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il pensiero e le suggestioni di Massimo Iosa Ghini

Classe 1959. Dal 1985 partecipa alle avanguardie del design italiano, fonda il movimento culturale Bolidismo ed entra a far parte del gruppo Memphis con Ettore Sottsass. Negli stessi anni apre la Iosa Ghini Associati, con sede a Milano e Bologna. Da allora disegna collezioni di oggetti e sviluppa art direction per rilevanti aziende di design italiane ed estere. Tra i progetti principali più recenti si annoverano i Ferrari Store in Europa, Stati Uniti e Asia; vari hotel in Europa nonché gli spazi aeroportuali della compagnia aerea Alitalia.

Key West, Edizione Limitata Iosa Ghini Limited Edition 2008
Key West, Iosa Ghini Limited Edition, 2008

area: Nella fase di progettazione di un oggetto di design per la cucina prevale la ricerca della funzionalità o viceversa l’attenzione verso il carattere estetico?
Massimo Iosa Ghini: Nel progetto di una cucina cerco l’armonia, il rapporto tra la persona e l’utilizzo complessivo dell’ambiente.
area: L’atto creativo del designer è più legato a soddisfare le esigenze funzionali o le suggestioni sensoriali del piacere e del gusto?
M. I. G.: Nel caso della cucina, io provoco con le idee che mi derivano dall’essere trasversale. Penso al designer come a un fattore “impollinante”, la tecnologia del “fiore” – su come si fa il “fiore” –  ce l’hanno le nostre meravigliose aziende. Certo dopo tanti anni ho raggiunto una sapienza di realizzazione, anche se a volte però debbo “spegnerla”, e questo può essere un forte limite.
area: Pensa sia possibile sovvertire l’associazione, consolidata nel tempo, tra oggetti della cucina e materiali con cui sono realizzati (tipo il bicchiere in vetro, il piatto in porcellana, la posata in metallo...)? E quanto influiscono questi ultimi nella produzione del design?
M. I. G.: Credo sia possibile una sovversione tra oggetti da cucina e materiali utilizzati, purché questo cambiamento abbia un senso. Ogni materiale ha delle caratteristiche ben precise, non parlo solo di chimica ma anche della “percezione” delle cose. Penso alla tazzina da caffè in materiale ceramico, con il suo spessore consistente e la sua forte matericità, trattiene il calore e l’aroma del suo contenuto, non riuscirei ad immaginare un materiale migliore! Nel corso degli anni ho disegnato oggetti usando molti materiali: plastiche, fibre, vetro, metalli, ceramiche, pietre. Il legno mi interessa di più adesso perché lo sento affine al mio sentire di oggi. Non tutti i tipi di legno vanno bene, ma molti si possono usare e aiutano a non dissipare CO2. Poi disegno oggetti che “rubano” idee a quelli artistici ma che sono fortemente condizionati da esigenze industriali e di mercato in cui anche un grammo di materiale può essere importante da risparmiare; lì il lavoro è di gruppo con esperti che ti condizionano e che ti guidano e tu devi tenere il timone, fare le scelte giuste...
area: Quali sono le aziende più sensibili alla ricerca e che sono meglio disposte a investire nel design?
M. I. G.: Quelle italiane hanno una naturale propensione al design, poi ci sono quelle tedesche che hanno affinato il metodo italiano per una produzione più massificata.
area: Quali sono gli oggetti che l’hanno ispirata? Quali i designer che hanno fatto scuola sul tema del cibo? E quali i pezzi emblematici?
M. I. G.: Le bottiglie della Coca di Lowy. Le posate di Alessi di Sottsass e Castiglioni. Il mobile infinito di Mendini e Alchimia. Lo shaker di Massoni e Mazzeri. Le opere di Giorgio Morandi.
area: Quali sono gli ultimi pezzi da lei realizzati nell’ambito del design per la cucina?
M. I. G.: Presenterò al prossimo Salone del Mobile la cucina E-Wood per Snaidero, come tutte le mie cucine. Un progetto basato su una struttura razionalizzata e semplificata che racconta uno stile naturale, dal sapore autentico, privo di elementi superflui, in cui il legno è il protagonista indiscusso. Una risposta sostenibile all’abitare domestico. Si parte da un materiale, il legno e dalla volontà di rendere questo legno veramente ecologico, con struttura e massa naturale. Il tema di compatibilità ambientale del prodotto va sempre tenuto presente (anche se ora è un po’ troppo glamour) associandolo con un progetto di paziente ricerca delle qualità oggettive  che sono immediatamente percepibili “a istinto”. Nel 2000 ho disegnato la cucina Gioconda che fonda il suo successo sull’idea di rappresentazione di cucina “platonica”, in realtà è la rappresentazione fisica di come ci si immagina una cucina, o di come la immagina la maggior parte delle persone, piace così tanto perché la si riconosce, è come una sorta di cucina ideale, platonica appunto, ma reale.
area: Che caratteristiche ha una cucina da lei progettata a livello di concezione dello spazio?
M. I. G.: Le cucine che progetto hanno sempre un sistema di mobili aperto, in cui è possibile condividere sia la preparazione che il consumo del cibo, da qui l’esigenza di dotare la cucina di contenuti funzionali innovativi, in linea con l’evoluzione dei ritmi quotidiani e delle soluzioni non banali, sempre sorprendenti. Per dare senso ad un nuovo oggetto ci vuole come minimo un’idea.
area: Che rapporto si instaura con i fruitori che vivono gli ambienti da lei progettati?
M. I. G.: Ogni tanto incontro qualcuno che mi dice: “Sai ho un tuo divano, una tua poltrona”, lui sa che l’ho disegnato io ed è informato su di me, a volte invece vedo luoghi illuminati da mie lampade, magari un garage e nessuno li guarda e nessuno sa chi li ha disegnati, fanno luce e basta. Oppure entro in un negozio e vedo che la gente guarda i vestiti li prova, sta in mezzo ai miei colori, alle mie grafiche, cammina sui pavimenti che ho scelto, ma per fortuna pensa ad altro. Che rapporto ho? mi sento soddisfatto di aver realizzato oggetti e luoghi, ma soprattutto che tutte queste persone riescano a godere del mio lavoro. Non sono più di tanto interessato all’apprezzamento esplicito quanto a quello sostanziale.