architect: Chichi Meroni, Giovanni Pacciani, Claudio Bignazzi

location: Milano

year: 2021

Un concept store in cui si intrecciano moda, design, libri, cibo e fragranze. L'Arabesque di Milano, ideato da Chichi Meroni nel 2010, cambia pelle attraverso un progetto innovativo, elegante e dirompente che definisce i nuovi perimetri del retail.
Era da tempo che sentivo l’esigenza di rinnovare l’arabesque - ha commentato la designer Chichi Meroni, proprietaria e creativa del brand -: sono affascinata dal Giappone, dal sofisticato minimalismo dell’architettura giapponese e dalla sua capacità di dare un valore spirituale al vuoto. Dopo aver visitato la grande cupola del Teshima Art Museum di Ryue Nishizawa, le isole di Inujima con l’opera-installazione di Haruka Kojin Contact Lens e l’isola di Naoshima con le opere di Yayoi Kusama ho pensato a uno spazio che non fosse un semplice contenitore espositivo ma che potesse avere un’interazione dinamica con il visitatore. Con gli architetti Giovanni Pacciani e Claudio Bignazzi abbiamo definito plasticamente gli spazi de l’arabesque, in un’alternanza di volumi avvolgenti, sinuosi, accoglienti”.

270 metri quadri su un unico livello completamente sventrati al piano terra di un palazzo con struttura in cemento armato (dichiarato poi nei due pilastri lasciati a vista), 140 metri quadri di parete forata: come bolle che galleggiano in cui il prodotto su piani di appoggio in plexiglass creano un nuovo immaginario. Le vetrate sotto il portico danno poi al progetto “un secondo piano” non su strada. Un arretramento annunciato dall’architettura del palazzo che protegge le sette lune dietro la griglia degli infissi diventati neri. L’idea fortemente creativa di Chichi Meroni, di uno spazio, di un’installazione, di un pensiero tridimensionale, trasferiti alla mente e al cuore degli architetti Giovanni Pacciani e Claudio Bignazzi, ha fatto sì che la forte intesa, la passione condivisa e l’instancabile voglia di non mollare mai, di non accontentarsi e di andare oltre, desse forma e compimento a questo progetto. Uomo, donna, accessori: uno spazio fluido che tutto accoglie e raccoglie.

Non sono necessarie divisioni e schemi di consuete riconoscibilità. Lo spazio accoglie: non è il genere a comandare la distribuzione. È il flusso, il percorso, il piacere di passeggiare forse sulla luna, forse in largo Augusto 10 a Milano. Una galleria in cui il prodotto abita in uno spazio futuribile, galleggia e naviga nel vuoto assoluto dando il meglio di sé: ricercato e sofisticato libra nell’aria. Essenziali le appenderie in tubo di ferro nero goffrato ispirate a Gio Ponti ma anche ai porta kimono. Un progetto che ha il coraggio di non adagiarsi sulle convenzioni. Illuminazione è un termine che spesso ricorre in questo progetto perché la luce che sprigiona ci consente di essere altrove, fuori, forse in orbita.

Un input forte, assoluto, astratto quanto preciso e onirico: due lune, dal libro di Murakami, Palais Bulles, villa in Costa Azzurra di Pierre Cardin, un vaso brutalista in ceramica di Pietro Melandri, le sculture geometriche di Walter De Maria, ispirazioni per le 18 lampade a sospensione che rievocano i pianeti, quasi a voler ricreare un lembo di volta celeste. L’idea di uno spazio futuristico dove non esistono angoli e dove linee ondulate giocano a rincorrersi. Un progetto articolato durato un anno, interrotto dalle soste obbligate, dalle difficoltà del momento ma forse per questo così visionario, così volutamente fuga verso lo spazio, verso l’altrove. Uno spazio, forse una galleria, forse una installazione.