architect: Caá Porá Arquitectura, DHUA, Legget Arquitectura, María del Carmen Burbano

location: Quito, Ecuador

year: 2022

Il Jambatu Center for Amphibian Research and Museum è una delle istituzioni più importanti a livello mondiale per la ricerca e la conservazione degli anfibi, con una raccolta di circa 3.000 individui tra cui 29 specie di rane e rospi a rischio estinzione. La maggior parte di questi esemplari, infatti, vive solo in condizioni di cattività.
Oltre alle strategie di conservazione che includono la riproduzione ex-situ e in-situ, il biobanking e l'uso sostenibile delle risorse genetiche, la sfida che il Centro Jambatu sta affrontando è quella dell'educazione: è estremamente necessario un impegno massiccio per aumentare la conoscenza e rendere il pubblico consapevole della crisi degli anfibi e di ciò che è necessario fare per salvare molte specie dall'estinzione.

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©Jag Studio

La progettazione di nuovi spazi espositivi, laboratori, bioteche e altre strutture segna un capitolo importante nella vita del centro situato a Quito, in Ecuador. Rappresenta, da un lato, un passo fondamentale verso il miglioramento delle condizioni delle strutture di ricerca di Jambatu e, dall'altro, dimostra il desiderio di condividere il lavoro del centro con la popolazione locale, di avvicinare il pubblico alle scienze, di portare la scienza nella vita quotidiana.

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Il progetto è stato curato da un team composto da Caá Porá Arquitectura, DHUA, Legget Arquitectura, María del Carmen Burbano; l’architettura del paesaggio è stata affidata a Estefany Mena, mentre la parte di graphic design è opera di Belén Mena.
Il piano progettuale ha previsto un arretramento di cinque metri dal marciapiede, capace di creare una soglia pubblica tra la città e il centro, dove le persone possono sbirciare gli interni attraverso una facciata porosa. Si tratta di uno spazio privato di uso pubblico durante il giorno. I visitatori possono poi entrare lateralmente in una lunga sala espositiva che comprende un bioterio (strutture per l'allevamento dei grilli) e terrari per sette specie di anfibi. Si passa poi ai ranari e ai laboratori, dove si svolgono le attività scientifiche in corso. Una delle sfide principali del progetto è stata quella di trovare il modo di collegare gli spazi di ricerca a un percorso pubblico, senza ridurre la privacy e l'isolamento necessari per le procedure di laboratorio.

Nella parte settentrionale del sito, un edificio ristrutturato ospita il centro culturale, gli uffici e i laboratori di alto livello. Uno spazio lungo e buio si trova al piano sottostante, alla fine dell'anello di circolazione, e funge da tunnel immersivo, un terrario delle dimensioni di una stanza dove i visitatori possono sperimentare l'ambiente climatico della rana.
Infine, nella parte inferiore del sito, verso il fiume Pita, si trova un giardino botanico di marsupiali: è utilizzato come laboratorio aperto per saggi di reintroduzione di sei specie che vivevano a Quito fino a poco tempo fa e che sono scomparse dal paesaggio urbano a causa della perdita di habitat.

La costruzione del Centro Jambatu è stata concepita in modo graduale, tenendo conto delle esigenze e della fattibilità del progetto, che ha comportato la ricerca di finanziamenti da parte di organizzazioni come National Geographic e UNDP. Al contempo, la sua esecuzione è stata adattata alle attività dinamiche del centro, nonché alle esigenze di espansione e stoccaggio di anfibi e grilli.
La concezione della costruzione e della sua materialità si è concentrata sulla ricerca di materiali trasparenti che permettessero ai visitatori del centro di entrare in contatto più intimo con gli edifici, creando al contempo ecosistemi e microclimi ideali per gli anfibi. Lo scopo era quello di ottenere un'integrazione armoniosa degli edifici in un grande giardino, diventando così un tutt’uno con la natura circostante.

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Poiché il Centro Jambatu si trova in un'area ad alto rischio di possibili eruzioni del vulcano Cotopaxi, si è reso necessario un cambiamento radicale del progetto originale, optando per un'architettura molto leggera, ispirata agli stessi terrari temporanei che erano stati creati in precedenza e che si erano dimostrati molto efficaci dal punto di vista funzionale. Questa trasformazione architettonica ha comportato la realizzazione di edifici articolati meccanicamente e di materiali pannellati, rimovibili e leggeri, consentendo l'evacuazione del 50% del museo in 48 ore.
La casa, l'unico edificio preesistente, è destinata alla creazione di aree funzionali molto complesse, come laboratori altamente attrezzati, spazi per la quarantena, cure mediche specializzate per gli anfibi, sale di liofilizzazione, uffici e un centro fotografico dedicato alla cattura di immagini di questi affascinanti animali.

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Il progetto dell'Exhibition/Museum Bar si basa sull'idea di creare uno spazio visivamente permeabile dall'esterno all'interno. Per ottenere questo risultato, i blocchi di cemento sono stati invertiti in modo che i fori permettano una visione trasparente dell'esposizione di anfibi. L'ingresso graduale della luce durante il percorso è un elemento distintivo dello spazio; la struttura metallica è stata progettata come un insieme di telai che sostengono i blocchi di cemento mentre vengono sollevati. Su una delle facciate i blocchi sono aperti, mentre sull'altra sono chiusi, adattandosi così alle condizioni della mostra e alle esigenze dei visitatori.

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