area 101 | álvaro siza

Dalla presentazione dei lavori realizzati da Alvaro Siza nel nord del Portogallo, avvenuta in occasione della mostra ”Europa-America”, nell‘ambito della Biennale Internazionale d‘Arte di Venezia del 1976, fino ad oggi, l’interesse della critica internazionale per la sua opera ha continuato a crescere. Sono pochi gli autori i cui lavori sono stati altrettanto studiati e pubblicati in una trentina d’anni, e questo è ancora più sorprendente per una personalità che non corrisponde affatto al profilo preferito dai mass media. Dolce, tranquillo, gentile, paziente, persino timido e un po’ lento sotto certi aspetti, angosciato e introverso, Alvaro Siza non corrisponde per nulla all’ideale di una cultura in cerca di sensazioni forti, di stravaganza e di superficialità. Al rinnovamento continuo, Siza contrappone una certa tradizione. Né il carattere del personaggio, né l’analisi della sua opera consentono di spiegare un tale successo in un clima di effervescenza mediatica sempre più affermata, che vorrebbe fare di alcuni architetti degli idoli popolari o dei superuomini dello star system. L’opera e la personalità di questo architetto testimoniano un atteggiamento decisamente opposto a questa tendenza. Abbiamo a che fare con un uomo semplice, genuino, solitario, attento e rispettoso del suo entourage e del suo ambiente. Sempre preoccupato di agire senza provocare danni, senza urtare gli altri, alla ricerca della mediazione per trovare soluzioni adeguate ad ogni situazione e ad ogni persona. La sua tematica preferita, come vedremo, è incentrata sul realismo; insiste sull’attualità e soprattutto sulla coscienza viva della nozione d’impermanenza, nel senso di praeteritum. Ed è questo che differenzia Siza dai suoi colleghi che lavorano nella perennità utilizzando un linguaggio che potrebbe avvicinarsi al suo sotto certi aspetti, ma la cui intenzione e direzione di ricerca sono in realtà radicalmente opposte. Qual è dunque il fattore scatenante del successo di questo solitario? È prima di tutto la potenza di persuasione di un pensiero complesso applicato agli aspetti più concreti delle aspettative esistenziali, così come il fondamento di un’analisi che tenga conto di un gran numero di fattori, che Siza si sforza sempre di integrare nei suoi progetti. In contrasto ad un minimalismo di tendenza, il lavoro di Alvaro Siza è caratterizzato dalla complessità degli innumerevoli dettagli che egli prende in considerazione, analizza e che infine, scrupolosamente selezionati, determinano la funzione del suo programma.
Questo programma va ben al di là di ciò che chiedono i suoi clienti; è Siza stesso che li mette di fronte a considerazioni architettoniche impensate, questioni alle quali, del resto, non pensano neanche i suoi colleghi architetti! In effetti, ciò che caratterizza il suo modo di avvicinarsi ad un progetto è la distanza nei confronti dei codici e delle abitudini della sua professione. La lentezza relativa delle sue decisioni deriva in realtà dagli innumerevoli aspetti di cui tiene conto nei suoi studi, problemi che esamina pazientemente prima di prendere le sue decisioni e di trovarvi una soluzione. L’evoluzione di un progetto parte dalla riduzione all’essenziale per arrivare ad un approccio graduale della sostanza. A questo proposito, Siza afferma: “l’apprendistato dell’architettura implica un allargamento dei riferimenti”1.
Il risultato, l’espressione stessa dei suoi disegni scaturisce da una sottile selezione degli aspetti trattati, poi fissati e infine espressi in un linguaggio semplice, ma pur sempre incisivo, che è la conclusione di un processo di deduzione a volte estremamente lungo. Il risultato si libera e rivela l’essenziale delle condizioni del progetto, lasciando allo stesso tempo esprimere delle raffinatezze che ne fanno un’architettura delicata e colta e che rinviano ai diversi aspetti presi in considerazione. Lo storico e critico Kenneth Frampton parla giustamente di una sintassi loosiana (riferendosi all’architetto Adolf Loos) che diventa parte integrante dell’architettura di Siza2 che si appoggia sull’espressione del “quasi niente“ divenutagli così cara a partire dall’esperienza fatta nel quadro del programma S.A.A.L., nel 1973. Questa data si rivela comunque determinante nella percezione che Alvaro Siza ha dei bisogni dell’essere umano, una percezione che – come egli stesso dice – ha generato in lui un profondo cambiamento di atteggiamento nella vita. Se in questa esperienza si può ritrovare una evoluzione della sua architettura, ciò non è dovuto ad un cambiamento formale, ma piuttosto alla profonda trasformazione della sua visione di un modo di vita3. Non si deve dimenticare che il 1974 è l’anno della rivoluzione portoghese, la cosiddetta “rivoluzione dei garofani”, che affrettò la caduta del regime fascista di Salazar e che segnò profondamente Alvaro Siza. A partire da questo momento la sua architettura, sebbene segnata da un’intima conoscenza del repertorio moderno, si rifiuta di proporre modelli nuovi e non tiene più conto, se non indirettamente, dei linguaggi convenzionali, riconducendo piuttosto la sua coerenza alla continuità rispetto al contesto politico ed economico4. La conseguenza di questo impegno sociale per un’architettura di qualità accessibile a tutti e per l’allargamento della nozione dell’edilizia e il suo perseverare nell’originalità, giustificano pienamente l’interesse della critica per l’opera sempre rinnovata di Alvaro Siza.
Un altro aspetto importante del lavoro di Siza poggia sul senso del concreto che egli conferisce all’architettura, un’architettura convenzionale, elaborata, basata su una forte tradizione artigianale e radicata nella “cultura della terra”5 nella “cultura della sua terra natale” il nord del Portogallo. Un senso che ha portato Siza a sviluppare la nozione del realismo legata, come egli stesso precisa6, alle condizioni oggettive dell’architettura. Come evidenzia a giusto titolo Nuno Portas, Siza coltiva un atteggiamento opposto a quello di molti dei suoi colleghi, che considerano il futuro come il terreno di una ricerca visionaria7. Siza al contrario considera il futuro a partire dalla realtà presente. Egli cerca di risolvere le contraddizioni riferendosi ai fatti quotidiani, come se la sua percezione della realtà rifiutasse l’estrapolazione e cercasse di liberarsi da tutte le illusioni. L’oggetto centrale delle sue preoccupazioni e del suo interesse resta sempre la realtà concreta, nell’idea di “riscoprire la singolarità delle cose evidenti” (Siza), da cui la riserva e lo scetticismo nei confronti dell’idealismo. Siza afferma ”che bisogna tener conto di tutto ciò che esiste [...] perché non si può escludere niente dalla realtà […]. Tutti gli aspetti della realtà in opera […] dovrebbero essere integrati nel progetto”8. Uscito dalla scuola delle Belle Arti di Porto, Alvaro Siza prese nota della tendenza artistica del realismo nell’arte, specialmente quella sviluppata in Francia in risposta al clima culturale e politico dell’insurrezione del 1848. Questo realismo, che mirava a percepire meglio una realtà sociale, fu per Siza e i suoi colleghi che avevano subito l’oppressione del fascismo di Salazar un vero punto di riferimento nella reazione alla politica al potere in Portogallo. Da qui il loro interesse per un’architettura impegnata e fortemente sentita in un periodo storico politicamente molto agitato. Siza fu uno dei pochi superstiti della Rivoluzione dei garofani ad approfondire questo principio e a riportarlo in maniera convincente all’architettura per renderlo accessibile a tutti gli strati della società, e questo gli assicurò il successo. L’autenticità del suo metodo ha convinto, nel corso degli anni, la maggior parte dei critici e degli storici dell’architettura. Per illustrare questa vocazione dedicata ai bisogni dell’essere umano, il critico Pier Luigi Nicolin, che ha seguito attentamente i progetti della S.A.A.L., ha detto di Siza “che appartiene ad una categoria di uomini che pensano di avere più doveri che diritti”9. Ecco un motto che è praticamente sparito nella nostra società globalizzante dove l’egocentrismo e gli interessi privati troppo spesso annullano quelli della collettività che Siza, al contrario, si sforza di difendere nel campo dell’architettura. Il suo caso rimane certamente isolato nell’ambito di una professione diventata oggi dipendente dei grandi trust immobiliari. Non c’è alcun dubbio, Siza difende la posizione etica di un’arte che trascende l’architettura stessa e trae origine dal suo interesse per la storia dello sviluppo del suo paese a partire dal 1930 e dalla sua partecipazione attiva al rafforzamento di una politica democratica dell’edilizia. Per capire meglio questo fenomeno, bisogna tener conto di diversi fattori che hanno favorito lo sviluppo di un’architettura originale nel nord del Portogallo. Innanzitutto, la situazione politica fece emergere un movimento culturale d’opposizione, una specificità ed un particolarismo tipico della ricerca architettonica locale, che si può anche considerare endemico alla Scuola di Porto. Quest’ultima si sviluppò in maniera indipendente rispetto al potere ufficiale, che all’epoca si concentrava unicamente su Lisbona e che tenne Porto metodicamente in disparte preferendo favorire, fino agli anni ’60, una costituzione centralizzante e autoritaria. I grandi cantieri, le opere pubbliche, i centri di ricerca furono tutti concentrati nella capitale, dove si trovavano anche i grandi gruppi di interesse economico. Il nord del Portogallo doveva contendersi le commesse minori, provenienti generalmente da clienti privati, come quelle che caratterizzano i lavori realizzati da Siza tra il 1952 e l’inizio del suo riconoscimento internazionale, negli anni 1980. Il fatto di essere sistematicamente messi da parte, stimolò, in questa regione del nord, la ricerca di soluzioni alternative, in contrasto con l’architettura monumentale di tipo franchista e con le correnti internazionali al servizio del capitalismo speculativo. Tra gli anni ’50 e ’60, un gruppo di architetti di Porto si organizzò sotto la direzione di Carlos Ramos, che era allora direttore della Scuola di Belle Arti che frequentava Siza come aspirante artista, e di Fernando Távora, architetto e futuro “maestro” di Siza. Alvaro Siza passò diversi anni nell’atelier di quest’ultimo, che gli diede la base della sua formazione professionale. I modelli discussi in quel periodo s’ispiravano in parte all’Italia e all’interesse per le riviste di architettura di questo paese. Grazie ad esse i portoghesi conobbero, tra gli altri, il movimento del neorealismo che implicava un’architettura artigianale e che rappresentava per la Scuola di Porto un’alternativa basata sulla ricerca collettiva di un’espressione democratica, agli antipodi rispetto alla retorica ufficiale. Ma l’ispirazione venne anche dai paesi del nord Europa, allora guidati da governi social-democratici che dedicavano grande interesse all’habitat sociale. Il movimento dell’architettura organica – e specialmente i lavori di Alvar Aalto – apparve ai gruppi riuniti intorno alla Scuola di Porto come l’espressione di una libertà particolarmente attraente, un modello che esaltava il rispetto del paesaggio e la valorizzazione di un artigiano di qualità. Il riferimento ad Aalto è effettivamente sintomatico della dinamizzazione del percorso di alcune opere di Siza, come per esempio la realizzazione della filiale della banca Borges & Irmao a Villa do Conde (1974), con le curve del soffitto che si rivelano complementari dell’ottagonalità del volume interno, specialmente nel rapporto tra il preesistente e la presenza architettonica, ma anche nel trattamento, particolarmente complesso, degli spazi. Sebbene si sostenga che Siza non sia un intellettuale egli ha assimilato, più di qualunque altro architetto, il senso “aaltiano” della concezione dell’architettura. Il cosiddetto stile folkloristico dei villaggi vacanza, che invasero allora la costa atlantica nel sud del paese, fu un altro oggetto di polemica tra il potere, l’Ordine Nazionale degli Architetti e la Scuola di Porto. Quest’ultima oppose a questa tendenza di cattivo gusto la concezione intelligente di un’architettura popolare curata, nella grande tradizione dell’edilizia portoghese. La crisi del pomposo stile ufficiale dell’architettura razionalista internazionalista al servizio della speculazione immobiliare, che imperversava nel paese, obbligarono il gruppo della Scuola di Porto a cercare una terza via. Fu però uno studio ordinato dalla sede centrale dell’Ordine Nazionale degli Architetti Portoghesi di Lisbona a costituire la base di tale alternativa. Questo studio aveva l’obiettivo di ravvivare una forte identità nazionale per associarla in seguito alla politica del potere in carica, facendo considerare le costruzioni popolari come altrettante testimonianze della qualità dell’edilizia tradizionale del paese. Fu Távora a condurre questa ricerca nella provincia di Minho. Il risultato fu pubblicato in un’opera straordinaria, molto diffusa in Portogallo10.
Se Távora venne incluso nel gruppo ufficialmente incaricato dallo Stato di una parte di questa ricerca, fu perché aveva pubblicato, a sue spese nel 1947, un opuscolo intitolato “il problema della mia casa portoghese”, che fu notato e in seguito ripreso nel 1961 nella rivista ufficiale Arquitectura11; il testo insisteva sulla necessità di uno studio approfondito sulla casa portoghese e “il suo uso in quanto fattore propulsivo dello sviluppo della nuova architettura...“ (Fernando Távora). La Scuola di Porto intraprese dunque questo compito e Alvaro Siza vi si associò. Si può affermare con Kenneth Frampton12 che questo studio della tradizione vernacolare influenzò il lavoro di Siza tra il 1954 e la Rivoluzione dei garofani del 1974. Siza seppe estrarre da questa ricerca certi motivi della tipologia rurale tradizionale, come le cappe dei camini, i tetti a due falde, la lavorazione tipica locale su materiali come pietra e legno. Ma la lezione principale che Siza trasse da questa esperienza fu imparare a percepire l’unità ottenuta nella “correlazione tra il paesaggio, il clima e il modo di vita” (Frampton), un criterio considerato essenziale per la classificazione durante il censimento degli edifici eseguito dal gruppo di Távora. Távora si basò su questi criteri durante tutta la sua carriera e Siza li riprese in seguito dal suo maestro. La relazione tra Távora e il suo allievo preferito s’intensificò nel corso degli anni, per affermarsi presto come riferimento della Scuola di Porto. A partire dal 1987, Távora, Siza e Souto de Moura, i tre capofila della Scuola di Porto – che rappresentano tre generazioni – raggrupparono i loro uffici all’interno di uno stesso edificio costruito da Siza stesso a Porto, un luogo simbolico, una sorta di “centrale” della Scuola di Porto. Secondo Vittorio Gregotti, uno dei primi ad aver notato il suo talento, l’integrazione del paesaggio in Siza avviene “attraverso l’attenzione per la specificità del luogo, che diviene materia prima del progetto“13. Gregotti nota giustamente che i disegni e le fotografie di un’opera non restituiscono il processo esatto del modo di affrontare questa integrazione. Questa nasce “da una sorta di capacità di istituire una archeologia autonoma costituita […] da tracce dei tentativi precedenti, da correzioni […] presenti nell’ordine finale, costruito attraverso accumulazioni ed epurazioni, da scoperte successive che diventano fatti a partire dagli ordini precedenti”14. L’attenzione che Siza presta all’ambiente nel quale integra un edificio va ben al di là della ricerca di un’armonia tra edilizia e paesaggio. Il termine archeologia rende perfettamente l’intenzione e l’attenzione dell’analisi che egli intraprende in realtà sul terreno. Si preoccupa prima di tutto di preservare tutte le tracce recuperabili della storia dei luoghi. Resta cosciente del fatto che il suo contributo in quanto architetto che interviene su un ambiente non è che una stratificazione momentanea e complementare di ciò che già esiste – che sarà presto completato da altri – e forma dunque un nuovo strato che va ad aggiungersi a quelli già presenti. Così, sebbene l’architettura rappresenti sicuramente un elemento concreto capace di resistere alle forze della natura per secoli, si può comprendere la nozione cara a Siza di “luogo transitorio” capace di adattarsi alle esigenze e alle mutazioni dei bisogni umani. Meglio ancora, come spiega Siza, l’architettura è un bene materiale che deve restare “a disposizione della continuità”, contrariamente al design i cui limiti sono “poco definibili, poiché si iscrive in un processo senza soluzione di continuità” (sic)15. Siza applica questo metodo a tutti i suoi progetti, dai più piccoli in aree periferiche, come per esempio il monumento al poeta Antonio Noble (1967), ai più complessi in ambiente urbano, e perfino alla ricostruzione della zona del Chiado a Lisbona, cominciata nel 1988. Questo gioco di rinvii continuo tra le condizioni esogene legate al luogo, alla sua storia, ai rapporti sociali e alla natura endogena del progetto diviene l’oggetto di una sperimentazione persistente... (Nuno Portas)16. Siza è inoltre considerato un grande disegnatore. Il disegno resta un momento artistico fondamentale nell’approccio all’architettura. Per Siza, un progetto comincia sempre con una visita dei luoghi dove sorgerà l’edificio, quindi con veloci schizzi e annotazioni in uno dei suoi famosi quaderni neri, che porta sempre con sé. Ma Siza è molto apprezzato anche per i suoi ritratti, i suoi paesaggi e le sue illustrazioni metaforiche. Grandi musei posseggono i suoi disegni, che fanno anche parte di numerose collezioni private, e spesso sono pubblicati. Nessuno ha saputo descrivere quest’arte meglio di Vittorio Gregotti, quando ha dichiarato che il disegno in Siza è “descrizione e avvicinamento ai luoghi e alle cose, la ragione d’essere insieme di luoghi e forme […]. Questi schizzi hanno inventato non solo una calligrafia, ma un metodo d’approccio al progetto […]. Il disegno non è per Siza un linguaggio autonomo; si tratta di prendere delle misure, di fissare le gerarchie interne del sito che si osserva, i desideri che quest’ultimo genera, le tensioni che induce; si tratta di imparare a percepire le questioni, a renderle trasparenti e penetrabili. Si tratta, in definitiva, di cercare per mezzo della scrittura e del disegno una serie di risonanze che funzionano progressivamente come parti di un tutto, che mantengono l’identità delle cause delle loro origini contestuali, ma allo stesso tempo si organizzano in sequenze, in percorsi, in arresti calcolati, che si allineano ad intervalli discreti verso un processo di diversità necessaria, ma non ostentata, di scrittura degli spazi e delle forme del progetto”17. Riassumendo l’arte del disegno di Siza e la sua applicazione al progetto architettonico, Gregotti aggiunge: “immaginare significa ricordarsi di ciò che la memoria ha scritto in noi e confrontarlo con le esigenze e le condizioni, ma anche elevare le esigenze e le condizioni al livello della loro reale complessità e infine restituirle nella semplicità…”18. Uno degli aspetti più discussi dell’opera di Siza resta l’interpretazione del suo approccio artistico e della sua integrazione nell’architettura. Alcuni hanno difficoltà ad ammettere – in quanto osservatori, critici o storici – questa vocazione artistica dell’architetto, poiché concepiscono l’arte come un campo legato piuttosto ai sentimenti, sebbene il termine arte benefici comunque di un preconcetto positivo. Questi separano ancora oggi le arti minori, vale a dire quelle decorative, dalle arti maggiori tra cui, naturalmente, l’architettura. Coloro che giudicano l’architettura partendo da un timore dell’arte legato all’edilizia formale, la concepiscono come l’elemento fondamentale di un’esperienza estetica che opera attraverso il linguaggio. La specificità di questa esperienza estetica si fa attraverso l’analisi linguistica del suo proprio campo. Vista sotto questa angolatura, ogni tipo di architettura implica una parte artistica. Questa logica, proveniente dall’analisi semiotica, non svela molto sul modo di praticare l’edilizia formale. Afferma invece la razionalità di tale procedimento. In Alvaro Siza, la sensibilità estetica si è evoluta durante tutto il suo percorso. Ci sono però due elementi facilmente identificabili: uno è storiografico, punteggiato da richiami ai lavori dei maestri del movimento moderno, come Adolf Loos e Alvar Aalto, già citati, ma anche Ernst May, Bruno Taut, Erich Mendelsohn o J. J. P. Oud, insieme a richiami al razionalismo italiano dei Figini, Pollini, Terragni. Siza stesso afferma che è difficile inventare in architettura, che quasi tutto è stato già detto, disegnato, e perfino costruito, e che si può solo reinterpretare l’esistente adattandolo alle condizioni particolari del luogo, della cultura o dell’ambiente sociale, integrandolo nella stratificazione che la storia mette a nostra disposizione. L’obiettivo confessato di Siza è la trasmutazione della realtà per adattarla a queste nuove circostanze. Siza vuole così iscriversi nel corso della storia. Se include citazioni o altri richiami storici, non cede mai all’adattamento di un genere, di uno stile o al recupero di una scrittura. L’altro aspetto che si può rilevare è il montaggio dei generi, un montaggio divenuto più sintetico con gli anni, più sistematico, che a prima vista può apparire meno libero, ma che, ad un secondo sguardo, si rivela in realtà meglio differenziato e più ricco di variazioni e di scoperte formali. Questi dettagli sono spesso paragonati ai punti di giuntura dei corpi di una costruzione, le aggiunte sono delle trovate personali, degli intrecci di spazi o scale poste agli angoli degli edifici con una rotazione di 30 o 45 gradi rispetto alla facciata. Siza lavora con il “quasi dritto” o il “ leggermente curvo” che conferiscono una forte tensione all’insieme dei corpi di fabbrica, delle piccole anomalie geometriche che possono a volte sembrare un po’ irritanti ma mirano sempre a dirigere lo sguardo verso un punto preciso che rivela, per esempio, un’apertura sul paesaggio. Attraverso aggregazioni irregolari, Siza “incastra“ gli spazi gli uni dentro gli altri, spesso a partire da un sistema di assi visuali che si intrecciano, dando accesso a pazi interni suddivisi. La sua arte di congiungere gli spazi rimane ineguagliata. Se vi si possono cogliere dei richiami ad un modernismo ridisegnato e variato, è in realtà un arricchimento dello stile moderno che tiene conto di gran parte dei movimenti del XX secolo. Siza protrae questa modernità portandola verso altri orizzonti rispetto a quelli già noti e praticati in quel momento. Tutti i suoi interventi sono altamente artistici e hanno grande forza plastica, ed è questo che porta Kenneth Frampton a dire che Siza possiede “l’arte di conservare l’equilibrio tra la vitalità figurativa e la regolarità normativa”19. Ci si può in definitiva chiedere se l’entrata di Siza alla Scuola delle Belle Arti di Porto e il sogno che lo animò durante tutto il suo percorso artistico – parallelamente alla sua passione per la realtà costruita e il suo impatto sulla pratica sociale che l’arte pura non può assicurare – sia radicato in lui abbastanza in profondità da portarlo a diventare un “plastico architetto” piuttosto che un “architetto plastico”. D’altronde Siza apprezza questo termine, anche se non lo confessa apertamente, nella segreta speranza di poter un giorno consacrarsi interamente alla scultura, una disciplina alla quale aspira da più di cinquant’anni. Come nel caso del cubismo cecoslovacco – che favorì la ricerca di un’espressione nazionale fino alla fondazione dello Stato e al suo consolidamento –, l’architettura divenne per Siza uno strumento di riconoscimento su un piano internazionale, che si esprimeva in particolare attraverso un funzionalismo adattato alle proprie esigenze. La ricerca di una terza via da parte della Scuola di Porto, come spiegato sopra, ha dato i suoi frutti fino a ottenere il riconoscimento da parte dei paesi esteri del ritorno dello Stato portoghese verso la democrazia, il che giustifica pienamente una ricerca di identità rispetto alle tradizioni locali. Raggiunto tale obiettivo, in conseguenza della mancanza di stimoli che seguì in materia di bisogni collettivi, nell’architettura come in altri campi, apparvero le firme individuali, sintomatiche di una professione ripiegata su se stessa che si esprime indipendentemente da ogni relazione tra l’evoluzione e il contesto sociale di una regione. A questo proposito occorre ricordare il lavoro considerevole che Siza realizzò con i suoi progetti per la S.A.A.L., che lo portò a distanziarsi dalla ricerca di integrazione degli elementi provenienti dalla tradizione vernacolare locale per favorire un certo razionalismo, indispensabile al risparmio di mezzi richiesto da questo programma di HLM, ma legato anche alla volontà di comporre un linguaggio che gli abitanti dei luoghi in questione potessero, allo stesso tempo, comprendere e apprezzare. Questa partecipazione degli abitanti al programma della S.A.A.L. – che comportava un duro e paziente apprendistato di ascolto, di comprensione e di riconoscimento delle problematiche del sotto-proletariato – portò Siza verso una doppia modifica del punto di vista, esistenziale da un lato, di natura architettonica dall’altro. Questa esperienza inedita, unita all’uso di un metodo di gestione dei progetti già confermato, costituì una svolta nel suo approccio all’architettura. In maniera un po’ anacronistica, Siza s’ispirò tuttavia alle case private costruite per la borghesia locale. Seppe trasformare questi incarichi in una sorta di laboratorio sperimentale, deducendone un certo numero di ipotesi chiave per affermare un metodo che, in seguito, diede i suoi frutti in progetti di edifici collettivi. Fu tale la speranza nata dalla rivoluzione del 1974 negli architetti militanti e politicamente impegnati, che si rivelarono i più capaci nel dialogo con il sotto-proletariato urbano. Siza fu tra di loro non solo il più disponibile, ma anche il più preparato ad integrare questa nuova realtà nel suo metodo di lavoro. Utilizzò per esempio gli spazi vuoti frammentati a San Victor de Porto per costruire tutta una serie di alloggi, seguendo parallelamente il processo di rialloggiamento progressivo degli abitanti. San Victor divenne così sinonimo del “saper costruire con i resti”20. Per ragioni economiche, Siza integrò nella sua architettura di San Victor tutte le vestigia disponibili sul posto, come per esempio i muri di sostegno o le fondamenta in parte demolite, legando i frammenti e le nuove costruzioni. L’incontro di queste due realtà contrapposte, che risponde alla necessità dell’alloggio sociale e a quella della stratificazione della storia urbana scritta sul terreno, genera un’estetica specifica: “laddove si incontrano, nasce la poesia”21. Il complesso di Bouça è un altro vero e proprio modello di un’eccellente architettura, realizzata seguendo le condizioni di un programma S.A.A.L. nell’ambito di un quartiere situato al centro stesso di Porto. Iniziato nel 1975 con lo statuto di HLM, questo cantiere fu terminato solo nel 2006, dopo una lunga interruzione. I diversi servizi furono integrati solo con la seconda fase del cantiere, in modo che l’insieme fosse l’esempio di cosa possono rappresentare gli alloggi HLM in un centro urbano. Il lavoro più rigoroso, contrattualmente parlando, realizzato fino a questo momento da Siza nel campo delle abitazioni collettive, resta comunque il quartiere residenziale di Malagueira a Évora. Si tratta di un vero e proprio piano urbanistico destinato a rialloggiare i rifugiati provenienti dalle ex colonie, che avevano vissuto fino a quel momento in baraccopoli clandestine, un programma che prevedeva 1200 alloggi con servizi annessi. Per Nuno Portas, allora sottosegretario per le abitazioni e l’urbanistica presso il governo a Lisbona, si trattava di lanciare una nuova esperienza abitativa a livello nazionale, operazione particolarmente difficile che doveva dimostrare le qualità e i vantaggi di una zona a bassa densità di popolazione che doveva ergersi al posto di edifici alti (alcuni dei quali già costruiti) che deturpavano l’aspetto della città e il paesaggio intorno. Tutta l’operazione fu fatta in accordo e con la partecipazione dell’associazione locale dei residenti, con mezzi estremamente limitati. In questo contesto, la partecipazione degli abitanti era vista come “il motore di trasformazione che influenzerà il metodo”22 di pianificazione del progetto. I finanziamenti limitati implicavano una sorta di partecipazione parziale alla costruzione da parte dei futuri abitanti. Purtroppo l’associazione fu presto trasformata in una cooperativa immobiliare; questo ebbe come conseguenza l’esclusione delle famiglie più povere dai nuovi programmi che privilegiavano le comunità già costituite; mentre lo scopo originale del progetto di Siza era l’integrazione delle popolazioni che vivevano già sul posto, queste cooperative ammettevano invece anche membri provenienti da altre regioni. L’attenzione di Siza a questo riguardo mostra quanto la sua concezione del lavoro architettonico implichi la disponibilità a prendere in considerazione i campi della pedagogia e del sociale, che egli considera fondamentali. Siza rifiuta d’altra parte ogni forma di demagogia collettiva che vorrebbe sostituire con “la mano del popolo” alla direzione dell’architetto; a questo risponde giustamente “che la collettività non può sostituire le competenze specifiche” dell’architetto (Siza)23. È questo che garantisce l’alta qualità della sua architettura partecipativa e che la differenzia da altri tentativi di questo genere che, bisogna sottolineare, sono raramente riusciti da un punto di vista puramente architettonico. Un altro aspetto di questa pianificazione a bassa densità prevista da Siza a Évora è il contrasto stridente tra le unità abitative (di modello unico) e la “seconda scala” (Siza), costituita da elementi di infrastruttura sopraelevati, che forniscono alle abitazioni le tubazioni e i cablaggi necessari; una dimensione che costituisce una sorta di nuovo acquedotto, grandi assi che marcano lo skyline del quartiere e sotto i quali è possibile integrare diversi servizi, o trasformarli in portici che definiscono così una nuova scala urbana. L’incontro tra le tubazioni principali e quelle secondarie permette l’integrazione dei supporti per sistemarvi spazi pubblici intermedi di tipi diversi. Studiando attentamente la vitalità del quartiere clandestino originale e i percorsi che lo attraversavano, notando la presenza di molteplici attività microcommerciali, di fontane pubbliche dove gli abitanti venivano a rifornirsi d’acqua, Siza seppe impregnarsi della topografia e dei comportamenti delle persone che vi abitavano, e questo lo ispirò sul modo di procedere per conservare le abitudini e gli usi del quartiere. In questo modo riuscì a proporre una pianificazione che lasciasse degli spazi disponibili per un prossimo futuro, senza fissarne preventivamente le funzioni. Grazie a tale pianificazione inusuale e decisamente libera da tutte le regole tecniche e accademiche, Siza ha contribuito a dimostrare, in vent’anni di assiduo lavoro, come è possibile aiutare gli abitanti ad uscire dalla clandestinità rendendoli cittadini completi, integrandoli nella collettività, disegnando per loro un ambiente nel quale possano sbocciare e vivere degnamente in un’architettura di qualità, malgrado mezzi economici estremamente limitati. Il lavoro esemplare realizzato a Évora, in queste condizioni particolarmente difficili, mette in evidenza, meglio ancora di altri progetti di Alvaro Siza, le sue qualità umane oltre alle sue competenze di architetto già universalmente riconosciute, e tutto ciò ne fa un modello di un’etica che ci piacerebbe incontrare più spesso nell’ambito di questa professione.