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San Paolo: la differenza tra città e metropoli

Potrei raccontare San Paolo con gli occhi del viaggiatore poiché è impossibile per uno straniero acquisire in breve tempo il privilegio di descrivere questo condensato urbano con la consapevolezza e la profondità dei suoi abitanti o dei molti studiosi che vi hanno lavorato e vissuto, in ogni caso risulta difficile anche abbandonarsi ad una sorta di oblio per esprimere consciamente o inconsciamente un giudizio che riesca a prescindere dalla specifica condizione di architetto, da una visione disciplinare che attrae e respinge i valori e le condizioni di un luogo che fa dell‘ossimoro il proprio codice di riferimento. San Paolo è infatti un caleidoscopio di immagini e condizioni contrastanti, è contemporaneamente verticale e orizzontale, densa e rarefatta, ricca di aree verdi eppure costruita così intensamente da risultare addirittura oppressiva; povera ai limiti dell‘indigenza e allo stesso tempo ricca, esclusiva, desertica e rigogliosa, vecchia nella sua modernità, tuttavia originale, quindi nuova, nell‘interpretazione di una tradizione percepibile anche soltanto attraverso la varietà degli ‘azulejos‘ in ceramica che rivestono i tamponamenti di quell‘infinita sequenza di telai in calcestruzzo che emergono come costolature dalla pelle dei suoi numerosissimi edifici alti, torri per le quali appare inappropriato il termine, di derivazione ‘yankee‘, grattacielo. Impercorribile, intasata di automobili, eppure priva di una efficiente rete metropolitana, tutto si concentra in superficie: una incredibile sintesi di vita, di densità, di volumi e costruzioni accatastate le une sulle altre. Dalla terrazza dell‘Edifício Itália, uno dei più alti di San Paolo, una moltitudine di palazzi disegna un orizzonte che appare in continua espansione mentre nelle zone centrali spesso si trovano strutture vuote e inspiegabilmente abbandonate (oltre 200 nelle zone centrali). Questo accavallarsi di strati e sovrapposizioni rappresenta la vera identità della ‘città‘, o meglio, delle molte città che si avvicendano e si inseguono senza soluzione di continuità, dove il centro storico – che non coincide con il centro della vita – è recente (Avenida Paulista) e l‘antico (Praça da Sé) è periferico, marginalizzato, degradato da condizioni sociali e abitative che evolvono, nelle immediate vicinanze, nel pittoresco toponimo ‘cracolandia‘ (città della droga), oggetto di un futuro programma di riqualificazione in cui si inserisce, tra gli altri, il progetto di Herzog & de Meuron, posto nell‘adiacente quartiere di Nova Luz per realizzare un nuovo complesso culturale. Questo programma così come l‘acquisto e la ristrutturazione da parte del dipartimento della “Secretaria Municipal da Habitação – Prefeitura de São Paulo“,  – vedi intervista della Soprintendente Elisabete França alle pagine 32-39 – di molti edifici esistenti inabitati, apre la via ad una opportunità nuova connessa con l‘ipotesi di una rigenerazione urbana mai praticata fino ad oggi. San Paolo appare infatti condannata ad una perenne modernità descritta negli splendidi esempi dello straordinario maestro Oscar Niemeyer. Un luogo dove si celebra il nuovo e per molti anni si è dimenticato l‘esistente, un vecchio che non è mai riuscito a diventare antico, memoria, tradizione, almeno, simbolicamente, fino alla inversione di tendenza compiuta da Paulo Mendes da Rocha con il restauro e il recupero del Liceu de Artes e Ofícios trasformato nella nuova pinacoteca. La viabilità è spesso sovrapposta con viadotti e sottopassi che si intersecano celando la vera quota di un terreno che raramente è orizzontale e quindi ‘adatto‘ alla fondazione di una città; il fiume, ancorché ripulito, non appare come un normale corso d‘acqua e le sue sponde, fiancheggiate da strade ad alto scorrimento, si configurano più come una infrastruttura per lo smaltimento dei reflui urbani che non come un elemento naturale, seppur incastrato in un ambito metropolitano. In questo quadro gli edifici sono così molteplici e variegati da costituire, per uno studioso di architettura, il più alto concentrato al mondo di variabili compositive dai cui emergono, sorprendentemente, alcuni tratti comuni e soluzioni stilistiche che declinano il moderno in una sequenza infinita di immagini non consolidate.