area 128 | informal community

Nella maggior parte delle città odierne, in ogni parte del mondo, esistono numerose forme di urbanizzazione che condividono il medesimo spazio fisico. Questi eterogenei paradigmi di sviluppo della città (dall‘urbanismo quotidiano al nuovo urbanismo, dal post-urbanismo alle numerose forme di urbanismo indigeno) si dissolvono in una coesistenza continuativa e spesso caleidoscopica. La dissoluzione dei vari costrutti urbanistici in una singola entità polimorfica assume forme bizzarre nelle città dell‘America Latina, dell‘Asia e dell‘Africa dove la manifestazione di uno sviluppo economico difforme rende ancora più complesso il panorama già di per sé schizofrenico dell‘urbanizzazione contemporanea. In queste condizioni, la cifra fisica del tessuto urbano è capovolta e la città formale o statica si colloca frequentemente dentro l‘orizzonte temporale della città informale o cinetica.
È proprio in questi paesaggi urbani di America Latina, Asia e Africa che la città cinetica o informale diviene immagine simbolica e metafora della condizione fisica che caratterizza la città contemporanea. Oggi, infatti, essa trae la propria fisionomia dalla componente cinetica dell‘urbanizzazione. Le processioni, i festival, i venditori di strada e gli abitanti in movimento danno vita a uno scenario urbano in continua trasformazione, a una città in moto perpetuo la cui orditura si contraddistingue proprio per la sua qualità cinetica. Incomprensibile come entità bidimensionale, la città cinetica viene percepita come una realtà in movimento, un costrutto tridimensionale in progressivo sviluppo. Ha una natura temporanea ed è spesso costruita con materiali riciclati: fogli di plastica, rottami metallici, tela e legname di scarto. Si modifica e si reinventa costantemente.
La città statica, invece, è costituita da materiali più permanenti come cemento, acciaio e mattoni. Si tratta della concezione bidimensionale che compare sulle cartine tradizionali e la sua presenza è monumentale. Lo spettacolo che offre la città statica è palesemente costituito dalla sua architettura. Ma per quanto la città statica debba la sua rappresentazione all‘architettura, non è più questa la sola chiave di lettura della realtà urbana. La città cinetica, invece, non viene percepita in termini architettonici, ma piuttosto in termini di spazi che hanno un proprio valore associativo e che assecondano l‘esistenza quotidiana.
I modelli di occupazione ne determinano la forma e la percezione. Si tratta, in questo caso, di un‘urbanizzazione indigena che ha una sua particolare logica “locale”.La città cinetica non è necessariamente la realtà dei poveri, come sembrano suggerire gran parte delle immagini e delle discussioni sulla città informale. Piuttosto, essa si pone come un‘articolazione temporale, un‘occupazione territoriale che non solo promuove una maggiore sensibilità nei confronti del consumo di spazi, ma suggerisce anche modi nuovi di concepire i limiti spaziali in un contesto ad alta densità urbana, inaccessibili a una visione formale della città.
La città informale o cinetica fa entrare la saggezza locale nel mondo contemporaneo senza timore della modernità, mentre la città statica ambisce a cancellare la realtà locale e a ricodificarla in un ordine scritto formale. L‘organizzazione degli alloggi (baraccopoli, favelas) è la più vivida dimostrazione di come la città statica aneli a riordinare la città cinetica. Il movimento, l‘instabilità e l‘indeterminatezza sono caratteristiche basilari della città cinetica. Le demolizioni periodiche disgregano la tenue occupazione del territorio da parte degli abitanti della città informale. Impediscono qualsiasi investimento essi vogliano fare per migliorare le proprie condizioni materiali di vita. La città cinetica è dunque una realtà fluida e dinamica, dal carattere mobile e temporaneo (spesso una tattica per evitare gli sfratti) che non lascia rovine. Ricicla costantemente le sue risorse, generando grandi effetti e una presenza notevole con mezzi esigui. Il rapporto tra città statica e dinamica va ben oltre le reciproche differenze, instaura legami spaziali e metaforici di gran lunga più evoluti rispetto a quanto farebbe pensare la loro manifestazione fisica. Affinità e rigetto sono due facce della stessa medaglia, i due piatti di una bilancia che si mantiene in equilibrio solo grazie a una tensione apparentemente irrisolvibile. L‘economia urbana informale è un perfetto esempio di come città statica e cinetica vivano un‘esistenza sincronica e strettamente connessa. La città cinetica, infatti, propone una visione suggestiva che può aiutarci a comprendere meglio i confini sfumati dell‘urbanismo contemporaneo in America Latina, Asia o Africa e i ruoli mutevoli che ricoprono spazi e persone nella società urbanizzata. La crescente concentrazione dei flussi demografici globali nelle aree urbane ha esacerbato le differenze e le divisioni spaziali tra classi sociali. Mentre si accentuano le disuguaglianze economiche, una visione architettonica o urbanistica egualitaria deve allargare lo sguardo e identificare una molteplicità di luoghi per contrassegnare e commemorare le culture degli esclusi dagli spazi dei flussi globali. Ciò non si risolve necessariamente nella produzione di architetture formali, che anzi vengono spesso poste in discussione. L‘idea di città diventa quella di una condizione urbana dinamica, che viva non di una visione grandiosa ma piuttosto di un “grandioso accomodamento”.
È dunque essenziale che qualsiasi discussione in merito al concetto di città informale prenda le mosse da una definizione più ampia di cosa voglia dire “informale” per trascendere la consueta identificazione di questo fenomeno con la città dei poveri e degli emarginati! È necessario ampliare la definizione originale per cui ciò che è informale nasce dalla tendenza a correggere o compensare la cattiva distribuzione delle risorse nei contesti urbani, che possono andare dall‘accesso a infrastrutture sociali e fisiche alla cultura urbana intesa nel senso più ampio del termine. Ma non è facile definire o circoscrivere chiaramente i limiti dell‘urbanismo informale. Questa nozione sembra andare oltre la semplice creazione di un sistema di governo non regolamentato o non ufficiale. Ha piuttosto a che fare con le tattiche e la carica innovativa che i poveri e gli emarginati delle città hanno da offrire, con la capacità di assorbire, riciclare, fornire servizi, costruire reti, celebrare, divertirsi ed essenzialmente ampliare i confini del sistema urbano verso nuovi livelli di solidità. In breve, l‘urbanismo informale ovvero la città cinetica sono il trionfo dell‘inventiva sulle costrizioni, che si avvale delle risorse indigene per trasformare la sorte avversa in una strategia di sopravvivenza, che spesso è una strategia sostenibile! La qualità “cinetica” dell‘urbanismo informale impedisce alla maggior parte dei sistemi governativi o formali di tenere il passo con la realtà o rapportarsi in maniera sensata con la spontaneità che caratterizza le realtà informali. Questo crea un divario che non consente di identificare o analizzare accuratamente tale condizione, dando adito alla sfiducia e ponendo così il problema della cittadinanza e della legalità. Per ironia della sorte, spesso è proprio nella città informale che si colloca il cuore produttivo del centro abitato e, come ha osservato Saskia Sassen, non di rado la città informale è una componente strategica delle economie urbane avanzate!
Pertanto, è fondamentale riconsiderare questa condizione urbana in termini di economia, legalità, attivismo, governance e collaborazione. Inoltre, il problema della rappresentazione ossia delle modalità per mappare e registrare ciò che è temporaneo, transeunte e flessibile evidenzia la presenza di lacune nel dibattito sull‘informalità. Soprattutto, si pone con forza la questione della simultaneità e della coesistenza, che dovrà essere affrontata con attenzione crescente poiché apre la strada a nuove sfide nella progettazione o riprogettazione delle città: è possibile dare un carattere formale alla configurazione spaziale con cui tale simultaneità si realizza? Naturalmente, la città cinetica non può diventare uno strumento di progettazione, ma cionondimeno essa pone l‘esigenza di un urbanismo che sappia creare e promuovere contesti versatili e flessibili, sufficientemente solidi e ambigui per consentire alla città stessa di sviluppare il suo carattere cinetico.
Il concetto di città cinetica potrebbe forse assurgere ad approccio tattico per trattare l‘urbanizzazione di ciò che è temporaneo oppure degli spazi ad elevata densità e intensità?
Ripensare la città informale potrebbe portare la discussione sull‘urbanismo informale a superare la dimensione umanitaria di compassione per la città dei poveri, riuscendo a coglierne il valore come crogiuolo dell‘innovazione. Adattabilità, flessibilità, resistenza e molti altri aspetti che la caratterizzano potrebbero entrare di diritto nella più ampia trattazione dell‘urbanismo come criteri di progettazione. Tuttavia, per arrivare a comprendere e plasmare l‘urbanismo contemporaneo, è necessario abbandonare le dicotomie che sinora hanno definito i termini del dibattito (i ricchi e i poveri, il formale e l‘informale, il centro e la periferia, il primo e il terzo mondo). La discussione dovrebbe invece essere impostata su termini diversi, ad esempio il carattere ibrido dei contesti urbani, la simultaneità o le nozioni di coesistenza. Inquadrare in modo nuovo il dibattito sull‘informalità contribuirebbe a promuovere questa forma innovativa di urbanizzazione e ad integrarla nella discussione sull‘urbanismo contemporaneo. Se cambiassimo prospettiva, la città informale potrebbe finalmente essere vista non come una condizione da correggere ma piuttosto come un fenomeno contagioso che riforma e umanizza le città.