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“Circleprototemple....!“. Plywood, polyamide tulle, foam, cotton corduroy, elastic cord, samba drum, drumstick, 285 x 310ø Installation view at The Edges of the World Hayward Gallery, Southbank Centre, 19 June-5 September 2010. © Ernesto Neto 2010. Photo by Stephen White.

Arabella Natalini: Le tue opere sono sempre sorprendenti, non solo per la loro bellezza ma anche per le numerose suggestioni che evocano. Il termine “bellezza” è oggi indubbiamente controverso, ma spero che non tu non abbia problemi con questa parola... Tornando alle suggestioni del tuo lavoro, ritengo straordinario il modo in cui le tue forme astratte rievocano una molteplicità di cose diverse. È stato detto che i tuoi lavori evocano aspetti familiari e, allo stesso tempo, fortemente inusuali. Hai una particolare fonte d’ispirazione di cui vorresti parlarci?
Ernesto Neto: Vorrei vedere il mondo diviso in bellezza e tristezza. Ogni cosa, ovviamente, si colloca fra questi due estremi. Il contrario della bellezza è appunto la tristezza e viceversa. La bellezza è un momento fugace, qualcosa di simile allo Zen, che appare e scompare, un lampo. La bellezza può generare dolore, ma la tristezza è un dolore continuo senza trascendenza, la tristezza non è un momento passeggero, ci ferisce nel profondo e purtroppo il mondo ne è pieno. Quante volte le persone invocano la bellezza…Il mio lavoro non è astratto né figurativo, ma qualcosa che si colloca a metà strada fra i due, fra la mente e il corpo.
A.N.: Negli ultimi 10 anni, hai creato molte opere importanti per siti specifici, come quelle per la Biennale di Venezia (2001 e 2003) o per il Macro a Roma (2008), in cui l'interazione con lo spazio circostante e con il pubblico è una componente imprescindibile del lavoro. La tua mostra personale all’Hayward Gallery di Londra nel 2010 ha “invaso” l’intero spazio della galleria, enfatizzando ancora una volta questo forte senso di relazione con l’altro da sé. L’interazione fisica nelle tue opere è pressoché immediata e coinvolge tutti i sensi e quando il pubblico s’immerge nelle tue istallazioni, nascono nuove relazioni, più intime e psicologiche. Cosa puoi dirci a questo proposito?
E.N.: Non direi che “É o bicho“ a Venezia 2001 e “While Nothing Happens“ al Macro siano opere site-specific. Anzi, non amo questa espressione, la trovo troppo tecnica. Queste opere possono essere istallate in luoghi diversi, come infatti è successo per entrambe. Tuttavia, sono istallazioni create in stretta correlazione con lo spirito del luogo, e non parlo solo dell’architettura in sé ma dell’intero contesto di inserimento. Entrambe le opere hanno espresso significati differenti quando sono state messe in mostra altrove Si sono come liberate dal loro guscio, sono divenute più indipendenti. All’Hayward, mi sono confrontato con una situazione estrema e del tutto nuova, ben diversa dal semplice cubo architettonico bianco (anche se va detto che l‘Arsenale e l‘atrio del Macro non sono esattamente un cubo bianco). Ma il contesto in cui risiede l’Hayward è molto più complesso. Realizzando opere fortemente interattive, mi sono trovato a lavorare con una “istituzione bianca” (altro termine che detesto), una situazione che coniuga realtà istituzionali, architettura, curatori, pubblico, marketing, salute e sicurezza, tutti fattori che concorrono a creare la trama con la quale confrontarsi. Tutto il mio lavoro verte sulle relazioni che si esprimono nella danza delle tensioni strutturali fra i materiali della scultura, con i loro pesi, texture e odori, nel rapporto con il pubblico e nella complessità rapportata all’istituzione. Si crea uno spazio intimo in un ambiente pubblico.
A.N.: Molte delle tue opere hanno anche una componente ludica, e un’altra che può essere letta come un invito a rilassarsi. Pensi che il gioco e il relax possano essere considerati una parte importante della vita contemporanea?
E.N.: Il piacere riveste una grandissima importanza nella nostra vita e uno dei miei obiettivi è appunto quello di dimostrarlo, dandogli spazio. Nelle mie opere, tuttavia, la componente ludica è talvolta in contraddizione con il concetto di relax, poiché l‘uno è sinonimo di attività e l‘altro di passività. Assistiamo in molti casi a una situazione paradossale, la stessa opera può essere interpretata da alcuni in un modo e da altri in un altro. Si crea un conflitto, anche se entrambi gli aspetti tendono al raggiungimento del piacere. È una cosa che impariamo vivendo, quando il piacere si presenta lungo il nostro percorso; anche se provoca sofferenza, quando prendiamo consapevolezza il piacere si materializza. Abbiamo bisogno di tempo per divertirci e prendere respiro, ognuno di noi lavora sodo per guadagnarsi qualche momento di svago, ma dovremmo imparare a goderci la vita ogni giorno, dovremmo ritagliarci più tempo per il divertimento e il relax.
La vita è gioia! Altrimenti, perché viverla?
A.N.: Insieme a Lorenzo Giusti ho recentemente curato la mostra collettiva “Suspense. Sculture sospese“, presso EX3 - Centro per l’arte contemporanea di Firenze. La mostra vuole esplorare il concetto di ‘sospensione‘ in relazione alla produzione scultorea contemporanea. Tu hai creato numerose opere sospese (la tua “While Nothing Happens Baby“ è attualmente sospesa all’alto soffitto del nostro spazio) in cui leggerezza e peso concorrono a creare un equilibrio scultoreo magico. Può dirci quale rapporto lega la scultura e la pratica della sospensione nella tua produzione artistica?
E.N.: Il concetto base è quello della gravità. Mi interessa dare significato alla scultura così come alla vita e la gravità mi consente di esprimere l’interazione fra gli elementi, su un piano strutturale e invisibile dal quale tutto ha inizio. Le opere vivono in un dato momento e continuativamente, se perdono la componente della gravità o se poggiano a terra allora la scultura, l‘arte stessa si dissolve. Deve esserci sempre una fonte di attivazione, un‘energia costante dell’essere, perché l’opera d’arte vive nel tempo e con il tempo. C’è la vita e c’è la morte, e la catastrofe è sempre imminente. Tutto cade, cade costantemente.

A partire dalla metà degli anni Novanta, Ernesto Neto (1964), che vive e lavora a Rio de Janeiro, ha creato sculture e installazioni esposte in tutto il mondo. La sua ispirazione attinge non solo dal biomorfismo e dall‘astrazione modernista di Calder e di Brancusi, ma anche dall‘arte concettuale, sociale e dalle installazioni dei suoi predecessori brasiliani, Lygia Clark e Helio Oiticica. Utilizzando una combinazione di materiali comuni e organici, come calze, spezie, sabbia e conchiglie Neto cerca di coinvolgere i cinque sensi, invitando i visitatori a interagire tra loro e con l‘opera d‘arte.