Non solo oggetti

In questo nostro mondo ormai così complesso e variegato, dove la produttività sembra segnare i tempi e i ritmi dell’esistenza, la definizione di identità, l’autoaffermazione, il bisogno di sicurezza, causano uno stato di tensione che ha bisogno di essere continuamente risolto. Nella ricerca di questa soluzione, nella costruzione, cioè, di un equilibrio possibile per il proprio io, lo spazio abitativo si pone come elemento determinante, sia perché esso diventa proiezione del proprio spazio interno, sia perché finisce col condizionare quest’ultimo.
Gli studi più recenti nel campo delle neuroscienze confermano questa relazione, mettendo in risalto, per esempio, come il sistema motorio, e in particolare le aree corticali localizzate nella via dorsale e ventrale, attivano nella rappresentazione dello spazio, e nella categorizzazione degli oggetti, una ricchezza di funzioni che trascendono il semplice controllo dei movimenti e che risultano connesse alle diverse dinamiche dell’azione. Ma senza dover scomodare le neuroscienze, l’esperienza quotidiana ci ricorda continuamente come lo spazio, e gli oggetti che lo popolano, siano un vero e proprio generatore di stati di coscienza, oltre che uno stimolatore di sensazioni.
Gli oggetti e i luoghi, come le persone, attraggono, respingono, suscitano paura, dolore, gioia, rabbia, cioè emozioni. Queste possono essere consapevoli o non, possono determinare dei comportamenti esterni o soltanto dei moti interni, ma certo contribuiscono a creare una equilibrata formazione del senso del sé. Ed è proprio questo senso del sé che ha guidato, lungo il corso della storia, la trasformazione della casa, muovendosi secondo alcune linee direttrici che hanno visto coinvolti gli affetti e gli interessi, i legami parentali e i rapporti giuridici, i consumi e la produzione, i miti e le ideologie. Si è trattato di volta in volta di definire un proprio spazio abitativo sia come ricovero e riparo, sia come espressione della propria personalità, sia come risposta ai propri bisogni, sia, infine, come domanda di nuove emozioni.
Rendere più accoglienti e piacevoli gli spazi, arredarli con oggetti che facilitino il relax, è la sfida raccolta dall’architettura e dal design del XXI secolo, i cui sforzi creativi sono indirizzati alla realizzazione di ambienti capaci allo stesso tempo di stupire e di mettere perfettamente a proprio agio chi li abita, trasformando sempre più lo spazio abitativo in uno spazio definito, ordinato e funzionale a una chiara percezione del sé, a un maggiore senso di equilibrio Si pensa allora a oggetti di grande semplicità formale ma non banali, né ridotti a struttura immediatamente derivata dalla funzione, oggetti che facilitino il riposo visivo, la serenità, la riflessione, e che si inquadrano all’interno di uno spazio abitativo che viene creato nell’ottica di una sempre maggiore vivibilità.
Non si tratta di minimalismo pratico e funzionale, ma di un’esigenza ben più profonda che suggerisce la ricerca di un comfort globale in grado di alleggerire l’esperienza in un mondo ormai troppo frenetico e per certi versi instabile e insicuro, un comfort che significa certezze e sicurezze, ma soprattutto domesticità conviviale, attraverso cui le relazioni amicali, familiari e di coppia si rigenerano in un uso dello spazio condiviso e partecipato.
Un errore da evitare, comunque, è concentrarsi sulla creazione dell’oggetto in quanto tale, dimenticando, per esempio, che una poltrona, la più ergonomica possibile, non determinerà di per sé una situazione di relax, se non si relazionerà a uno spazio abitativo che si connoti in tal senso. Una poltrona può essere talmente comoda da facilitare il sonno, ma il sonno di per sé non include una situazione di relax: anche il depresso si addormenta su una comoda poltrona, ma non per questo il suo sonno è distensivo; un lettino per la ginnastica può facilitare lo sviluppo dei muscoli, ma l’attività ginnica non necessariamente determina uno stato di benessere, giacchè anche un nevrotico può fare ore e ore di palestra senza per questo ridurre la sua tensione. L’oggetto per il relax deve allora trovare posto in uno spazio abitativo predisposto in tal senso, uno spazio che si carichi di una sua precisa significatività e che per ciò stesso faciliti la relazione con l’oggetto in questione. Scrive Jader Tolja, in un libro pubblicato da Zelig nel 2003 e intitolato Pensare col corpo, che «lo spazio di cui ognuno di noi si circonda non è che una delle tante metafore della strategia di base dell’individuo», che consiste proprio nell’appropriarsi di uno spazio soggettivo definendone i “confini” e stabilendone, così, la “distanza” dal resto del mondo; e tanto più si percepisce questa distanza, tanto più ci si dispone a sensazioni di sicurezza e di protezione che già di per sé aiutano a distendersi.
Uno spazio definito all’interno del proprio spazio abitativo e un elemento di arredo che collochi questo spazio fuori dal suo uso ordinario, eludendo, senza negarla, la sua comune funzionalità, sono gli ingredienti ottimali per creare una possibile situazione di relax; un elemento che aiuti quello spazio a diventare un luogo particolare, non imbrigliato dalla realtà, un luogo dell’evasione, del sogno, del gioco, uno spazio “altro” rispetto a quello giornaliero, o anche uno spazio giornaliero che si colori di “altro”.
Una simile operazione però non è per nulla scontata, poiché da tempo ormai la nostra cultura è dominata da un uso dello spazio caratterizzato dai canoni della funzionalità e perciò stesso della razionalità, almeno apparente. È un uso costretto da precisi criteri economici, teso ad evitare gli sprechi, attento a non largheggiare nei volumi degli edifici, nell’altezza dei soffitti, negli ambienti di passaggio. Esistono, naturalmente, delle eccezioni soprattutto nell’edilizia pubblica, e in questo caso sono alcune grandi firme dell’architettura che cercano di rompere i limiti della funzionalità.
Una mano in tal senso sembra venga offerta da una nuova tendenza che favorisce una certa contaminazione degli spazi abitativi. Guardandosi intorno è possibile notare che la cucina e il bagno stanno diventando sempre più centro di interesse, luoghi in cui si accettano possibili sperimentazioni. La cucina sta diventando di nuovo il luogo dello stare insieme, quasi un ritorno alla memoria storica della cucina italiana, e il bagno, rubando spazio alla camera da letto, sta diventando il luogo del relax dove forse, chiusa la porta, ci si può lasciare finalmente il mondo alle spalle.
A proposito del bagno, a sentire cosa dicono gli architetti e i designer, si profila una grossa rivoluzione: già Ludovica Palomba, sul Corriere della Sera di qualche anno fa, scriveva: “Oggi il bagno deve condurci ad una esperienza sensoriale totale, essere appagante per corpo e psiche, ma anche divertente“. Basti pensare che fino a qualche tempo fa il bagno era confinato in fondo al corridoio, un luogo esclusivamente funzionale, non certo da vivere. Tutto è dovuto a una nuova sensibilità verso il corpo, al recupero di una sua positività, al superamento di un esasperato senso del pudore. Prendersi più tempo da dedicare a se stessi non è più ritenuto un lusso, ma quasi un dovere. Bisogna risalire ai romani per pensare che in una civile abitazione ci possa essere uno spazio dedicato al benessere del corpo e della mente. Siamo passati dal  “luogo comune”, al “gabinetto”, al “bagno”, alla “sala da bagno”, da un luogo quasi nascosto all’interno della casa o addirittura collocato fuori dalla casa, a un luogo che assume una sua importanza fino a invadere altri spazi domestici: il bagno, quindi, da luogo da usare a luogo da abitare. Ben venga allora un design industriale finalizzato al relax, al riposo, al piacere, al benessere del corpo e della mente, ben venga, soprattutto se aiuta a superare i confini delle Spa e a far recuperare una cultura dello spazio abitativo caratterizzata da una rinnovata e più olistica dimensione del vivere.

Antonio Gentile è psicologo, psicoterapeuta. Docente a contratto Facoltà di Architettura Università degli Studi di Napoli Federico II. Docente Scuola di specializzazione in psicoterapia relazionale IMEPS Napoli.