L’emergenza della questione ambientale, l’attenzione alla qualità urbana, la ricerca di un diverso rapporto fra il contesto naturale e quello costruito, sono tutte ragioni che portano ad affrontare il tema della città alta. Modernità e grattacieli, è questo l’unico binomio possibile? La riflessione che emerge dalla nuova pubblicazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Milano, è sul tipo di città che lo sviluppo in altezza comporta.
Milano verticale” racconta della relazione che gli edifici alti generano sulla città, sullo spazio pubblico e sulla vocazione a salire, come una delle ambizioni più antiche e radicate nell’uomo. "La trasformazione della città e del territorio è da molti anni al centro dell’attività culturale ed editoriale della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Milano", spiega Stefano Tropea, consigliere di Ordine e Fondazione. "In particolare, all’interno del progetto editoriale della Fondazione, la collana 'Itinerari' esplora un ambito specifico, un intervallo di tempo preciso, che di fatto è l’ultimo secolo. Emblematico della città di Milano, a cavallo della Seconda guerra mondiale, poi nel miracolo economico del dopoguerra fino agli anni più recenti, il contemporaneo che è caratterizzato da grande vitalità. Il focus di questo libro, cerca di dare una lettura critica alle trasformazioni in atto, con uno sguardo lungo".

©Giovanna Silva

Si tratta dell’ottava uscita della collana “Itinerari di architettura milanese”, diretta da Maurizio Carones, e muove da un percorso già realizzato dalla Fondazione degli Architetti di Milano diversi anni fa. Con la pubblicazione, se ne ripensa l’impostazione, condivisa con Carles Muro, professore associato del Politecnico di Milano e con Simona Galateo, che ha curato questa edizione. All’interno un saggio di Fulvio Irace, architetto e accademico e un dialogo con protagonista, Jacques Herzog, progettista svizzero.
"I primi edifici storici nascono con una relazione forte con il contesto urbano, perché moltissimi sono stati costruiti nell’immediato dopoguerra, il tempo della ricostruzione, con il desiderio di riscatto di una Milano alla rincorsa del mondo. Partendo dall’itinerario iniziale, oggi abbiamo voluto aggiungere le realizzazioni più contemporanee, interpretando l’edificio alto come dispositivo urbano, una sorta di strumento che permette di concentrare le volumetrie, avere più spazio aperto e meno consumo di suolo. Questo è il tema", racconta la Galateo.

©Giovanna Silva

Il saggio di Irace introduce criticamente la progressione storica della verticalità di Milano dai primi accenni di edifici alti, sottolineando l’approccio a un impianto saldato al tessuto urbano, sino a quelli contemporanei. Numerose le schede descrittive, quella di Federico Ferrari, ad esempio, illustra la prima stagione di edifici alti milanesi. Cinque schede successive, di Stefano Andrea Poli e ancora di Federico Ferrari, descrivono architetture in qualche misura iconiche della Milano verticale, tutte rappresentative di differenti modi di pensare all’edificio alto: il Grattacielo Pirelli, la Torre Velasca, l’edificio di Piero Bottoni in corso Sempione, la Torre Breda di Luigi Mattioni e la Torre al parco Sempione di Vico Magistretti. Una scheda conclusiva di Simona Galateo raccoglie gli edifici alti dei primi due decenni di questo secolo, in una complessiva lettura delle trasformazioni urbane che li hanno determinati. Nell’interessante conversazione fra Carles Muro e Herzog, l’architetto svizzero che ha lavorato a Milano per la Fondazione Feltrinelli e ne conosce i caratteri, si discute del grattacielo come come strumento di progettazione urbana, strettamente legato al tema della densità.
"Le torri di New York si trovano su una specie di terreno fertile, dove il centro è connotato da un parco gigantesco. Per questa ragione, Manhattan è per me la prova vivente di come i grattacieli possano ancora essere motivo di successo della città contemporanea, uno strumento efficiente che offre incredibili possibilità", racconta Herzog. "Dobbiamo essere consapevoli però di come gli edifici alti toccano il suolo e cosa generano al livello della strada: sono accessibili o creano una sorta di isolamento? Se le verticali non consentono alle persone di utilizzare i piani terra, dove è possibile inserire funzioni diverse per i cittadini, se non si realizzano spazi pubblici accessibili dove le persone possano incontrarsi, allora la densità è solo una cinica estrazione di profitto priva di senso. Noi architetti - continua il progettista - abbiamo sempre di più il dovere di pensare alla vita degli edifici nel lungo periodo, attribuendo a ciascuno di questi il potenziale di potersi trasformare nel corso della loro vita".

Il libro è illustrato da fotografie realizzate da Giovanna Silva ed è integrato da un inserto grafico che propone una lettura del profilo urbano milanese, una sorta di panorama significativo delle rappresentazioni di un certo pensiero urbano. "Abbiamo pensato di evidenziare - racconta Maurizio Carones nell’introduzione al testo - come il profilo di Milano, oggi spesso usato anche graficamente come linea caratterizzante, abbia avuto una profonda trasformazione negli ultimi decenni, tanto da diventare appunto un elemento di identità della città, al di là dei singoli edifici alti".
Sembra chiaro insomma che, dall’inizio del XX secolo, la spinta verso l’alto percorre come un fremito di modernità per una parte della società milanese attratta dal fascino del futuro. È dunque dalle ceneri della guerra fino a oggi, che Milano persevera con il suo desiderio di scalare il cielo.