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Nella schiuma della co-abitazione. L’appartamento come bolla autogena dell’esistenza co-isolata.

Se si studia la storia dell’architettura moderna considerando i suoi legami con le forme di vita della “società” mediatizzata, si comprende immediatamente che le due innovazioni architettoniche che hanno avuto maggior successo nel XX secolo, l’appartamento e lo stadio, sono direttamente legate alle due tendenze socio-psicologiche più diffuse dell’epoca: la liberazione di individui che vivono da soli grazie alle tecniche individualizzanti dell’abitazione e dei media, e il raggruppamento di masse caricate di un’eccitazione identica per mezzo di avvenimenti organizzati in grandi edifici fascinogeni. Per il momento non sottolineeremo il fatto che la sintesi affettiva e immaginaria delle masse nella “società” moderna si produce sulla base dei mass-media, cioè di una forma d’integrazione telecomunicativa dei non-assemblati, piuttosto che grazie all’assemblaggio fisico, dal momento che la sintesi operazionale si regola in base a delle relazioni di mercato. L’appartamento moderno […] materializza la tendenza alla costituzione di cellule, tendenza nella quale è possibile distinguere l’analogia architettonica e topologica con l’individualismo della “società” moderna. […] Studiando l’evoluzione della costruzione di appartamenti, si può comprendere come niente sia più carico di presupposti del tentativo, apparentemente naturale, di disporre almeno di una camera per persona o d’una unità abitativa a testa. […]
Definisco l’appartamento come la forma egosferica atomica o elementare – e dunque come la bolla cellulare del mondo la cui ripetizione massiccia dà vita alle schiume individualiste. Nessuna valutazione morale è associata a questa definizione; […] la sola novità in essa contenuta allude al fatto che l’egoista moderno, uomo o donna, è un abbonato al quotidiano Daily Me. In più, si resta in ritardo se si fanno intervenire dei concetti come quello di uno “spazio vitale minimo” – poiché ogni volta ch’esso fa la sua comparsa, o quasi, il discorso sul minimo finisce per essere una descrizione erronea del concetto di cellula abitativa o di atomo del mondo della vita, intorno alla definizione del quale si rivolge la passione della riflessione moderna sull’habitat. Per approssimarsi al fenomeno dell’appartamento, occorre rendere esplicito il suo legame stretto col principio della serie, senza il quale la transizione della costruzione (e della produzione) nell’era della fabbricazione e pre-fabbricazione di massa è impensabile. Allo stesso modo in cui, secondo El Lissitsky, il costruttivismo è il punto di passaggio tra la pittura e l’architettura, il serialismo è il punto di passaggio tra l’elementarismo e l’utopia sociale. Nel serialismo, il quale regola la relazione tra la parte e il tutto per mezzo di una standardizzazione esatta, rendendo così possibile una fabbricazione decentralizzata e un montaggio centrale, risiede la chiave del rapporto, caratteristico della modernità, tra la cellula e l’unione di cellule.
Allo stesso modo in cui l’elaborazione della cellula tiene conto dello spirito analitico favorendo il ritorno al livello dell’elemento, la costruzione di case sulla base di elementi di questo tipo rappresenta una scienza combinatoria o, meglio, una forma di “costruzione organica” il cui obbiettivo è quello di produrre insiemi di moduli che abbiano una coesione architettonica, urbanistica ed economica. Il fatto che l’accatastamento di numerose unità cellulari in un complesso architettonico miri, nello stesso tempo, a essere qualcosa di più di un’addizione aleatoria o meccanica di unità elementari, diventa chiaro non appena si osserva la grande diversità di forme di costruzione con le quali gli architetti della modernità hanno risposto alla provocazione della costruzione modulare. Dopo il progetto disegnato da Le Corbusier per una villa immersa nella luce, nel 1922, e i suoi progetti di grattacieli a forma di croce (1925), di stella (1933) e di losanga (1938), un cammino segnato da numerose ramificazioni porta fino agli accatastamenti di cellule sculturali in strutture che assomigliano a giochi di costruzione che, ad esempio, la Nakagin Capsule Tower del giapponese Kisho Kurokawa, a Tokyo nel 1972, ha reso celebri. In questo caso l’agglomerazione verticale di unità di capsule si trasforma in un fenomeno estetico a tutto tondo. Altri architetti hanno impilato i moduli abitativi in strutture a forma di funghi o di alberi. Le due torri abitative di Marina City a Chicago (1964-1967), con i loro caratteristici balconi bombati, si elevano dal piano orizzontale con la forma di fiori. Per quanto le più grandi unità siano necessariamente costituite dall’addizione di unità elementari e si presentino forse come delle semplici pile, esse conservano sempre certe qualità macrosculturali – la sintassi dell’immobile residenziale impedisce in ogni caso il semplice accatastamento delle unità, poiché senza le relazioni assicurate dai corridoi, dalle scale, dagli ascensori e dai sistemi di canalizzazione, questi non sarebbero né funzionali, né accessibili.
In quanto cellula abitativa, l’appartamento rappresenta il livello atomico nel campo dei rapporti di habitat: allo stesso modo in cui la cellula vivente incarna nell’organismo nello stesso tempo sia l’atomo biologico che il principio generativo,  […] la costruzione moderna di appartamenti elabora l’atomo abitativo: il monolocale, con il suo abitante solitario, come cellula centrale della sua bolla mondana privata. Il ritorno all’unità cellulare riporta lo stesso spazio vivibile alla sua forma elementare. […]
Il riavvicinamento moderno tra l’idea architettonica della cellula e la nozione della stessa in microbiologia non avviene del resto senza una certa legittimità storica: allorché il fisico britannico Robert Hooke, nel suo lavoro Mikrografia del 1665, ha introdotto il concetto biologico di cellula per descrivere la giustapposizione densa di spazi vuoti delimitati da un pezzo di sughero, così come li aveva scoperti al microscopio, egli era stato guidato dall’analogia con la serie di cellule monacali in un monastero.
Con l’avanzata dell’architettura moderna in direzione dell’idea di unità abitativa ridotta all’ideal-tipo, il concetto di cellula, dopo il suo esilio produttivo nella microbiologia, ritorna al suo punto di partenza – caricato di un valore aggiunto in termini di precisione analitica e mobilità costruttiva. La cellula abitativa emancipata costituisce un concetto in cui sono definite quelle condizioni minime di autonomia architettonica e sanitaria che devono essere soddisfatte affinché la capacità di vivere da soli possa passare per un fatto provato. […] La bolla individuale nella schiuma abitativa costituisce un contenitore per le relazioni con se stesso dell’abitante che, nella sua unità abitativa, si installa come il consumatore di un comfort primario: la capsula vitale dell’appartamento serve da teatro per il suo accoppiamento con se stesso, da spazio operativo per i suoi grattacapi autoprodotti e da sistema immunitario in un campo gravato da contagi. […]
Il carattere afrogeno dell’appartamento deriva (sul piano dell’architettura applicata) dal fatto che il “monolocale” si trova in generale in immobili che, in conformità ad un piano generale, sono disposti come degli aggregati di unità abitabili normalizzate. Il condominio (o l’unité d’habitation) costituisce un cristallo topografico sociale o un corpo schiumoso rigido nel quale una quantità di unità sono impilate le une sulle altre e le une a fianco delle altre – queste forme condividono con le schiume instabili il principio del co-isolamento, vale a dire della separazione dello spazio per mezzo di muri comuni. […] Nella schiuma sociale, l’effetto-isola che rivendica per sé ciascuna cellula individuale è contornato dalla densità dell’accatastamento delle cellule. Ne risultano comunicazioni non sempre desiderabili.
Fondandosi su questa scoperta, la recente architettura dei condomini ha compreso che la propria missione era quella di mantenere al livello più basso possibile lo stress da coesistenza delle unità in connected isolation. Nella misura in cui questa missione non è soddisfatta, i condomini si rivelano spesso come delle incubatrici per patologie sociali, delle quali Le Corbusier ha già fornito la formula ex negativo notando che l’essenziale in un edificio era l’“aerazione psichica”. Un’unità abitativa riuscita dal punto di vista architettonico non rappresenta solamente un pezzo d’aria circondato da fabbricati, piuttosto un sistema di immunità psicosociale in grado di regolare secondo le proprie necessità il suo grado di tenuta rispetto all’esterno. […] In quanto forma egosferica elementare, l’appartamento è il luogo in cui la simbiosi dei membri della famiglia, i quali costituiscono da tempo immemorabile le comunità abitative primarie, è abolita in favore della simbiosi dell’individuo che vive da solo con se stesso e il suo ambiente. Non c’è alcun dubbio che con la transizione verso l’habitat monadico contemporaneo si compia una profonda cesura nei tipi e nei modi della coesistenza delle persone con i loro simili e il resto. […] Così come nella cellula monacale l’individualismo ascetico extramondano s’è materializzato, la cultura contemporanea dell’appartamento, con i suoi apparecchi egotecnici, sostiene l’individualismo edonista intramondano. Ciò presuppone l’inesauribile auto-osservazione dell’individuo nel suo metabolismo e nei suoi mutamenti di situazione, in tutte le sue varianti. L’individualismo è un culto della digestione che celebra il transito di alimenti, esperienze e informazioni attraverso il soggetto. Dal momento in cui l’immanenza è tutto, l’appartamento si trasforma in toilette [spazio di cura del sé] integrale; da tutti i punti di vista ciò che qui si svolge si trova sotto il segno del consumo finale. Mangiare/digerire; leggere/scrivere; guardare la televisione/avere un’opinione; riposarsi/impegnarsi; eccitarsi/diseccitarsi.
Proprio in quanto micro-teatro dell’autosimbiosi, l’appartamento circonda l’esistenza degli individui che si candidano per le esperienze vissute e i fatti significativi.

The text featured here is an extract from “Sphären III - Schäume“, Suhrkamp, 2004

Peter Sloterdijk (Karlsruhe, 1947) è filosofo, saggista e professore di filosofia ed estetica alla Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe, di cui è rettore dal 2001. Attualmente è anche conduttore dello show tedesco: Im Glashaus: Das Philosophische Quartett.