Chiacchierata con Ilaria Legato, food designer.

Cosa si intende per Identità, applicata alla ristorazione, e perché è così importante?
Uno storico studioso del Brand, Jacques Séguéla, diceva che le marche, come le “Stelle del Cinema”, hanno essenzialmente bisogno di tre cose per emergere nel loro mercato di riferimento: un “fisico” per convincere, uno “stile” per sedurre e un “carattere” per durare. Per rendere straordinaria una persona ordinaria, dunque, secondo Séguéla, basta rendere straordinarie queste tre componenti della sua personalità: fisico, stile e carattere. Confesso che spesso ho pensato che questo approccio, seppure datato e superato da altri più contemporanei, possa essere ancora valido e si applichi ancora molto bene al mondo della ristorazione. Proviamo a immaginare che il Fisico sia il prodotto/servizio che abbiamo deciso di proporre sul mercato attraverso il nostro ristorante, che lo Stile sia la parte dell’immagine e il Carattere infine sia il nostro valore, la nostra promessa al mercato: il fatto che questi tre elementi siano convincenti, seduttivi e che possano durare nel tempo, li rende non trascurabili e strategici per il business del nostro locale. Perché è molto importante avere un prodotto definito e che ci rappresenti attraverso un logo ben progettato, “denso di senso” e un’immagine coordinata che sia coerente con quello che offriamo e si declini in tutte le interfacce del nostro locale (marchio, immagine coordinata, design degli interni, insegna) contribuendo a comunicare il nostro credo, i nostri valori, la “promessa” con la quale ci presentiamo al mercato? La risposta è: per essere ricordati! Proprio così: la memorabilità è uno dei fattori principali di successo ma avere un bel logo e una bella immagine visiva non basta, quando si parla di identità occorre spingersi oltre gli aspetti visibili andando a curare anche quelli “invisibili” e il tutto deve essere in perfetta armonia.
Cosa si intende per aspetti invisibili dell’identità?
Ad esempio, tutte le manifestazioni che permettono al nostro cliente di capire i nostri valori il nostro personale “racconto” nel piatto. Come progettista di brand e comunicazione nell’ambito dell’ospitalità con un particolare focus sulla ristorazione, la soluzione su come fare a creare “esperienze uniche, personalizzate e indimenticabili per comunicare l’identità“, la trovo nella parola “Design” che significa: “Dare forma a una esigenza”. Nelle parole “dare forma” c’è un potenziale creativo molto forte ma solo se si conosce l’effettiva esigenza di chi è in cerca di “Esperienza”. Per definire l’esigenza, intorno alla quale andremo a progettare, occorre conoscere i protagonisti dell’esperienza: i clienti, gli operatori, lo spazio e il prodotto. Fare esperienza significa: “Conoscere attraverso il contatto con una determinata realtà”: ad esempio il “qui e ora” del servizio è lo strumento attraverso il quale si può stimolare nel cliente una “cognizione più ampia e approfondita”. La “Conoscenza”, stimola l’incontro e la relazione: quella tra cliente, operatore, spazio fisico e prodotto, ma in primis quello con l’ospite, nel quale si nasconde il potenziale di successo dell’esperienza. Fin dal tempo degli antichi Greci, l’ospite, seppur sconosciuto, era sacro a Zeus. E così nei nostri tempi, un ospite, seppur sconosciuto, dovrebbe comunque sentire la sacralità della Gentilezza di chi lo riceve. Infatti, la differenza tra il vendere un servizio e l‘atto invece più puro di ospitare e regalare un’esperienza unica sta proprio nel mantenere vivo un impegno teso a rendere onestamente gioioso il tempo che un visitatore passa nel luogo in cui è ricevuto. Ciò che di eticamente meritevole sopravvive nell’universo dell’ospitalità resta in quell’atteggiamento di generosità, empatia e amabilità che trasforma un ospite in un alter ego a cui si offrono sensazioni genuinamente piacevoli e le attenzioni che spettano a chi è “di casa”.
Se si vogliono creare esperienze autentiche, l’industria dell’ospitalità, più di ogni altra, deve considerare l’unicità e la particolarità di ogni cliente,” e il suo desiderio di “essere amato così come è”; senza mai scordare da dove deriva il nome che contraddistingue il nostro lavoro. È la linguistica che ci induce a comprendere il senso più profondo del nostro settore, in quanto la stessa parola “ospite”, a seconda delle accezioni può significare, sia chi è ricevuto sia chi riceve, e ciò conferma il segreto più prezioso dell’atto in questione: far coincidere lo “straniero” con il padrone di casa. L’accoglienza nell’intimità, personale e segreta del cibo, la condivisione della gioia del ristoro, di un momento unico e irripetibile, la sensazione di far parte di una storia e anzi di contribuire a crearla, sono queste le finalità portanti, nella creazione di un’esperienza e le missioni prime di ogni buona ospitalità. Per poterlo servire bene nell’esperienza, un cliente va compreso e poi anticipato e poi ancora sorpreso.

©Lido Vannucci

Quali sono gli strumenti che un ristoratore ha per mettere in pratica questa filosofia di accoglienza?
Come progettista food designer c’è un aspetto della progettazione chiamato Food Experience Design (la progettazione dell’esperienza) che oltre ad avere un obiettivo legato al service design, pone l’attenzione all’esperienza di senso che il cliente deve avere entrando in sala e sedendosi al tavolo. Il ruolo chiave in questo ambito viene ricoperto dal maitre de salle che insieme allo chef di cucina ha il compito di “dare forma all’esperienza del piatto” attraverso il racconto certo ma soprattutto attraverso la capacità di entrare in relazione e in empatia con il cliente, rappresentando quella che è la forma più alta del convivio: la capacità di condividere significati.
Dopo questo arresto forzato molte cose cambieranno, è probabile che i ristoranti dovranno riadattare le proprie sale distanziando i clienti gli uni dagli altri ma sono certa che una cosa non cambierà: il desiderio di vivere un’esperienza speciale come quando da bambini ci si metteva in ascolto di una favola. È per questo che sono certa che sarà sempre più importante il ruolo del “racconta storie” di una “voce recitante” insieme allo chef che possa narrare la forza comunicativa delle nostre creazioni.
Ci faccia un esempio.
Recentemente mi sto occupando del Design della comunicazione del ristorante La Leggenda dei Frati, Stella Michelin a Firenze, dove insieme alla squadra di sala troviamo momenti di incontro settimanali (in questo periodo anche via skype) che ci danno l’occasione di costruire le motivazioni del lavoro di servizio costruendo insieme una ”poetica” (intesa come l’insieme dei contenuti espressivi di ciascun “cameriere/artista”)  che metteremo in scena al momento dell’accoglienza. Non qualcosa di preconfezionato ma un racconto che parte dalle motivazioni autentiche del lavoro di ciascuno, declinate alla capacità dei singoli nel rappresentare e personificare il carattere del ristorante. Tutto questo si esprimerà infine in piccoli gesti, dettagli, espressioni di servizio che diventeranno memorabili. Il segreto su come creare un’esperienza memorabile, la “miniera dell’esperienze perfette, è esattamente, la dove si è, nel proprio ristorante: “basta scavare”. Approfondendo ad esempio le potenzialità della propria squadra di lavoro, in termini di empatia e amabilità, renderli partecipi nella costruzione del servizio e della sua narrazione ma soprattutto misurare ogni giorno, il “coefficiente di felicità interna” perché prima ancora che il cliente arrivi al ristorante, sono i dipendenti, il nostro staff a dover vivere in primis, l’esperienza di armonia che vogliamo far vivere al nostro ospite. Solo così, è possibile creare quello “scambio di amorosi sensi” che permetterà al nostro ospite, di vivere l’esperienza ben tre volte: quando la sognerà, quando la vivrà e quando la ricorderà.

I Food Designer