area 108 | Mexico City

Nell’immaginario collettivo, Città del Messico è ormai da tempo una delle più grandi città del mondo, esempio perfetto dell’urbanizzazione che ha caratterizzato il ventesimo secolo e, in particolar modo, i paesi in via di sviluppo. Città del Messico è una megalopoli in via di sviluppo. Benché la tendenza sia quella di associare tali caratteristiche al concetto stesso di urbanità, scopo del presente saggio è quello di dimostrare che l’effetto urbanizzazione, che ha caratterizzato Città del Messico nel ventesimo secolo, non è da attribuirsi allo sviluppo del centro urbano in sé, bensì alla periferia della città. Dalle opere di grandi architetti quali Mario Pani e Luis Barragán, alle vere forze motrici e alle opere di urbanizzazione attuali, vedi l’informalità e i complessi residenziali su larga scala, sono i margini che hanno fatto di Città del Messico quello che è ora. La periferia non deve, in questo caso, avere connotazione spregiativa, deve piuttosto essere considerata uno spazio che si è evoluto e, da margine della città, è diventato un luogo con una sua profondità, un suo significato e un’intensità ben precisi che ne fanno un esempio di urbanità emergente.
Sebbene sia una città piuttosto “giovane”, se paragonata alle sue colleghe europee (fondata nel 1326 dagli Aztechi) e benché la si possa considerare il frutto della fusione tra periodo pre-ispanico, coloniale e storia moderna, Città del Messico, così come la conosciamo oggi, è principalmente il risultato della storia del ventesimo secolo.

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Tra il 1521 e il 1900 la popolazione di Città del Messico non crebbe poi tanto, anzi, nel ventesimo secolo le epidemie causarono addirittura un sensibile decremento. È solo negli ultimi 100 anni quindi, che la città ha visto aumentare la propria popolazione da 300.000, all’inizio del ventesimo secolo, a circa 20 milioni di abitanti, distribuiti su una superficie superiore ai 1.400 chilometri quadrati. Il ventesimo secolo si apre in Messico con un conflitto: la rivoluzione messicana (1919-1921) getta le basi ideologiche per una nuova relazione tra cultura e trasformazione sociale, ma sarà solo dopo il 1921 che il paese ritroverà la stabilità necessaria per poter permettere all’architettura moderna di esprimersi e alla città di svilupparsi. Gli anni ’30 e ’40 sono quelli del consolidamento, gli anni in cui il regime post-rivoluzione comincia a gettare le basi per nuove istituzioni a livello metropolitano e nazionale.
È questo il momento in cui la città comincia ad espandersi in maniera considerevole, un’espansione che è il risultato della creazione di nuovi quartieri ai margini del centro urbano, della migrazione delle fasce più agiate della popolazione verso le aree periferiche. Si dovranno tuttavia attendere gli anni ’50 per poter assistere allo sbocciare della città, frutto della nuova situazione economica, politica e demografica. L’elevata crescita economica, l’industrializzazione, nonché il processo di ammodernamento allora in atto, hanno fatto di Città del Messico il nucleo del paese. Alimentata dalla migrazione della popolazione dalle zone rurali a quelle urbane e dall’alto tasso di natalità, l’esponenziale crescita demografica del periodo si riflette nel paesaggio urbano: nelle infrastrutture e nelle soluzioni di tipo residenziale. A questo stesso periodo risalgono alcuni tra i progetti più emblematici dell’architettura moderna messicana, quali il National University Campus e i complessi residenziali di Mario Pani. Alla fine degli anni ’50, la popolazione di Città del Messico aveva raggiunto quota 3,1 milioni di abitanti, distribuiti su una superficie di 250 chilometri quadrati ed è questo il momento che possiamo definire di svolta a livello urbanistico per tutta una serie di motivi: si assiste al passaggio dal regime post-rivoluzione, che aveva dominato dagli anni ’20 agli anni ’40, ad un modello che vede l’intrecciarsi di investimenti pubblici e privati, motore della crescita e dello sviluppo della città. È in questo periodo inoltre, che la città comincia ad espandersi oltre i propri confini politici e lo fa con un’urbanizzazione cosiddetta “informale”, un cambio di rotta non di poca importanza poiché toglie ad architetti e urbanisti il controllo sulle trasformazioni della città. Per la prima volta i limiti alla crescita metropolitana cominciano ad influenzare la progettazione urbanistica a livello teorico e pratico.
Nel suo “Los Olvidados“ (“I figli della violenza” nella versione italiana ndt), film del 1950, ambientato e girato a Città del Messico, Luis Buñuel ci mostra la spirale di disperazione e di estrema povertà che caratterizza la vita della metropoli (moderna), documenta la tragedia delle baraccopoli e, ciò che è più importante, mostra la difficoltà di procedere con ottimismo e di apportare cambiamenti nel contesto della città moderna. Oltre ai cantieri della metropoli moderna, Buñuel ci mostra le periferie, spazi in cui i veri outsider, gli ultimi, stanno costruendo la propria città. In quegli anni, lo sviluppo urbanistico di Città del Messico è guidato da due posizioni radicalmente opposte: da un lato c’è l’architettura moderna, una forma di progettazione che mira a comprendere la città e a sviluppare tecniche per affrontare problemi quali la costruzione di alloggi, di infrastrutture e servizi. Dall’altro lato si assiste al crescente fenomeno dell’urbanizzazione cosiddetta informale, ovvero quel processo di urbanizzazione che avviene al di fuori della legalità, in deroga ai modi e alle leggi previste per lo sviluppo della città.

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L’architettura moderna e la pianificazione urbanistica hanno fatto della periferia il loro luogo prediletto; alcuni tra i progetti di pianificazione e architettonici più emblematici si collocano nella periferia della città. El Pedregal e la Città Universitaria nella zona sud, la Ciudad Satelite in quella nord sono i primi progetti ex-urbani realizzati. Luis Barragán inizia a sviluppare un piano per l’urbanizzazione di El Pedregal de San Angel negli anni ’50, con l’intento di realizzare un quartiere di spaziose abitazioni mono-familiari. Il sito prescelto, El Pedregal appunto, ricoperto da una colata lavica, viene inizialmente “scoperto” dall’artista Dr. Atl, che ne riconosce le potenzialità artistiche; Barragán sarà colui che sfrutterà tali potenzialità realizzando un’architettura dai toni drammatici sia per i suoi complessi residenziali che per gli edifici istituzionali, instaurando in tal modo uno strano ed inquietante rapporto con il terreno ed il paesaggio circostante, basti pensare ad alcuni edifici della Ciudad Universitaria, o ancora meglio, alle abitazioni progettate da Francisco Artigas, Max Cetto e Barragán stesso.
Tralasciando i giardini pubblici, le fontane e gli altri piccoli interventi realizzati da Barragán, il modello urbanistico di El Pedregal si colloca tra il quartiere di stampo statunitense e la gated community. Le abitazioni mono-familiari, collocate su lotti di più di 1000 metri quadrati e separate dalla strada da mura, costituiscono un modello che si discosta da altre forme di urbanizzazione e utilizzo del terreno. Le abitazioni di El Pedregal non possono essere definite “urbane”, rappresentano piuttosto una forma di fuga dalla città. Diverso è il progetto per la costruzione del National University Campus nella periferia di Città del Messico, che può essere considerato un tentativo di decentralizzazione. Sebbene meno controverso, probabilmente perché riconosciuto quale esempio di architettura moderna messicana più importante, il campus è tra i progetti decisivi che hanno contribuito alla “decadenza” del centro storico di Città del Messico. È infatti proprio con l’allontanarsi della comunità accademica dal centro storico che si assiste ad un decremento della popolazione in tale area, nonché ad una perdita di “vitalità” del centro città. È certamente paradossale che la realizzazione di un moderno complesso universitario abbia causato, seppur in maniera non intenzionale, un abbassamento della densità di popolazione e una de-urbanizzazione del centro città. Nello stesso periodo, nell’area a nord della città, Mario Pani progettava la Ciudad Satelite, un quartiere moderno destinato alla classe media, sviluppato attorno al concetto di mobilità e all’uso dell’auto privata come mezzo di trasporto. Costituita da un sistema di raccordi anulari e distretti, tutti collegati ad un’arteria centrale, la comunità così strutturata è pensata per ospitare 200.000 abitanti. La Ciudad Satelite rappresenta un modello di cittadina auto-sufficiente collocata alla periferia di Città del Messico, la realizzazione del concetto stesso di decentralizzazione. La scultura urbana Satélite Towers, realizzata da Luis Barragán e Mathias Goeritz diviene simbolo o confine stesso di questa nuova comunità costituitasi ai margini della città.
Tutti gli esempi sopra riportati hanno in comune una legittima aspirazione, quella di mettere in rapporto l’utilizzo del territorio con la realtà sociale ed economica della città di quel periodo.
Dagli anni ’50, e soprattutto negli anni ‘60, anche la periferia di Città del Messico inizia a svilupparsi con un processo di urbanizzazione che si situa al di fuori di qualsiasi quadro giuridico, normativo e professionale, e lo fa attraverso varie forme di occupazione abusiva, vendite illegali e suddivisione di terreni in aree non ancora pienamente sviluppate.
Alla base di tale urbanizzazione “informale” vi è l’enorme richiesta di nuovi terreni e soluzioni abitative da parte degli abitanti del centro città, la nuova ondata migratoria dalle zone rurali, nonché l’incoerente politica urbanistica di Città del Messico. Ciudad Nezahualcóyotl, il cui nome abbreviato è Neza, è senz’altro l’esempio più emblematico di tale urbanizzazione. Situata a 12 km ad est dal centro di Città del Messico e sorta sull’antico letto del lago Texcoco, su un sito soggetto alle inondazioni durante la stagione delle piogge e alle tempeste di sabbia durante la stagione secca, Neza si sviluppa proprio a seguito della suddivisione e della vendita irregolare di terreni da parte di imprenditori immobiliari, nonché dell’invasione di occupanti abusivi. Tali imprenditori immobiliari si sono appropriati, a volte comprandoli, a volte con altri mezzi, di grandi porzioni di terreno un tempo facente parte dell’antico lago, ignorando poi l’obbligo di fornire a tali aree servizi e infrastrutture. Sulla base di un tacito accordo, gli acquirenti di queste terre “semi-selvagge”, di dubbia legalità, dovevano combattere, negoziare e autogestirsi in modo da ottenere un progressivo incorporamento al tessuto urbano e poter far fronte, in tal modo, alle proprie esigenze di vita minime. In meno di 40 anni Neza si è trasformata da territorio desolato in vera e propria città con quasi 1,5 milioni di abitanti. Oggi è una città completamente sviluppata con un’interazione sociale, un pluralismo e una complessità spaziale di alto livello che altre comunità, frutto della pianificazione, possono solo sognare.
Questo modello di urbanizzazione, divenuto di moda negli anni ’60, ‘70 e ’80, si è esteso ad altre periferie quali quella di Ecatepec e di Valle de Chalco a sud-est della città. Qui si è venuto a creare un tappeto grigio ininterrotto, un agglomerato di edifici bassi che si estende all’orizzonte della megalopoli e i cui unici tratti tipici sono diventati le irregolarità geografiche, il paesaggio sterile e le infrastrutture su larga scala sviluppatesi dopo l’occupazione. In tempi più recenti abbiamo assistito ad un fenomeno che rappresenta l’evoluzione delle periferie, ovvero alla trasformazione su larga scala, voluta e guidata dagli imprenditori immobiliari, di zone rurali in aree residenziali. Negli ultimi anni, le unità abitative annuali totali di Città del Messico, costruite seguendo un iter formale dallo stato e da imprenditori privati, sono oltre 105.000. Detta cifra supera di poco la metà della produzione edilizia totale, dal momento che l’altra metà è rappresentata dall’edilizia cosiddetta “informale”. Ciò che veramente distingue il modello recente di urbanizzazione è la dimensione e l’impatto di alcune aree di sviluppo urbano realizzate in modo formale, aree adibite prevalentemente ad edilizia residenziale, costruite per lo più da privati con l’intervento dello stato ridotto al minimo. La possibilità attuale di acquistare terreni un tempo di proprietà comunale
e di accorpare e urbanizzare più lotti ha permesso di aumentare le dimensioni delle nuove aree di sviluppo urbano. Alcuni di questi quartieri “pianificati” dispongono di oltre 4.000 unità abitative; recentemente fino a 13.000 unità abitative sono state costruite da un unico imprenditore immobiliare e in molti casi progettate da un unico architetto. Le nuove aree di sviluppo urbano stanno diventando, frutto di pianificazione o meno, le più vaste gated community della città, in cui la strategia urbanistica prevalente prevede strade tutte uguali, case a schiera e vicoli ciechi. La pianificazione si limita a delineare la configurazione della rete stradale e punta al massimo sfruttamento dei terreni vendibili attraverso la ripetizione di un numero limitato di tipologie abitative. Nessuno zoning urbanistico, nessuna pianificazione di aree destinate ad edifici scolastici, commerciali o civici, accesso molto limitato allo spazio pubblico, nessun rapporto con le infrastrutture di trasporto metropolitano e soprattutto nessuna possibilità di sviluppo o trasformazione del quartiere. L’urbanizzazione, in questo caso, altro non è che la mera costruzione di abitazioni. È interessante notare che questi recenti modelli di periferia, formale e informale, vanno sviluppandosi fianco a fianco, mettendo in luce i propri difetti ma anche il loro rapporto dialettico: nessuno dei due modelli è veramente urbano (per ora), ma entrambi sono alla base di un nuovo modo di concepire la città. Tali periferie mettono in evidenza le discrepanze esistenti fra architettura e società, fra formale e programmatico, fra i desideri personali e lo sviluppo votato al guadagno, fra politiche di pianificazione e pratiche quotidiane e, allo stesso tempo, sono diventate la regola piuttosto che l’eccezione, ossia un modo d’immaginare nuove forme di urbanizzazione nella megalopoli.

José Castillo (Città del Mexico, 1969) è un architetto e urbanista, vive e lavora a Città del Messico. Si è laureato all’Università Iberoamericana di Città del Messico, alla Harvard University’s Graduate School of Design ha ottenuto un Master in Architettura e un Dottorato in Design. Ha fondato con Saidee Springall lo studio di progettazione “arquitectura911sc” a Città del Messico. Le sue architetture come i suoi scritti sono pubblicati su molte riviste internazionali. È professore alla Scuola di Architettura dell’Università Iberoamericana e alla Scuola di Design. Dal 2005 ha curato molte mostre sull’architettura e la città.