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Herzog & De Meuron, Dominus Winery 1996-1998 - photo by Margherita Spiluttini

La cantine: da parti di edificio a porzioni di paesaggio

Internazionalmente i luoghi di produzione del vino sono chiamati opportunamente “vinerie”, viceversa in Italia resiste il termine “cantine”, mentre in Francia si usa addirittura la parola “castello”. La differenza terminologica, dal punto di vista architettonico, è tutt’altro che banale e svela la metamorfosi tipologica che ha cambiato
i tradizionali luoghi di produzione – almeno nei due paesi al mondo che si contendono la leadership in termini di cultura vitivinicola – da edifici (o parti di essi) destinati ad altri usi a siti industriali contemporanei appositamente progettati per la lavorazione di un prodotto indissolubilmente legato alla produzione agricola quale è la coltura della vite. Queste brevi considerazioni, pur espresse con una semplificazione imposta dalla necessità di sintesi che è dovuta ad una apparente disputa da dizionario, possono in realtà aiutarci a comprendere le dinamiche che attraversano, ormai da almeno due decenni, una attività economica rilevantissima che ha effetti diretti sull’architettura e sul paesaggio industriale, su vaste porzioni di territorio e quindi sul paesaggio naturale, sugli usi e i costumi di molte società dove abitudini e comportamenti mutano, come ovvio, al mutare delle condizioni socio-economiche di partenza.
Procedendo con ordine occorre tornare a sottolineare come, dal punto di vista della tipologia edilizia, le “vinerie” siano complessi industriali e contemporaneamente commerciali, relativamente giovani. Originariamente i luoghi di produzione erano legati a residenze nobiliari o di proprietari terrieri che nelle fondamenta delle proprie ville o castelli adibivano ampie zone voltate alla fermentazione delle uve successivamente lasciate in recipienti, botti di legno o direttamente in bottiglie di vetro, secondo il tipo di produzione, per la successiva maturazione. L’interramento e l’occupazione sistematica del sottosuolo di complessi residenziali tanto pregevoli e importanti era dovuta alle necessità termiche connesse con la produzione stessa del vino che, nel processo di maturazione, deve “riposare” in spazi caratterizzati da temperature basse e costanti tra estate e inverno oltre che da un clima umido in modo da ridurre l’evaporazione del prodotto. Ovvio, che in antichità tali condizioni si trovassero naturalmente (non essendo disponibili energia e sistemi di climatizzazione meccanica) soltanto sfruttando l’inerzia termica della terra, il suo intrinseco contenuto di umidità oltre il fresco di ambienti posti lontano dal calore provocato dall’irraggiamento solare. Tali luoghi di produzione risultano quasi sempre celati alla vista, protetti nelle fondamenta e nei magazzini interrati, ricoperti da giardini o prati da cui deriva il toponimo italiano “cantine”, spazi perfettamente integrati nell’architettura e nel paesaggio. Possiamo parlare, per questa fase, di luoghi di produzione pensati come parti di edificio; la cantina come “scrigno”. Va inoltre ricordato che ciò che oggi è una bevanda di pregio legata al piacere del bere e ad una ristorazione di livello, un tempo era parte integrante della dieta delle classi sociali più deboli costituita da ingredienti al tempo poveri e semplici come “pane e vino” da cui trarre carboidrati e zuccheri necessari per bilanciare energeticamente il dispendio dell’attività fisica legata al lavoro nei campi. Per questo, particolarmente in Italia, oltre alle residenze nobiliari, ogni casa di contadini aveva nelle cantine la sua piccola zona di produzione tutta artigianale che costituiva, contrariamente ad oggi, una fittissima e distribuita rete produttiva fatta di microunità disseminate nel territorio che niente avevano a che vedere con la produzione industriale e la dimensione commerciale di oggi.
Con il progressivo abbandono delle campagne e con la trasformazione dell’agricoltura da economia artigianale e familiare ad attività industriale, nella fase del secondo dopoguerra, la produzione del vino si è generalmente concentrata in banali edifici industriali climatizzati artificialmente, grazie all’ausilio della diffusione dell’energia elettrica e di una relativa facilità nei trasporti di merci e manufatti. Luoghi dove gli agricoltori portavano i propri raccolti e le proprie uve che poi venivano lavorate in modo anonimo e indistinto; non era importante l’etichetta intesa come produzione particolare e specifica, piuttosto l’area geografica di provenienza indicata come l’intorno entro cui si produceva un certo tipo di vino. Per tali motivi l’edificio in cui concretamente si procedeva alla vinificazione e conteneva gli impianti di stoccaggio e maturazione non rivestiva alcuna importanza dal punto di vista architettonico e paesaggistico limitandosi a svolgere un ruolo puramente funzionale. Sono gli anni, almeno in Italia, dello sviluppo delle cosidette “cantine sociali”. Possiamo indicare questa fase, relativamente recente e breve, come un periodo di passaggio e di trasformazione delle antiche realtà artigianali in unità di tipo industriale caratterizzate dalla necessità di ricollocare la precedente micro produzione diffusa in edifici più grandi pensati e costruiti per rispondere nel modo più economico possibile alle esigenze produttive inserite in semplici contenitori; la cantina come “scatola”.
L’ulteriore e rapido innalzamento del livello sociale e con esso le mutate abitudini quotidiane legate ad una maggiore consuetudine a mangiare fuori dalle mura domestiche, trasformano radicalmente il consumo di vino che segue le richieste di una domanda finalizzata ad individuare, attraverso la diversità dei vitigni d’origine, produttiva e di provenienza, caratteristiche particolari studiate per soddisfare una parallela diversità di offerta di cibi generata dal diffondersi dell’apprezzamento dell’arte della cucina.
Il nuovo ruolo assunto dal vino all’interno della catena alimentare riduce il consumo pro-capite in modo inversamente proporzionale all’aumento del costo di produzione direttamente dipendente da una continua richiesta di specializzazione e raffinatezza produttiva. Il vino, la sua conoscenza, la sua cultura, ed in ultima analisi il piacere e la consapevolezza del bere, divengono rapidamente un elemento di distinzione sociale e intellettuale; una maniera per segnare la propria identità nel soddisfacimento delle attività quotidiane, quali mangiare, evidenziando uno stile di vita che trasforma necessità in opportunità, bisogni in desideri.
Parallelamente al “vestire”, che globalmente si trasforma da obbligo quotidiano a simbolo di benessere o appartenenza sociale, “il bere” diventa un fenomeno di moda, un’esigenza globale di dimostrazione del proprio gusto, della propria capacità di scelta e di consapevolezza del proprio stile di vita, l’affermazione che è possibile raggiungere piaceri e consuetudini un tempo riservati ad élites ristrettissime. Il gusto, la capacità del prodotto di mantenerlo inalterato nel tempo, la differenza e il variare di questo secondo le stagioni, della annate di raccolto, dei vitigni e delle zone di produzione divengono variabili differenziali del successo di un prodotto rispetto ad un altro aprendo una competizione globale inarrestabile che si estende oltre l’Europa (Italia e Francia soprattutto), alla California, al Sud America in particolare Cile e Argentina, al Sud Africa, all’Australia, fino a contagiare negli ultimi anni anche la Cina con il suo straordinario potenziale agricolo e industriale rapidissimo nell’assecondare e soddisfare i desideri di una popolazione caratterizzata da un impetuoso sviluppo socio economico.
La ricerca della qualità e delle differenze, della specificità di un determinato prodotto attraversa tutta la filiera produttiva e caratterizza e qualifica la produzione verso l’alto; dalle condizioni di partenza che sono la terra e i luoghi di produzione, fino alla materia prima, i vitigni e le uve, alle zone vere e proprie di trasformazione e infine agli edifici dove le lavorazioni avvengono e i modi in cui queste si generano, la naturalità e semplicità con cui si raggiungono i risultati ricercati.
Privi di una vera e propria tradizione, di una storia, di castelli, palazzi nobiliari o dimore antiche, gli americani capaci come nessun altro di pianificare, programmare e costruire miti, “realizzano” inizialmente distretti agricoli specificatamente dedicati al vino, come ad esempio Napa Valley in California, in modo da competere ed emulare comparti storicizzati e universalmente celebrati come il Bordeaux in Francia o il Chianti in Italia. Contemporaneamente estendono la loro consolidata capacità produttiva e commerciale inventando luoghi immaginifici per la lavorazione delle uve e la produzione del vino, luoghi che se non possono competere sul piano del tempo possono viceversa surclassare le antiche vinerie europee dal punto di vista dei servizi e delle dimensioni essendo progettate ex-novo per le esigenze di un nuovo pubblico, di una nuova clientela e di un nuovo mercato. Con un pragmatismo che deve essergli riconosciuto gli americani, tra i primi, si pongono il problema del successo e della fortuna commerciale dei loro prodotti; successo che in una bevanda particolare come il vino dipende in primo luogo dalla sua intrinseca qualità, che nasce da una attenta ricerca che ha un costo e un prezzo che deve essere giustificato e spiegato, finanche esaltato. Gli americani estendono l’idea che processi enologici tanto complessi, lunghi ed in definitiva costosi, debbano essere necessariamente mostrati al pubblico e ai potenziali consumatori nella maniera più efficace e convincente possibile. Visitare cantine non è pertanto una moda effimera, temporanea, ma una esigenza specifica di un mercato dove il valore e il plusvalore devono fondarsi su dati oggettivamente riscontrabili come l’appropriatezza e la bellezza dei paesaggi e dei terreni di produzione, la cura con cui si svolgono le lavorazioni, la qualità dei materiali e dei luoghi impegnati nel processo produttivo, il tempo e la durata di detto processo, la naturalità dello stesso, la rarità ed in definitiva l’esclusività di ciò che si acquista talvolta a carissimo prezzo.
La sfida contemporanea è realizzare cantine che siano al contempo luoghi industriali adatti alla produzione ma anche spazi affascinanti e suggestivi, perfettamente integrati con il paesaggio in modo da non alterare la naturalità e la bellezza dei territori che ospitano le vigne, ma pratici ed efficienti per consentire l’economicità e la facilità della lavorazione e del trasporto del prodotto finito. Edifici in grado di ospitare grandi spazi per la maturazione in barriques dell’intera produzione ma al contempo caratterizzati da ambienti non anonimi e indifferenti che perderebbero la sfida della ricerca di una intrinseca misticità ed esclusività del prodotto che invece è consolidata all’interno degli antichi castelli e nelle dimore storiche proprie della tradizione vinicola più conosciuta e celebrata. La ricercata e indispensabile naturalità della produzione e l’utilizzo di tecniche e metodi tradizionali impongono all’edificio di radicarsi al suolo e di trovare la propria “temperatura” e “umidità” in modo sostenibile senza l’utilizzo di sofisticati impianti di climatizzazione e affidandosi, come in passato, all’energia proveniente direttamente dalla terra. La possibilità di utilizzare, per quanto possibile i dislivelli naturali dell’orografia circostante l’edificio aiuta a non utilizzare sistemi meccanici e di pompaggio per la movimentazione delle uve, del mosto e del vino, rimandando per quanto possibile ad una dinamica dei fluidi che sfrutti la gravità. Se queste ultime condizioni imposte da una indispensabile sostenibilità dei processi produttivi è parte integrante della tradizione e dei luoghi di produzione più antichi è altrettanto vero che questi si trovino in difficoltà e inadatti ad affrontare le dinamiche industriali contemporanee, nonché a rispondere alle esigenze commerciali legate alla necessità di rendere visitabile ed ospitale ogni luogo ed ogni fase della produzione. Per tali motivi, anche le cantine più conosciute e consolidate hanno assecondato l’istanza di adeguarsi alle nuove condizioni imposte da un mercato ormai dilatato su scala globale. Parimenti le vinerie contemporanee sono diventate i luoghi più esclusivi di una ricerca progettuale che ha visto impegnati quasi tutti i protagonisti del dibattito architettonico di oggi.