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Katia Carlucci: Pittore, architetto o stilista?
Michele Chiocciolini: La pittura presenta te stesso alla tua anima, ti fa conoscere spigoli di architetture intime, l’architettura è la forma del vivere, il disegno della moda è la sua prima struttura. Ho sempre disegnato molto, sin da piccolo, i pastelli a cera erano per i miei genitori un dazio quotidiano. Il disegno era per me una forma di scrittura più facile, più immediata e anche più intima. Questo bagaglio continuo a portarlo con me oggi: non tutto quello che dipingi è leggibile agli occhi di tutti, è come una musica, un testo di una canzone dei “The Clash”, un bouquet di fiori, i suoni, i colori e i profumi rendono il contesto molto personale. Un quadro è un sunto di sentimenti e stati d’animo, è la consapevolezza di un’esfiltrazione di sensazioni, con la gioia e talvolta la frustrazione che l’utente non possa percepirle
Un’architettura non è semplicemente un contenitore, un volume scavato, un monolite dotato di aperture, porte o finestre che siano. Oggi siamo ben lontani dal concetto manieristico di essa. Uno spazio vuoto, incontaminato e apparentemente sterile, è spesso frutto di un “design” ben ponderato, di una progettazione scrupolosa o di un’idea difesa a spada tratta. Credo che in questo momento storico ciò che diceva Achille Castiglioni, mentore mio come di molti altri progettisti: “(...)Tutto è sempre da inventare, ancora oggi (...)”, sia un’affermazione ancora attuale, solo più difficile da credere ed afferrare ma son sicuro che si può ancora fare della buona architettura, quella per esempio degli MVRDV.
Il fashion design è strettamente connesso al design (inteso come progetto) dell’oggetto o all’architettura. Ho avuto modo di imbattermi in un incontro fortuito e per me molto fortunato con il Maestro “Gaetano Pesce” il quale ha definito il mio lavoro, quello del fashion designer, anch’esso una forma di architettura. Direi quindi che la pittura è parte di me, il fashion design è la mia passione e scelta consapevole, l’architettura è la mia formazione.
K.C.: “Arte Indossata” è il nome della collezione estiva del 2011, nella quale i tuoi abiti rappresentano le tue opere d’arte.
M.C.: La mia prima collezione, “Arte Indossata”, prende proprio il nome da quadri da me realizzati tra il 2010 e il 2011, dopo due soggiorni a NYC. La contaminazione ricevuta da questa città e dal suo animo aveva influenzato notevolmente le mie opere soprattutto dal punto di vista del colore. Appena giunto nella “City“, la mia prima impressione fu quella di pensare a come spesso questa fosse rappresentata da immagini in bianco e nero. Può un luogo così prettamente metropolitano avere una chiave cromatica segnata da colori diversi dal bianco e il nero? I quadri di Jean-Michel Basquiat, Keith Haring, i notturni illuminati da mille luci, i tramonti che rendono rosa e rossi i grigi dei cementi e dei metalli e i marroni degli edifici ottocenteschi impressionarono i miei taccuini e di conseguenza le mie tavole una volta tornato a Firenze.
Da queste tavole ho ricavato delle stampe su seta, che poi ho utilizzato per la mia collezione: abiti leggerissimi accesi da cromie di graffiti underground. La tecnica della stampa digitale su seta permette di trasporre il quadro in modo fotografico conferendo la matericità e lo spessore delle tele sulla stoffa. Ecco che acquerelli su cotone, chine, acrilici, olii e tecniche miste oppure quadri realizzati con stucco, iuta e carta di giornale sono diventati sete stampate e successivamente abiti, dando vita al mio primo fashion show.
K.C.: Quanto è importante il colore nelle tue collezioni? Quale colore ti rappresenta? La scelta dei colori della tua collezione è solo un fatto estetico o anche emozionale?
M.C.: Il colore fa parte di un mood, di un momento creativo. Quando disegni crei una storia e per quanto mi riguarda, una collezione è collegata spazio/temporalmente ad un periodo di riferimento, ad un luogo. Penso a delle persone che vivevano in questo “luogo/tempo”, al fatto che a volte lo subivano, a volte interagivano con esso, a volte lo dominavano e tutto questo viene trasmesso con le forme, con i tagli degli abiti e soprattutto con il colore. Un colore forte e acceso come il rosso carminio, può rappresentare energia e voglia di vivere come al contempo drammaticità: tutto dipende dalla storia che tu vuoi raccontare, da ciò che in quell’esatto momento della tua vita le tue creazioni vogliono raccontare e le reazioni che intendono provocare. Per questo motivo, la scelta dei colori in una collezione è “necessaria”, non può che essere così. Non saprei dire il colore che mi rappresenta, mi rappresentano più colori, soprattutto quelli legati in modo indissolubile a dei ricordi: un vestito rosa pesca di mia mamma, il grigio fumo della cucina di montagna di mia nonna, il giallo fieno dell’erba bruciata d’estate, il giallo fluo della smart di un amico, l’azzurro degli occhi delle mie sorelle nei quali si rispecchia tutta la mia vita, a volte cerulei come il cielo di Castagno d’Andrea, altre volte argento come l’Arno, il colore grave della voce di mio padre che da non molto si confonde con quella di mio fratello. Ecco, questi sono i colori che mi rappresentano: i colori della memoria, che appartengono a me come a molti, che descrivono situazioni, luoghi e stagioni in modo ciclico, che ti vestono come quel maglione che metti sempre quando rientri in casa la sera.
K.C.: Come combini tessuti, colori e materiali? Ci sono alcuni colori che vanno bene per un particolare tessuto ma non per un altro? Per esempio mi immagino i colori del giallo e del rosa su una seta o su un lino, e i marroni e i neri su delle lane o dei panni.
M.C.: Non sei te a scegliere il colore, è lui a scegliere te. Tu pensi ad una storia, la scrivi, la scomponi in tanti pezzi di carta creando un collage di emozioni e di stralci di vita, perché alla fine quello che fa un vestito è un buclé di infiniti fili intrecciati in modo indissolubile. È proprio questa trama infinitesimale, il tessuto, che ti veste, ti scalda, ti raffresca. Il colore invece è una meraviglia, è il tramite, è l’istinto, la percezione immediata di te, di quello che vuoi comunicare, ma non è molto legato al tessuto; un colore prettamente estivo come i pastelli gialli e azzurri della mia prossima collezione donna possono essere invernali se li accostiamo per esempio al velluto liscio che è cangiante sotto la luce. Questo perchè non c’è solo la scelta del colore ma anche la regia di esso, il suo accostamento ad altri, la contaminazione con la luce e con l’ambiente.
K.C.: Coco Chanel diceva: “Il miglior colore al mondo è quello che appare bello, su di te”. Condividi questa affermazione o pensi che ci sia un colore che stia bene a tutti?
M.C.: Ricollegandomi a quello che dicevo prima, non credo che ci possa essere un colore che stia bene a tutti, o male a tutti, come non credo che ci sia un vestito che possa star bene o male a qualcuno. A volte mi sento dire che alcuni miei vestiti sono adatti solo a certe persone ma in realtà penso che sia necessario fare una distinzione: quando scegli un colore per una collezione ovviamente lo scegli perché lo pensi per un vestito e magari per una figura ideale di riferimento (in teoria dovresti pensare anche ad una ricerca di mercato ma nella fase embrionale della progettazione ammettiamo per ipotesi che si pensi solo ed esclusivamente alla storia) ma poi la soddisfazione più grande è sapere che qualcuno ha voluto vestire il tuo capo perchè ha trovato un buon linguaggio con esso, qualcuno di inaspettato alla tua idea iniziale di fruitore ha vestito il tuo abito in modo egregio, perchè lo ha reso suo. Come diceva Coco, non c’è un colore o un vestito che può star bene o male, deve semplicemente dialogare in modo schietto con te, come la musica. Questo delinea la differenza tra una persona ben vestita ed una persona elegante, quello che i francesi chiamano ‘savoir faire‘.
K.C.: Mi ricordo una scena del film, “Il Diavolo veste Prada“, in cui Miranda Priestley critica la scelta del colore “azzurro” del maglioncino della povera assistente dicendole: “quello che non sai è che quel maglioncino non è semplicemente azzurro, non è turchese, non è lapis, è effettivamente ceruleo...”. Cosa c’è dietro la scelta di un colore o di un tessuto? Quanto è importante non banalizzare questa scelta?
M.C.: Dietro il colore e la sua scelta c’è una forte identità di progetto, vale a dire che nel momento in cui disegni e pensi ad una collezione niente viene lasciato al caso anche se non sembra. In quel momento esatto pensi che quel pantone o quella matita sarà il tuo prossimo colore e che per vari ed indiscutibili motivi la tua decisione è caduta su di esso/a. Non volendo hai letto un libro, visto un film, assistito ad un concerto che ti hanno spinto a sperimentare l’utilizzo di quel colore in un abito o di pensare che fosse molto prossimo ad essere indispensabile nel guardaroba di ciascuno di noi.
Il mio vestito, di quel colore, sarà un’intuizione carpita anche da altri, non solo da me e qui inizia il ciclo della moda: vedere che quello che fai, in chiave diversa, viene fatto anche da altri (colleghi), ognuno con una propria identità ma con una sensibilità simile. Così il colore come il tessuto sono la linfa delle mie collezioni e i corrispettivi dei due sensi fondamentali per la moda: la vista ed il tatto.
K.C.: So che sei un appassionato di design. Anche nel tuo atelier ci sono pezzi importanti del design italiano, come una Superonda degli Archizoom rosso fuoco. Come convivono la moda e il design?
M.C.: La moda è strettamente connessa al design, basti pensare che la figura di riferimento, “lo stilista”, è definito appunto “fashion designer”. Per quanto mi riguarda, la mia formazione avviene dopo il liceo classico, sotto architettura. La passione per il design però è qualcosa che è databile a molto tempo prima dell’università. Da sempre gli oggetti mi comunicano delle sensazioni, le forme mi incuriosiscono e una forte comunicabilità tattile di certi oggetti mi entusiasma. Si tratta per lo più di un’attrazione dovuta alla forma e alla materia più che alla tecnologia. Sono molto istintivo e alle volte mi avvicino ad un oggetto come ci si può avvicinare ai riccioli di una scultura del Bernini. Questo è successo per molti e molti oggetti e arredi che ho raccolto negli anni, per ultimo un divano Superonda di Archizoom, un oggetto di un fascino incredibile.
K.C.: La tua “capsule collection” è una collezione di borse di design, dalle linee decise, dai materiali pregiati e dai colori forti come il giallo e il rosa fucsia. Come mai la scelta di produrre accessori di design per la moda?
M.C.: L’accesssorio è qualcosa che non può, per quanto mi riguarda, essere scisso dal pensiero di un total look, è qualcosa che caratterizza in modo determinante una persona. La borsa della “capsule collection”, disegnata e presentata per la Vogue Fashion Night di Firenze, è una clutch in tre modelli, dalla forma rettangolare apparentemente rigida e strutturata che cela in realtà il legame con le maestranze della lavorazione fiorentina della pelle. Un fiorentino deve sapere come si lavora la pelle, cosa c’è dietro ad un prodotto finito: il mondo della pelletteria mi ha così entusiasmato da passare un po’ di tempo in estate a seguire la produzione dei primi prototipi in un laboratorio artigiano. Ho scelto la pelle, creato il carta modello tagliato e seguito attentamente l’assemblaggio. L’entusiasmo e la riuscita è stata ottima e per questo ho deciso che non abbandonerò questa strada, ma rimarrà parallela all’abbigliamento. Le scelte grafiche e i colori dai richiami fortemente “pop” raccontano il mio mondo, la voglia di schematizzare e raccontare con pochi tratti oggetti e animali riconoscibili agli occhi di un bambino, un po’ come è successo per la stella o il cane, che è diventato una sorta di mio logo.

Michele Chiocciolini, fiorentino è un architetto e un giovane stilista.
Il brand Michele Chiocciolini è costituito dalla coppia Michele Chiocciolini (designer) e da Francesca Chiocciolini, sorella e figura fondamentale nella gestione e organizzazione dello sviluppo del marchio.
Del 2011 la prima collezione “Arte Indossata”.
A settembre del 2012, hanno inaugurato il loro atelier in Via del Fico 3/r, nello storico quartiere di Santa Croce, durante la Vogue Fashion Night Out 2012.