nel “DNA” stesso del marchio Melissa: buonumore, design, innovazione, pop, lusso, diversità, contentezza ed emozioni. Un mix che ha fatto di Melissa un creatore d’arte e di sogni di plastica, con veri clienti-fan che sono cresciuti con il marchio stesso e che hanno tante storie da raccontare.
area: “Melissa è green”: la vostra azienda produce scarpe di plastica completamente riciclabili. Che materiali usate? Che importanza ha per voi la sostenibilità? Necessità o valore?
Melissa: Riteniamo che la sostenibilità sia insita nel modo stesso in cui portiamo avanti il nostro business. Questa sede è l‘occasione per comunicare, informare e chiarire quella che è la nostra posizione nei confronti della sostenibilità, nonché fornire ulteriori informazioni riguardo alla principale materia prima da noi utilizzata: un composto del PVC. È stato dimostrato che il PVC prodotto da Grendene è assolutamente sicuro, per la sua realizzazione non vengono infatti utilizzati stabilizzanti contenenti metalli pesanti, nel pieno rispetto degli standard e delle specifiche tecniche. È altrettanto importante sottolineare che la Grendene si impegna a sviluppare composti termoplastici sempre nuovi, anche a partire da fonti rinnovabili. Lo speciale PVC Grendene, contenente additivi che gli conferiscono una maggiore elasticità e piacevolezza al tatto, si chiama Melflex®, un nome che abbiamo deciso di utilizzare sia per riferirci alla nostra strategia di design sostenibile che a tutti i materiali utilizzati per i prodotti Melissa. In generale, questo dà ai nostri modelli un vantaggio rispetto a prodotti simili sul mercato. Ecco la speciale formula Melissa.
area: Anche la vostra fabbrica si potrebbe definire un’industria eco. Da dove proviene questa forte sensibilità verso la salvaguardia dell’ambiente? In che modo si ottiene l’“impatto zero”?
Melissa: Non si tratta solo della scelta delle materie prime; fin dagli inizi tutti i prodotti Grendene sono progettati seguendo i migliori standard del design sostenibile. In altre parole, i prodotti Grendene sono realizzati con il più basso consumo di energia possibile, sono pensati per durare nel tempo, per poter essere riutilizzati e, giunto il momento di buttarli, possono essere facilmente “smontati” per permettere il riciclo delle singole parti. Tale strategia di produzione si rispecchia nel fatto che la maggior parte dei nostri modelli sono realizzati in un unico materiale.
area: Vi distinguete per la capacità di realizzare “sogni di plastica”, attraverso un’attenzione particolare alla creatività. Quando nasce l’interesse di Melissa per l’arte e l’architettura?Melissa: Fin dagli anni Ottanta l’azienda ha chiamato grandi nomi, a livello nazionale e internazionale, invitadoli a sviluppare nuovi prodotti. Nei primi anni era lo spirito innovativo e l’audacia delle creazioni di Jean Paul Gaultier, Patrick Cox e Thierry Mugler ad attrarre l’attenzione; negli ultimi anni hanno lavorato per Melissa il designer Karim Rashid, i fratelli Campana e gli stilisti di origine britannica J. Maskrey e Judy Blame. Nel 2008 sono andate ad aggiungersi alla lista due donne straordinarie: la stilista britannica Vivienne Westwood e l’architetto iracheno Zaha Hadid.
area: Quali caratteristiche particolari deve avere un designer per lavorare con voi?
Melissa: Devono essere felici, ottimisti, divertenti, avere lo spirito di una ragazzina, devono essere innolvativi e dirompenti.
area: Com’è nata la collaborazione tra Melissa e Gaetano Pesce?
Melissa: Edson Matsuo, responsabile di prodotto presso la Grendene, ha provveduto a prendere i primi contatti. Melissa è continuamente alla ricerca dei migliori artisti e l’opera di Gaetano è perfettamente in sintonia con i valori del marchio. Pesce ha dichiarato che alla base della propria collaborazione creativa con Melissa vi è “il desiderio di sviluppare scarpe innovative e uniche; in altre parole, la possibilità di arrivare ad una post-personalizzazione della scarpa”. Architetto, artista e designer, Gaetano Pesce è conosciuto, a livello internazionale, per la sua versatilità, la sua opera spazia in settori differenti e utilizza materiali molteplici. La creatività di Pesce e il suo desiderio di creare qualcosa di originale si riflette nell’uso dei colori, nella multi-funzionalità degli oggetti e degli spazi e nell’apprezzamento della femminilità delle forme.
area: La scarpa scultura Melissa+Gaetano Pesce, più che una scarpa, è un’opera d’arte. Lasciate liberi i designers nel processo creativo oppure date indicazioni precise da seguire fedelmente?
Melissa: Questa domanda dovrebbe essere fatta a Edson Matsuo. Scrivetegli una e-mail, se siamo fortunati risponderà.