area 112 | beauty of built

Ensamble Studio, Hemeroscopium house, Lasrozas-Madrid, Spain 2008 - photo by Roland Halbe

L’attività progettuale e successivamente la costruzione esprime una propria interna bellezza – tuttavia il termine più appropriato potrebbe essere felicità – che non deve essere confusa con l’inutile quanto fragile ricerca di valori estetici e formali codificati. Concepito al di fuori di una mera pratica tecnica, il progetto svela sempre un’attività intellettuale, una genesi conseguente ad un travaglio interiore da cui scaturiscono, a partire dalle medesime condizioni – il sito, il programma, un budget – esiti, quindi architetture, sempre diverse al variare dell’autore cioè dell’interprete dei dati di partenza. L’architettura, e quindi il progetto che la prefigura, coincide, come tutte le attività umanistiche, con la risoluzione di un’equazione che oltre ad avere infinite variabili consente infiniti risultati anche totalmente contrastanti eppure ugualmente corretti e legittimi, addirittura stupefacenti. Questa è l’interna bellezza dell’architettura, quella meraviglia che accomuna tutte le arti della composizione, del com-ponere, del mettere insieme elementi, che siano note, colori, lettere, mattoni, la cui combinazione genera un’idea trasmissibile indipendentemente dal fatto che questa sia percepibile come immagine, come suono o come testo. La celebre, consumata ma pur sempre attualissima indicazione proposta da Paul Valéry all’inizio del secolo scorso sull’architettura parlante  che comunica, sposta i termini della ricerca estetica dall’apparire all’essere. Una modificazione di valori che appare decisiva poiché impone di stabilire un dialogo tra le differenze dove lo scambio assume un significato etico ed in ultima analisi estetico, in grado di contrapporsi all’omologazione dilagante di una bellezza preconfezionata, globale, internazionale, indipendente dai contenuti, dai luoghi e dalle persone. Per questa via il progetto si libera dalle “mode” e dai “modi” tornando a quella “bellezza interna” che, archiviato l’arido assunto per cui la “forma segue la funzione”, può cogliere ed esprimere quell’esigenza attuale dove la “forma segue i contenuti”, le idee, le suggestioni, proposte e interpretate da un “io narrante” che il pubblico consciamente o incosciamente percepisce. Conseguentemente abitare non significa subire passivamente e acriticamente l’ipotesi di vivere all’interno di contenitori più o meno aggiornati formalmente e appropriati all’uso, quanto, piuttosto compiere un’esperienza che attiva ricordi e conoscenze, come leggere un libro, guardare un film, ascoltare musica. La bellezza del costruire, al pari della bellezza dello scrivere, del fare musica o compiere una qualsiasi esperienza artistica, si consolida ed estrinseca nell’opportunità di poter usare qualsiasi espressione umana per comunicare e scambiare conoscenze, condividere nozioni ed emozioni. Per approfondire e meditare su questa “interna bellezza del costruire”, oltre a presentare una selezione ragionata di opere che, a parere della redazione, esprimono con diversi accenti e modalità questa idea di “felicità” del progetto, Area ha chiesto una libera riflessione sul tema ad un progettista-costruttore come Massimo Majowiecki, docente all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, esperto di strutture e temi costruttivi, ad un critico, Spyros Papapetros, docente alla Princenton University, e ad un architetto, Christian de Portzamparc, intervistato sulla sua ultima importante opera: La Cidade da Musica di Rio de Janeiro. Il risultato di queste sintetiche “incursioni”, ovviamente frammentario e parziale, rivela inaspettate e paradossali visioni che spaziano dall’affermarsi dell’incoerenza strutturale e costruttiva, all’analisi del ruolo della facciata e del retro nell’architettura moderna, al rapporto tra involucro e spazio interno declinato dall’architetto francese nella sua gigantesca opera di Rio.