area 130 | gathering places

Le Serpentine Summer Galleries, strutture temporanee costruite ogni anno a Londra, nascono dal progetto dei più grandi architetti a livello internazionale, quali Zaha Hadid, Oscar Niemeyer, Jean Nouvel o Sou Fujimoto, per l‘edizione 2013. Effimere per il loro carattere temporaneo, hanno spesso fornito l‘occasione per una riflessione sul futuro dell‘architettura contemporanea, oltre che uno spazio in cui organizzare eventi “artistici”.
Dal 1991, sotto la direzione di Julia Peyton-Jones, la Serpentine Gallery, galleria d‘arte situata nei Kensington Gardens, Hyde Park (Londra) ha continuato a rafforzare la propria immagine non solo grazie a mostre di arte contemporanea ma anche attraverso la presenza, a partire dall‘anno 2000, dei suoi Summer Pavilion, installazioni temporanee progettate da alcuni dei più rinomati architetti del momento. Attualmente co-direttore, insieme a Hans-Ulrich Obrist, la Peyton-Jones ha deciso di scegliere per la suddetta installazione architetti che non avessero ancora portato a termine alcun progetto nel Regno Unito. Benché temporanei, poiché collocati in uno dei Royal Park, i diversi padiglioni hanno spesso messo in discussione alcuni degli assiomi sull‘architettura, la sua funzione e progettazione, una conseguenza certamente dell‘impeto conferito al progetto dagli stessi direttori, ma anche del coinvolgimento degli ingegneri di Arup, in modo particolare di Cecil Balmond.

Voluta dall‘Arts Council della Gran Bretagna e collocata in un ex stabilimento per la produzione del tè, la galleria Serpentine era solita ospitare nel proprio giardino, in estate, una struttura temporanea in cui organizzare un evento annuale patrocinato da Vanity Fair; questo fino agli anni novanta, periodo in cui la galleria viene sottoposta ad una ristrutturazione di ampia portata, al termine della quale si sarebbe svolta la grande cena di gala, alla presenza di Sua Altezza la Principessa del Galles, patron della galleria. La morte di quest‘ultima (31 agosto 1997), ritarda in modo considerevole l‘organizzazione dell‘evento, che si svolgerà solo nel 2000. Decisa a voler realizzare qualcosa che si discostasse completamente dalle precedenti strutture “a gazebo”, la Peyton-Jones interpella Zaha Hadid, uno degli amministratori fiduciari della galleria. La sua “struttura scultorea temporanea” diviene simbolo della cena di gala per il trentesimo anniversario della galleria, svoltasi il 20 giugno 2000. Il padiglione sarebbe dovuto rimanere nel giardino inizialmente fino al 22 giugno ed essere aperto al pubblico nel pomeriggio dello stesso giorno. Con i suoi 600 metri quadrati calpestabili, il padiglione presentava una copertura triangolare e una struttura in acciaio, era al tempo stesso planare e angolare. Le luci, posizionate tra i due strati della copertura del tetto unite agli arredi bianchi e neri, progettati dalla stessa Hadid, contribuivano a dare all‘installazione un aspetto dinamico e inusuale. Julia Peyton-Jones spiega perché la struttura della Hadid abbia avuto un carattere meno temporaneo di quanto previsto in origine: “il Segretario di Stato per la Cultura, i Media e lo Sport era, in quel periodo, il visionario Chris Smith. Appassionato d‘arte e esperto di architettura, venne alla cena di gala e, alla vista del padiglione di Zaha Hadid, disse che gli piaceva molto; quindi io suggerii di farla durare più a lungo e lui fu d‘accordo. Parlò con i responsabili del parco e disse che la struttura sarebbe dovuta rimanere al suo posto per l‘intera estate.Se fossimo stati noi a chiedere una cosa del genere, la risposta sarebbe probabilmente stata negativa. Coadiuvati da Allegra McEvedy, oggi divenuta una nota chef, realizzammo una sorta di cucina “da campo” e aprimmo la prima caffetteria esterna della Serpentine Gallery. Ecco spiegata la genesi del progetto per il padiglione temporaneo. Non credo lavorammo ad altri progetti per quell‘anno”. Per Julia Peyton-Jones, l‘idea di creare un diverso padiglione nell‘anno seguente fu quasi naturale. Come lei stessa ci spiega: “Non appena Chris Smith disse che la struttura di Zaha Hadid sarebbe potuta rimanere, ci ponemmo la domanda se avremmo dovuto organizzare di nuovo qualcosa del genere. La risposta, quasi immediata, fu “sì”; al povero Daniel Liebeskind concedemmo ancora meno tempo di quanto dato a Zaha. Ogni anno ci ritroviamo senza fondi e, in parte, volontariamente, cerchiamo infatti di dimostrare che non servono molti soldi, non si deve essere esperti o avere a disposizione un terreno chissà quanto vasto; non servono neppure tante conoscenze. All‘inizio, non conoscevo tutti i più grandi architetti del pianeta; siamo partiti con modestia. Il messaggio è che se abbiamo potuto farlo noi, tutti possono farlo, non bisogna aver paura dell‘inaspettato.” Contestualmente alla scelta di Daniel Libeskind quale architetto per il padiglione 2001, la Serpentine Gallery annunciava che la struttura temporanea di quell‘anno sarebbe stata parte di una serie. Aperta dal 17 giugno al 9 settembre di quell‘anno, l‘opera di Libeskind, dal titolo 18 Turns (18 svolte, ndt) era costituita da una struttura in pannelli di alluminio che si ispirava alla tecnica giapponese della piegatura della carta o origami. “18 Turns”, scriveva Libeskind nel maggio 2001, “è un luogo speciale che invita alla scoperta, all‘ intimità, un luogo in cui riunirsi. Lo spazio si presenta come parte di un orizzonte infinitamente accessibile situato tra la galleria e il paesaggio. Benché la struttura sia destinata a scomparire con l‘avvento dell‘autunno, lascerà una “retro-immagine” forte, avrà l‘ineffabile forza evocativa di un luogo unico.” L‘installazione venne animata nel corso di tutta l‘estate da una serie di dibattiti organizzati dalla Architecture Foundation e da letture di poesie inserite nell‘evento BBC Proms Poetry; un programma che sarà precursore degli eventi in seguito organizzati all‘interno dei futuri padiglioni. Nel 2002, la galleria si spinse ancora oltre contattando l‘architetto giapponese Toyo Ito, recentemente insignito del Pritzker Prize 2013.La sua struttura di 309 metri quadrati, su un unico piano, era coperta da pannelli in alluminio e vetro; alto 5,3 metri il padiglione di Ito era costituito da una piattaforma in acciaio costruita con barre piatte; con un‘impronta di 17,5 x 17,5 metri, l‘installazione si presentava come una struttura a graticcio costituita da lastre profonde 550 millimetri, pre-saldate a formare 26 pannelli discreti, questi ultimi erano stati quindi imbullonati in loco andando a costituire la copertura del tetto e le pareti. L‘idea prevedeva di realizzare una struttura priva di colonne, che non dipendesse da un sistema a griglia di tipo ortogonale, il risultato doveva essere un open space da utilizzarsi, durante i mesi estivi, come caffetteria e spazio in cui organizzare eventi. In un commento al proprio progetto nel 2002, Toyo Ito scriveva: “un oggetto artistico curioso, che è palesemente architettura e non-architettura al tempo stesso. L‘opera presenta le caratteristiche minime richieste a quello che vuole essere uno spazio per accogliere le persone, pur essendo sprovvista di colonne, finestre, porte, ovvero di tutti gli elementi architettonici canonici. Che questo cubo suggerisca quale sarà la nuova visione dell‘architettura a venire? Il fatto stesso di porci questa domanda ci fa riflettere su cosa verrà”. Quello che è venuto dopo, almeno nel programma della Serpentine, è stato il padiglione del 2003, progettato niente di meno che da Oscar Niemeyer. Niemeyer aveva 95 anni quando accettò di occuparsi del progetto, su richiesta di Julia Peyton-Jones, recatasi direttamente a Rio per incontrarlo. Uno dei collaboratori di vecchia data dell‘architetto, l‘ingegnere José Carlos Sussekind e Arup Londra si assicuarono che il padiglione fosse realizzato esattamente come progettato dal maestro. La struttura, in calcestruzzo e acciaio, si presentava come un ampliamento permanente dei Kensington Gardens; “volevo che venisse dato anche a questo progetto quel tocco che caratterizza tutte le mie opere” dichiarava Niemeyer al Financial Times.
“Il primo passo è stato quello di creare un elemento che fluttuasse, al di sopra del terreno. Quando progettiamo un edificio di dimensioni ridotte e non si ha tanto spazio, basta il calcestruzzo, qualche sostegno e trave in acciaio per descrivere il mio modo di fare architettura”.
Nel 2004, il programma subì una pausa forzata; l‘installazione concepita dallo studio olandese MvRdV non venne realizzata a causa della complessità del progetto. Nel 2005, i noti architetti portoghesi Álvaro Siza e Eduardo Souto de Moura collaborarono con Cecil Balmond per realizzare un padiglione in legno di dimensioni piuttosto ridotte (380 metri quadrati).La struttura, priva di colonne, presentava una copertura in policarbonato semi-trasparente da 5 millimetri. Nelle parole di Hamish Nevile di Arup: “il padiglione venne concepito come l‘evoluzione dei tetti a volta con geometria in diagonale, nati in Germania negli anni 20. Mentre nella tecnica tradizionale la particolare geometria veniva realizzata con elementi identici tra loro, nel padiglione ogni elemento è unico e presenta una propria lunghezza e inclinazione. Tale libertà in ambito geometrico ha consentito la realizzazione di una forma complessa, esattamente quella progettata dagli architetti. La travatura ha permesso di realizzare una struttura continua che dal tetto scende a formare le pareti del padiglione”. L‘installazione venne illuminata da 250 lampade ad energia solare e ospitò l‘evento intitolato “Time Out Park Nights at the Serpentine Gallery”, un programma in cui si alternarono dibattiti, proiezioni di film, conferenze e eventi musicali.
I due anni seguenti hanno visto collaborare Rem Koolhaas e Cecil Balmond (2006) l‘artista islandese Olafur Eliasson e l‘architetto norvegese Kjetil Thorsen (Snöhetta). La struttura del 2006 assunse le sembianze di un grande uovo da 30 metri di diametro, gonfiato con elio e aria pressurizzata. In un‘intervista condotta da Hans Ulrich, Rem Koolhaas dichiarava: “credevo fosse di fondamentale importanza non tanto reinventare il padiglione in modo tradizionale, quanto piuttosto provare a realizzare qualcosa che non girasse intorno al concetto di spazio o materiali. Ho provato a concepire qualcosa che si ispirasse all‘architettura di fuoco e aria elaborata da Yves Klein in collaborazione Claude Parent e Werner Ruhnau”. Con una struttura in acciaio rivestita con pannelli in legno scuro e una passerella aggettante, il padiglione del 2007 era caratterizzato da una rampa lignea che, a partire dal prato si “arrampicava” per due livelli a spirale fino a raggiungere la vetta dell‘istallazione, offrendo così ai visitatori una stupenda vista sui Kensington Gardens. Nel 2007, Olafur Eliasson dichiarava: “c‘è la tradizione di realizzare padiglioni che, in qualche modo, non sono veri edifici. Si segue una traiettoria che mette in primo piano l‘oggetto della mostra, a partire dalle prime ampie esposizioni del diciannovesimo secolo fino a quella più recente del Frieze Art Fair... Questo determina in che percentuale consentiamo alla gente di comprendere il potenziale della costruzione, quale mezzo forniamo per comprendere sé stessi in relazione a ciò che li circonda. La spirale non è una scelta che riguarda la forma in sé, più importante è il modo in cui la gente si muove all‘interno di tale spazio”. Nel 2008 (Frank Gehry), 2009 (SANAA) e 2010 (Jean Nouvel), il progetto è stato affidato a tre degli architetti più importanti e in voga di quel momento. Il padiglione di Gehry, del 2008, presentava una struttura in legno “che fungeva da collegamento tra il parco e l‘edificio ospitante la galleria”. Una serie di tettoie in vetro, sospese e “appese” all‘interno del padiglione garantivano ai visitatori la giusta ombreggiatura e riparo dalla pioggia. La struttura era stata progettata con l‘intenzione di ospitarvi all‘interno performance dal vivo, per un totale di 275 spettatori. Nel 2009, gli architetti giapponesi Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa optarono per qualcosa di più leggero, il progetto ruotava attorno a una copertura realizzata con una lastra in alluminio da 26 millimetri di spessore, che si estendeva per 557 metri quadrati, sorretta da colonne con diametro da 50 millimetri, disposte casualmente. Gli architetti, in questo caso, dichiaravano: “il padiglione è costituito da una copertura sospesa in alluminio. Non è concepito come un oggetto ma in relazione all‘ambiente che lo circonda; la struttura crea le condizioni di vivere qualcosa di diverso pur rimanendo un tutt‘uno
con il parco”.  Nel 2010, Jean Nouvel cercò di far diventare la propria struttura un elemento di stacco rispetto al verde del parco, dipingendo il padiglione di rosso acceso.
“Il colore rosso”, dichiarava Jean Nouvel, “rappresenta il caldo dell‘estate. È il colore complementare al verde. Il rosso è un colore vivo, penetrante; è provocatorio, proibito, ben visibile. Il rosso rappresenta l‘Inghilterra tanto quando la rosa rossa, è il colore degli oggetti caratteristici di Londra, del bus a due piani, delle vecchie cabine telefoniche, di tutti quei luoghi di transizione che sono meta obbligata”. La struttura aperta ai turisti, venne utilizzata anche per ospitare una serie di dibattiti organizzati dalla galleria e rientranti nel programma “Park Nights”.
È lo svizzero Peter Zumthor a progettare il padiglione del 2011, un “Hortus Conclusus” , un cortile/giardino chiuso, di 350 metri quadrati, circondato da un‘elegante struttura in mattoni a chiudere uno spazio piantumato e una serie di passerelle coperte. Dopo questa parentesi che ha visto predominare la “solidità”, il padiglione del 2013, progettato dall‘astro nascente dell‘architettura, il giapponese Sou Fujimoto, si presenta positivamente etereo, con il suo graticcio di pali in acciaio da 20 mm. “Per il padiglione 2013” dichiara l‘artista, “ho proposto un paesaggio architettonico: un terreno trasparente che invita i visitatori all‘interazione e ad esplorare il sito in modi diversi. Nel contesto pastorale dei Kensington Gardens, ho immaginato che il verde lussureggiante della flora si intrecciasse con la geometria dell‘architettura, a creare una nuova forma di ambiente, in cui l‘elemento naturale e quello creato dall‘uomo si fondessero, un ambiente che non fosse solo naturale o solo architettonico ma un incontro unico tra i due mondi”.

Sorvolando sull‘inventiva in ambito architettonico che ha caratterizzato, anno dopo anno, i diversi Serpentine Summer Pavillion, o padiglioni estivi, le strutture create e collocate nel parco nel cuore di Londra corrispondono perfettamente allo spirito del programma e rispecchiano il volere dei direttori della galleria. Come ci spiega Julia Peyton-Jones: “fin dal 2001 esisteva un elemento programmatico ma è nel 2006 che Hans Ulrich ha inventato le “Marathons” o maratone. Il venerdì è sempre dedicato a una qualche forma d‘arte, al cinema, alle performance live, alla lettura o a qualche dibattito. Alcune giornate sono dedicate alle belle arti in senso stretto, altre si inseriscono in programmi più generali rivolti a un pubblico più ampio. La cosiddetta maratona è un evento che caratterizza il padiglione, è l‘espressione stessa dell‘unione tra arte e architettura. Hans-Ulrich Obrist conferma: “il padiglione progettato da Koolhaas e Balmond è stato il primo ad ospitare le nostre “conversazioni” intitolate “Marathons”. In tale contesto, ad esempio, ho condotto un‘intervista a Zaha Hadid. Quello che succede ogni estate non dipende esclusivamente dall‘architettura in sé, ma anche da come noi e il pubblico interagiamo con essa. Il parco d‘estate è un luogo molto democratico. I padiglioni sono anche capricci architettonici, che fungono da trait d‘union tra ciò che facciamo e la storia del genere stesso”.

Philip Jodidio who was born in New Jersey in 1954, studied art history and economics at Harvard. He has been editor-in-chief of the French art magazine Connaissance des Arts in Paris since 1980 and is
a member of many scientific committees and juries. Among the numerous studies and books he has published on contemporary architecture are the Taschen series on contemporary American, European and Japanese architects as well as monographs on Norman Foster, Tadao Ando, Richard Meier and Santiago Calatrava, among others.
A Knight in the French Order of Arts and Letters, Jodidio has also won the Prix de Briey for his publications.

The Serpentine Gallery, built in 1934 as a tea pavilion, is widely recognized as one of London’s most popular galleries, attracting up to 800,000 visitors to its Exhibition, Architecture, Education and Public Programmes in any one year. It is the only public modern and contemporary art gallery in central London to maintain free admission and remain open seven days a week.