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La questione del cambiamento climatico

La sfida dei 2° centigradi.
Come è noto, tutti i paesi condividono l’obiettivo di ridurre le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera per limitare, nel futuro, entro i 2° centigradi l‘aumento della temperatura globale; oltre tale livello si potrebbe arrivare a superare quella soglia critica le cui conseguenze sono universalmente riconosciute come catastrofiche per l’equilibrio dell’ecosistema globale.
La questione è talmente seria e all’attenzione del mondo che è stata l’oggetto e il soggetto degli appuntamenti del G20, dell'Assemblea Generale dell'ONU e della Conferenza sul clima di Durban, in Sud Africa, se vogliamo citare solo gli incontri internazionali più recenti (2011).
Secondo il IV° Rapporto IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) sul cambiamento climatico tra il 2030 e il 2050, sarà necessario ridurre le emissioni globali di anidride carbonica nell’atmosfera in una misura variabile crescente tra il 30-50%, al fine di stabilizzare le concentrazioni di CO2 a livelli di sicurezza entro la fine del secolo e conseguire così l’obiettivo ambizioso, quanto indispensabile, del contenimento del riscaldamento terrestre all’interno del limite imposto dei 2° centigradi.
Per mantenerci entro tale limite, le emissioni globali di gas serra dovrebbero raggiungere il loro massimo al più tardi nel 2020, con una riduzione di almeno il 50% rispetto al 1990 entro il 2050, dopodiché dovrebbero continuare a diminuire contenendo le concentrazioni di CO2 nell’atmosfera entro il livello massimo dei 450 ppmv (parts per million by volume).
A questo scopo, considerando le attuali proiezioni demografiche fino al 2050, la media globale di emissioni di gas serra pro capite annua dovrebbe ridursi a circa due tonnellate di CO2 equivalenti. Si rende altresì necessaria una convergenza delle emissioni pro capite nazionali tra paesi sviluppati ed emergenti, secondo una strategia ed una metodologia di comportamento che dovrà tenere in considerazione il principio della “responsabilità comune ma differenziata”.

Se compariamo, per facilità di comprensione, i dati attraverso un grafico a colonne (vedi immagine superiore) e confrontiamo il livello delle emissioni che l’attuale trend sembra produrre da qui ai prossimi decenni facendo riferimento al 2050 – Baseline 2050 –, con l’attesa di cambiamento che si rende necessaria, settore per settore, in relazione alla CO2 prodotta – Blue Map 2050 –, avremo l’immagine plastica del cambiamento. La colonna Blue Map 2050 rappresenta infatti lo scenario atteso, conseguente ad uno sviluppo sostenibile globale in accordo con il report dell’agenzia internazionale dell’energia sulle prospettive tecnologiche per favorire la crescita economica usando energia sostenibile, cioè derivata da fonti rinnovabili. Questa la sfida e l’obiettivo principale per i prossimi anni.
In effetti la crescita dell’economia, l’industrializzazione dei paesi emergenti e conseguentemente l’enorme e nuova richiesta di energia di alcuni contesti, costituisce la chiave, in relazione alle politiche di produzione messe in campo, per comprendere se sia possibile un futuro sostenibile dove l’aumento o, l’auspicata riduzione, delle emissioni globali non influenzi il clima creando un sistema pericoloso per il futuro del pianeta. È interessante notare (vedi il grafico lineare nella pagina successiva) che l’incremento delle emissioni di gas serra proviene, a livello globale, dalle economie emergenti, iniziando proprio dalla Cina. Se confrontiamo i dati relativi agli Stati Uniti d’America con il grande colosso asiatico, possiamo notare, come la Cina abbia superato nell’ultimo decennio i competitor d’oltreoceano rappresentando ad oggi il paese con le più alte emissioni a livello mondiale secondo un trend che nei paesi occidentali sembra diminuire mentre in Cina appare chiaramente seguire una dimensione esponenziale.

Le emissioni crescono.
Secondo lo scenario base IEA ETP (International Energy Agency – Energy Technology Perspectives), la domanda complessiva di energia primaria continuerà a salire fino al 2050, raggiungendo i 23.268 milioni di TOE (Tons of Oil Equivalent) con un aumento correlato delle emissioni pari a circa il 130% rispetto ad oggi.

Per effetto della crescita economica, rallentata ma non interrotta dalla recente crisi economico-finanziaria, Cina e India produrranno il 51% della domanda incrementale di energia primaria a livello mondiale se consideriamo il periodo 2006-2030, mentre i paesi non OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) saranno responsabili ancora per l’87% dell’aumento del fabbisogno energetico anche se la loro quota di domanda globale di energia primaria passerà dal 51% al 62%.

Emissioni pro capite: un indice del divario energetico e sociale.
Le emissioni pro capite nelle economie emergenti e in via di sviluppo sono molto più contenute rispetto a quelle del mondo sviluppato. Nel 2010, il dato degli Stati Uniti ha superato di tre volte quello della Cina e di 15 volte l’India.
Le emissioni pro capite sono un indicatore sensibile del divario energetico e sociale esistente tra paesi, volendo considerare anche i 2 miliardi di persone nella parte del mondo in via di sviluppo che non hanno accesso all‘energia.
Il fabbisogno energetico aumenterà pertanto in misura maggiore proprio nei paesi in via di sviluppo in modo da consentirne un progresso delle condizioni di vita che tuttavia dovrebbe essere ricercato e raggiunto in forma sostenibile al fine di scongiurare gli effetti sopra ricordati relativi ai cambiamenti climatici.

Tre interrogativi e tre questioni cruciali:
- Come far fronte alla crescente domanda energetica delle economie emergenti a partire da Cina, India, Brasile?
- Come far fronte alla domanda di energia senza creare un incremento incontrollato delle emissioni?
- Come fornire il fabbisogno energetico alla Cina ed ai paesi emergenti e contenere o almeno controllare le emissioni di gas serra?

Rispetto a questi interrogativi sappiamo con certezza che esiste una sola risposta e quindi una sola via di uscita sostenibile, lavorare incessantemente nella direzione delle tecnologie a basse emissioni di carbonio. Dobbiamo cioè concentrare, a livello globale, tutti gli investimenti e gli sforzi in termini di ricerca e di interventi, per sviluppare tecnologie a basso contenuto di emissioni nella consapevolezza che la risposta non è semplice ed univoca, ma variegata e complessa; si tratta cioè di attuare tutte quelle strategie il cui spostamento infinitesimo e particolare, rispetto alle condizioni generali, possa produrre una integrale e diversa sommatoria rispetto ai dati globali.

La sfida tecnologica.
Lo “scenario BLUE MAP” e il problema della convergenza tra valori di “emissioni pro capite” impongono un intervento immediato a livello globale che può essere affrontato avendo la consapevolezza dell’importanza della risoluzione di alcuni fondamentali elementi strategici che possiamo riassumere nei seguenti punti programmatici:
– la “condivisione del fardello” relativo al raggiungimento del picco previsto per il 2020 tenendo conto del divario esistente e previsto in termini di intensità di carbonio e valori pro capite tra i diversi paesi e le diverse economie;
– la “rivoluzione” delle tecnologie energetiche secondo criteri concordati e obbligatori
sotto forma di standard internazionali (per quanto riguarda efficienza energetica,
biocarburanti sostenibili, prestazioni rinnovabili…) norme internazionali per convertire il
sistema energetico all’uso di tecnologie “a zero emissioni” (ad esempio dismettendo progressivamente le infrastrutture esistenti alimentate a carburante fossile non equipaggiate con tecnologie per la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica); – norme nazionali e internazionali di impatto commerciale e fiscale per promuovere gli investimenti in tecnologie a basse emissioni nonché per evitare la concorrenza sleale e la rilocalizzazione delle emissioni di CO2; creazione e gestione di
meccanismi finanziari internazionali per promuovere la sicurezza energetica nei paesi in via di sviluppo.
Si tratta come è facilmente comprensibile, di una sfida nuova, complessa e senza precedenti.
Nessun accordo internazionale del passato è riuscito ad affrontare simultaneamente
tutti gli aspetti necessari per gestire il cambiamento climatico, l'intensità delle emissioni di gas serra prodotte dalle diverse economie oltre alla sicurezza energetica. A riprova delle difficoltà con cui la questione si scontra, basti pensare che le strategie per la riduzione della “carboon foot print” (CFP) convivono tutt’ora, secondo tendenze che non accennano a diminuire, con un flusso continuo di investimenti nelle infrastrutture alimentate a petrolio e gas. Come è possibile progettare e attuare una exit strategy dai carburanti fossili quando decine di miliardi di dollari vengono spesi ogni anno per costruire nuove infrastrutture basate su petrolio, sabbie petrolifere, gas naturale e gas di scisto? Come si conciliano le prospettive di funzionamento a lungo termine di queste infrastrutture con il picco delle emissioni previsto per il 2020?
Una piattaforma Europa-Cina per la riduzione delle emissioni. Una strategia comune Europea in vista degli obiettivi fissati al 2050 è stata definita nel Summit di Durban (dicembre 2011) al fine di verificare la possibilità di adottare misure e regole necessarie per promuovere la “de-carbonizzazione” dell’economia in modo da sostenere contemporaneamente l’obiettivo della crescita e dello sviluppo economico ed allo stesso tempo perseguire la finalità della riduzione delle emissioni.
In questa ottica, l’Europa potrebbe condividere il percorso progettuale e la verifica
delle linee strategiche e metodologiche con la Cina nell'intento di costruire una “piattaforma globale” per l’innovazione e la diffusione di tecnologie ad emissioni ridotte, tenendo conto che proprio l’Europa e la Cina sono i paesi che stanno effettuando gli investimenti maggiori in termini di impiego e incentivazione di tecnologie ad emissioni ridotte di carbonio. Nel 2011, a livello mondiale, è stato raggiunto un nuovo record per gli investimenti globali nelle energie “pulite”, cioè prodotte da combustibili non fossili, per un totale di 260 miliardi di dollari, in aumento del 5% rispetto al 2010 e cinque volte superiore agli investimenti effettuati nel 2004 che erano pari a 53,6 miliardi di dollari.

Tutto ciò induce a guardare con ottimismo al futuro in particolare perché il dato del 2011 è stato registrato in un anno di gravi difficoltà per l'economia mondiale nel suo complesso considerando inoltre il fatto che anche il settore delle “energie pulite” è stato colpito in modo particolare dalla crisi, con notevoli pressioni sui margini di profitto
dei produttori, a cui ha fatto seguito una drastica flessione delle quotazioni azionarie di alcune grandi aziende colpite anche dai tagli alle sovvenzioni dei governi europei e la contrazione del credito da parte dei principali istituti bancari.

Ripartizione per tipologia di investimenti nel 2011 in energie prodotte da fonti rinnovabili.
La tipologia di investimento che ha registrato il volume maggiore di finanziamenti finalizzati a sostenere progetti nel campo delle “energie pulite” riguarda principalmente gli interventi realizzati per finalità di pubblico servizio; tale settore ha infatti registrato un incremento notevole raggiungendo la cifra di 145,6 miliardi di dollari investiti nel 2011, realizzando un incremento di circa il 5,07% rispetto ai 138,3 miliardi di dollari complessivamente registrati nel 2010.
La seconda categoria in ordine di importanza in termini economici riguarda i finanziamenti per l’installazione diffusa di tecnologie basate su energie rinnovabili, in particolare i pannelli fotovoltaici installati principalmente sulle coperture, con un incremento in valore assoluto tale da spostare la somma totale investita dai 60,4 miliardi di dollari del 2010 ai 73,8 miliardi nel 2011.
Terzo in questa speciale classifica di merito economico si colloca il settore delle tecnologie legate al risparmio energetico, tra cui smart grid, stoccaggio energetico, ottimizzazione e trasporti avanzati; settori che hanno registrato significativi risultati valutabili in oltre 19,2 miliardi di dollari per il 2011.

La performance in termini di investimento delle tecnologie che impiegano l’energia solare.
Gli investimenti complessivi nell’installazione di tecnologie che impiegano l’energia solare per la produzione diretta di energia e di acqua riscaldata hanno raggiunto nel 2011 il valore di 136,6 miliardi di dollari cioè quasi il doppio delle risorse impiegate nell'energia eolica che si fermano a quota 74,9 miliardi di dollari con una flessione del 17% rispetto all’anno precedente.
La performance del comparto solare deve esser enfatizzata poiché se consideriamo che il
prezzo del fotovoltaico è sceso di quasi il 50% nel 2011 e si attesta oggi ad un livello che
è del 75% inferiore a soli tre anni fa, significa che a parità di investimenti le quantità installate sono rilevantissime ed in costante aumento sia in termini di metri quadrati che, conseguentemente, di energia prodotta. Il volume di installazioni fotovoltaiche è
aumentato con una percentuale di gran lunga maggiore rispetto ad altre fonti energetiche proprio perché la competitività di questa tecnologia sta raggiungendo, ed in alcuni casi superando, le performances prima raggiungibili solo attraverso altre metodologie produttive.

La minaccia del cambiamento climatico e la necessità di un adeguamento complessivo dei sistemi di prevenzione.
Nell‘ultimo decennio molte regioni e paesi sono stati colpiti da eventi estremi, da catastrofi naturali segnate da elevati costi economici con la perdita di migliaia di vite umane: le alluvioni in Pakistan, Cina occidentale, India ed Europa, le eccezionali ondate di caldo registrate negli Stati Uniti orientali, parti dell’Africa e dell’Asia e in Russia con siccità e incendi senza precedenti. A livello locale, l’accadimento di eventi estremi a breve distanza di tempo, soprattutto in aree vicine tra loro, può amplificare i reciproci effetti tanto da provocare conseguenze a cascata che potrebbero trasformarsi in una catastrofe di portata globale.
Simili manifestazioni meteorologiche e climatiche estreme potrebbero essere il risultato di effetti a catena generati da una minima perturbazione, capace però di alterare lo stato del sistema da un punto di vista qualitativo.
Il termine “punto critico” viene comunemente usato per indicare una soglia di rottura oltre
la quale può verificarsi la perturbazione minima, quest’ultima potrebbe, e molti ritengono che lo sia, causata anche da una dissennata e incontrollata attività umana.

I punti critici potrebbero anche non essere troppo lontani. In effetti i ghiacci del Mare Artico si stanno sciogliendo ad un ritmo impressionante, molto maggiore del previsto; se dovessero scomparire, come sta avvenendo costantemente ed inesorabilmente da alcuni decenni, senza riformarsi, il clima dell’emisfero settentrionale cambierebbe drasticamente. La crosta ghiacciata sembra infatti disfarsi in tempi rapidi (con un innalzamento del livello del mare che potrebbe raggiungere anche 1-2 metri per secolo) in presenza di ΔTmedia ≥ 1,5 ºC.
La tundra e il permafrost si stanno riscaldando e disgelandosi e tali cambiamenti potrebbero provocare il rilascio di CO2 e gas metano in modo da imprimere un’accelerazione al processo di sconvolgimento climatico generale.
L’acidificazione degli oceani per dissoluzione di parte della CO2 atmosferica in eccesso infliggerebbe danni ai coralli e ad altre creature marine che sviluppano gusci o scheletri di CaCO3.
La siccità e le alluvioni dimostrano chiaramente come gli eventi estremi possano generare effetti molteplici: carenza di cibo e acqua, perdita di aree coltivate, devastazione delle fasce costiere urbanizzate, migrazione delle popolazioni, conflitti regionali, fragilità politica in alcune delle regioni del mondo. Il cambiamento climatico previsto aggraverà seriamente gli standard di vita già minimi in molti paesi asiatici, africani e del Medio Oriente, causando una diffusa instabilità politica e sociale.
Secondo il Segretariato dell’ONU (2009), la minaccia pluriforme posta dal cambiamento climatico dovrebbe essere affrontata predisponendo contestuali misure di adeguamento (politiche di prevenzione) e assistenza internazionale in caso di eventi estremi.
Fino ad oggi, purtroppo, non è stato fatto niente che vada in questa direzione anche se deve essere riconosciuto che tali obiettivi possono essere perseguiti solo attraverso un coinvolgimento diretto e coordinato della comunità internazionale.

Prospettive ambientali dell’OCSE all’orizzonte
del 2050.
Agire subito è una decisione razionale sotto il profilo ambientale quanto economico.
Se i paesi attuano un’azione immediata vi è ancora una possibilità che le emissioni globali
di gas serra raggiungano il loro massimo prima del 2020 e che l’aumento della temperatura
media mondiale non superi i 2 °C.
Tuttavia appare opportuno chiedersi anche quali conseguenze potrebbe comportare la decisione immediata di limitare le concentrazioni di gas serra a 450 ppm (parti per milione) stabilendo un prezzo, e quindi un costo, per le emissioni inquinanti al fine di raggiungere l’obiettivo prefissato di non superare la soglia del riscaldamento globale. Possiamo indicare tale prospettiva come “Scenario 450”, una iniziativa che certamente comporterebbe un rallentamento dell’economia pari allo 0,2% annuo in media, con un costo approssimativo quantificabile nel 5,5% del PIL globale al 2050. Tale costo tuttavia diventa insignificante se comparato a quello potenzialmente prodotto dalla mancanza di interventi che potrebbero realizzare anche il raggiungimento di cifre e percentuali stimabili nel 14% della media mondiale dei consumi pro capite.
Il costo dell’intervento a favore del clima potrebbe inoltre essere sovrastimato poiché non tiene conto dei vantaggi che la mitigazione climatica produrrebbe non solo in termini di benefici ambientali quanto, piuttosto, direttamente economici.
Ma se non vengono attuate decisioni più ambiziose in tempi rapidi, la finestra di opportunità si chiuderà. Le decisioni che vengono prese oggi a livello di investimenti globali decreteranno quali infrastrutture saranno utilizzate negli anni e nei decenni a venire mentre le conseguenze ambientali degli investimenti odierni ad alto tenore di emissioni avranno ripercussioni durature, come detto, sul clima, sull’ambiente, sulle condizioni economiche e sociali delle prossime generazioni.

Conclusioni.
Il costo per far fronte agli effetti dei cambiamenti climatici prodotto dalle attività umane e dal consumo di energia realizzato con combustibili fossili è molto più alto del costo dell’investimento per ridurre le emissioni che le tradizionali fonti energetiche producono. Tuttavia è certo che stiamo vivendo una difficile crisi a livello globale, soprattutto nei paesi Europei e in USA, pertanto dovremmo stabilire se vogliamo uscire dalla crisi consolidando le tecnologie passate o se, viceversa, vogliamo investire in un domani migliore rischiando in termini economici.
Scegliere la prima strada significherebbe essere sicuramente dei perdenti in quanto non siamo in grado di sopportare una crescita economica basata sulle tecnologie tradizionali poiché queste non sono, e non possono essere nel lungo periodo, competitive. Abbiamo pertanto una sola opportunità: investire nel futuro attraverso la Green Economy.

 

Corrado Clini Minister of the Ministry for the Environment, Land and Sea of Italy.
1975-1989 – Director of the Department of Environmental Protection and Public Health, Venice-Porto Marghera Since 1990 he is Director General of the Ministry for the Environment Head of the national programmes on industry and environment, energy and environment, transport and environment, research and development of new technologies for energy saving and natural resources conservation.
Head of the international cooperation programs (240 projects in 45 countries) for the protection of the environment, the dissemination of renewable energies, clean technologies, and the sustainable development. Chairman of the national committee for the sustainable development Chairman of the inter-ministerial task force of the Italian Government for the implementation of the Kyoto Protocol.
Head of the technical Italian delegations to the United Nations Conventions and Protocols on the Protection of the Global Environment, and U.N. Intergovernmental Panel on Climate Change; 1992 World Summit on Environment and Development of Rio de Janeiro; 1997 Kyoto COP 3 of Climate Convention; G8 Environment Leaders Summits; 2002 Johannesburg World Summit on Sustainable Development; EU Environment Council and Committees.