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Marco Casamonti: Quando nasce il cantiere Otam, come si sviluppa, quale è la sua filosofia
e la sua storia?
Gianfranco Zanoni: Il cantiere Otam nasce nel 1954 a Santa Margherita Ligure come centro assistenza imbarcazioni, poi si è sviluppato diventando di proprietà di Carlo Riva e quindi occupandosi principalmente di imbarcazioni Riva. In seguito il cantiere ha iniziato a costruire delle proprie barche e poi negli anni 80, quando c’è stato il nuovo passaggio di proprietà da Carlo Riva al nuovo proprietario, è nata la possibilità di allestire le imbarcazioni Magnum che, costruite negli Stati Uniti e in seguito alla installazione dei motori, venivano mandate a Santa Margherita per la realizzazione degli interni. Nel 1995 Otam decise di costruire una propria imbarcazione, ovviamente su ispirazione Magnum. Furono analizzati tutti i punti deboli, dalla laminazione piuttosto spartana, al fatto che erano imbarcazioni completamente open, cercando di creare un prodotto migliore da tutti i punti di vista: dal design, alla sala macchine, alle motorizzazioni, agli interni, all’hard-top. Quindi nel ‘95 Otam decise di fare prima il 45, per poi passare subito nel ‘98 al 58. Una imbarcazione con hardtop che offriva la possibilità di percorrere lunghe distanze senza grossi problemi ma che al contempo restasse sempre un open. Una imbarcazione veloce, accattivante, dotata di linee pulite ma molto cattive e capace di tenere molto bene il mare. Fino a questo punto però gli interni risultavano un po’ old style. Poi nel 2009, con l’architetto Salvagni abbiamo fatto un enorme salto di qualità nel design.
M.C.: Il cliente si affida al suo architetto oppure ai vostri designer?
G.Z.: Il nostro cliente tipo sa già come vuole l’imbarcazione, e ha solo bisogno di qualcuno che metta le idee sul foglio, che le renda progetto.
Carlo Pezzoli: Con Salvagni abbiamo iniziato a dare la possibilità al cliente di ricevere proposte d’interni sempre customizzabili, sia per quanto riguarda i materiali, che il layout, però Salvagni ha portato un grande refresh rispetto a quello che facevamo prima.
E se Riva rappresenta l’eleganza per eccellenza, e Magnum la performance, noi abbiamo cercato di unire le due cose: eleganza e performance.
M.C.: Quali e quante sono le figure necessarie per sviluppare il progetto fino alla fine?
G.Z.: Noi ci appoggiamo allo studio Tagliavini che effettua tutti gli studi idrodinamici della carena. Per le sovrastrutture abbiamo sempre voluto un’imbarcazione molto aggressiva e quindi, prima, ci siamo rivolti a Paolo Martin che è molto noto del settore automobilistico, poi ultimamente ad un giovane molto bravo Alberto Mancini di Trieste, il quale ci ha proposto le soluzioni dell’hard-top del 65 e la coperta del 100. Quindi abbiamo lo studio per le carene, lo studio per le sovrastrutture e poi abbiamo uno studio per gli interni guidato dall‘architetto Achille Salvagni.
M.C.: Voi fate realizzare la carena da un fornitore, che vi arriva grezza e quindi procedete con l’installazione dei motori?
G.Z.: Abbiamo i nostri stampi di imbarcazioni presso un’azienda, poi diamo le nostre specifiche di stampaggio che vengono dallo studio Tagliavini e abbiamo un addetto fisso che controlla e aiuta nella realizzazione della imbarcazione seguendo le nostre direttive. Il cliente sceglie un layout, del quale però è necessario effettuare un’analisi strutturale, dopo la quale trasmettiamo il layout al nostro addetto il quale procede con il posizionamento delle paratie strutturali; finito il processo di laminazione l’imbarcazione arriva con la carena già compartimentata e la coperta accoppiata e noi realizziamo tutti gli impianti, effettuiamo l’installazione dei motori, dei generatori, degli accessori, costruendo a bordo gli arredi interni; penso che siamo gli ultimi a farlo.
M.C.: Dal punto di vista tecnologico voi costruite alcune barche in kevlar altre in aramat.
Quali sono le differenze?
G.Z.: Un’imbarcazione generalmente fatta in Aramat – vetro resina più performante – ha un costo di circa 22 euro al chilo, mentre la parte in resina di una imbarcazione arricchita di Kevlar costa 36-37 euro al chilo. Il Kevlar è molto più leggero, resistente alla trazione ma ben poco alla compressione, per cui noi spesso usiamo Aramat, perché la fibra di vetro ha un’ottima resistenza a compressione e a trazione, legata poi anche con fibra di Kevlar si accentuano le caratteristiche.
M.C.: Il tema dell’ecologia, della sostenibilità, dell’ecocompatibilità, è un tema che attraversa tutti i settori, per esempio anche la Ferrari all’ultima World Expo ha presentato un modello con il Kers (Sistema Cinetico di Recupero dell’Energia). Anche voi, nel settore della nautica, sentite questa richiesta da parte della committenza, cioè di avere un prodotto performante, sportivissimo, veloce, ma con un’attenzione ai temi ambientali?
G.Z.: Attualmente stiamo effettuando una ricerca sulla diminuzione del peso producendo due hard top completamente in carbonio, che passano da 470 chili, del modello 58, a 170 chili, mentre per il 65 i vecchi 780 chili da progetto dovrebbero diventare 250 kg. Vogliamo andare a diminuire il peso e quindi poi diminuire la potenza, per poter avere sempre le stesse prestazioni e la diminuzione dei consumi. Quindi il primo passo è la diminuzione dei pesi, il secondo è quello di integrare un sistema elettrico da utilizzarsi soprattutto per l’ingresso in porto. Noi non crediamo molto nel fotovoltaico, perché non abbiamo superficie sufficiente.
M.C.: Però questo tema dell’ibrido è interessante. Ma è fantascienza o è fattibile?
G.Z.: È fattibile e sarebbe già stato realizzato per assurdo se nella Formula 1 non avessero ripreso il kers. Perché le varie aziende che hanno studiato il Kers, cioè il recupero di energia in frenata, hanno sviluppato dei motori molto compatti, piccoli e potenti. Poi il Kers è stato bandito e le aziende hanno cercato degli sbocchi diversi.
Noi stavamo studiando con una di queste aziende una applicazione a livello nautico e nel particolare sulle nostre imbarcazioni, però una volta tornato in auge il Kers tutte le aziende si sono ributtate nella Formula 1.
M.C.: Il tema del comfort acustico, soprattutto in una barca di grande velocità, di grande performance, con dei motori molto potenti, è importante...
G.Z.: Abbiamo installato un cofano motore che apriamo idraulicamente per far vedere tutta la sala macchine, che è completamente insonorizzata, abbiamo fatto un o-ring attorno a tutta l’apertura e quando si chiude il cofano motore diventa totalmente ermetico.
M.C..: Si sono visti, anche nelle barche performanti, con motori a idrogetto anziché a elica. È stata una idea passeggera o è una cosa fattibile?
G.Z.: No, in una barca sportiva non si può fare. Principalmente perché il jet ha un blocco di resa a 48 nodi. È un problema proprio di efficienza del getto che spinge contro un’altra massa d’acqua per far spostare l’imbarcazione e che oltre i 48 nodi non può andare. Una barca performante prevede anche di saltare tra le onde e quando esce con un jet fuori dall’onda che non succhia più acqua, la barca cade come un sasso perché non ha più spinta.
M.C.: Queste barche tengono molto bene il mare, perché sono molto lunghe, molto strette, molto a V…
G.Z.: Essendo la velocità e la tenuta di mare la filosofia che ha spinto OTAM a creare la propria flotta sono state studiate carene dalla V molto accentuata che permettessero prestazioni uniche, i motori di grossa cilindrata garantiscono velocità elevate ed i nostri 21 gradi di carena di poppa assicurano una maggior stabilità e comfort perché la sollecitazione che viene dall’acqua viene ripartita secondo l’angolo di deadrise.

Gianfranco Zanoni is engineer and CEO of OTAM
Carlo Pezzoli is Sales Manager of OTAM