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Grete Prytz è scomparsa il 25 settembre 2010, a 93 anni: in piena attività e sempre con la medesima energia. La incontrai per la prima volta nel 1994 e rimasi letteralmente esterrefatto dalla sua bellezza e dalla sua intelligenza: ero in compagnia di Christian Norberg-Schulz (1926-2000) che mi presentò una delle persone più straordinarie che io abbia mai incontrato in vita mia.
Da quella prima visita, tutte le volte che ero a Oslo ho cercato sempre di passare da Planetveien 12 (1952-55), la casa in cui Grete viveva dal 1955 l’anno in cui Arne Korsmo (1900-1968), che oltre ad essere suo marito era anche l’architetto che l’aveva disegnata, +si era trasferito ad insegnare a Trondheim. Grete aveva trascorso tutta la sua vita in quella casa, nel rispetto di quella utopia iniziale che ne era stata il programma: un luogo per vivere e lavorare.
Questo era stata Planetveien 12 fino al giorno in cui lei è venuta a mancare. E questo è anche il motivo per il quale nonostante mezzo secolo sia passato, la casa è rimasta identica a se stessa senza per questo diventar vecchia, grazie al suo continuo modificarsi per far fronte alle esigenze e alle necessità dei tempi che cambiavano, ma senza che se ne snaturasse neppure il carattere. In occasione delle mie visite, con fierezza mi raccontava, oltre ai nuovi progetti in cui era coinvolta, delle nuove trasformazioni operate alla casa: delle nuove poltrone che aveva introdotto nel soggiorno (opera di un famoso designer danese contemporaneo) così come di tutti gli altri oggetti che ne animavano la scena. Oppure amava ripetere che il garage, inutile a una anziana signora come lei, era diventato il luogo migliore per il suo laboratorio in cui smaltare argenti e metalli e in cui forgiare nuovi prototipi da proporre alla produzione o espressamente commissionatigli. Stoviglie per la casa (le prime pentole colorate in alluminio prodotte in Europa sono state le sue), ma anche complementi d’arredo in argento smaltato o vetro: Hadeland Glassverk e Cathrineholm tra le principali ditte per cui ha lavorato. Figlia di Jacob Tostrup Prytz, ultimo erede dell’omonima ultracentenaria industria norvegese di complementi e servizi per la tavola in argento, Grete diplomatasi all’Accademia di Arti Applicate di Oslo si era specializzata proprio nel trattamento dell’argento e, successivamente, del vetro.
La casa era piena di suoi pezzi così come di straordinari oggetti di altri grandi designer di tutti i tempi, oltre che di quadri: a partire dalle opere a muro di Gunnar Gudersen concepite proprio per la casa, agli Chagalle, ai Mirò, ai Munch e così via. La casa come raccolta-in-uso, come museo vivo. Diceva sempre che quando non ci sarebbe stata più, non voleva che la casa diventasse un museo (nonostante l’importanza e la bellezza della costruzione degli interni e delle collezioni in essa contenute). E il suo volere è stato rispettato. A pochi mesi dalla sua scomparsa, il 25 Ottobre 2010, un sito di annunci a base d’asta proponeva proprio la casa di Arne e Grete, come fosse una casa qualunque, tra le offerte del giorno. Chi se l’è aggiudicata dovrà rispettarne l’autorevolezza mostrando di esser capace di mantenere vivo un sogno nato 56 anni fa. Un sogno che Grete aveva saputo curare con garbo amore e intelligenza. Fino all’ultimo. Una volta, al rientro da un viaggio ad Oslo le scrissi una lunga lettera raccontandole molto di me e di quanto i nostri incontri mi avessero fatto crescere. Ne sorrise, e rimanemmo sempre con questo piccolo segreto in comune: per me è stata e resta una persona molto speciale.