area 106 | simplicity

In architettura ma più in generale nelle arti del progetto, dal design alla fotografia, dal cinema alla letteratura, il termine semplicità rimanda generalmente ad un’accezione positiva raggiungendo un valore ed una carica di misticismo che rimanda all’autentico, al vero (Mario Botta), alla coerenza di un processo cognitivo nel quale il termine stesso si riflette come capacità di un individuo di comporre più elementi per ricondurli alla sintesi, all’unità (Alberto Campo Baeza). In effetti in ogni attività creativa, contrariamente agli elementi naturali, l’idea di semplicità costituisce non la base di partenza, ma il fine ultimo di ogni agire, non il contrario della complessità piuttosto la sua risoluzione, il suo superamento.  Letteralmente se l’aggettivo semplice  significa unitario, omogeneo, qualcosa che “esclude l’associazione con altri elementi in una composizione” (De Voto Oli), e il sostantivo semplicità la “caratteristica propria di quanto è costituito da un singolo elemento”, è nell’azione di semplificare che il verbo sembra più adatto a descrivere la semplicità come caratteristica del progetto in quanto attività finalizzata a “rendere semplice o più semplice, eliminando elementi di complicazione e difficoltà” all’interno di un processo che è intrinsecamente e indiscutibilmente complesso. Pertanto alcune sfumature o significati comuni che associano il semplice al banale, all’ingenuo, al dimesso, al modesto, al facile, (come denunciano le immagini di Oliviero Toscani) non hanno niente a che fare con un’attività progettuale quindi ideativa dove semplicità è sinonimo di eleganza, sobrietà, naturalezza, l’epilogo di un percorso a cui solo alcuni protagonisti riescono ad approdare compiutamente raggiungendo con il proprio agire l’essenziale.
L’unitarietà e con essa la semplicità è pertanto il risultato massimo di ogni sintesi, di ogni composizione, tanto da risultare, nel progetto di architettura, impraticabile il procedimento inverso,
il suo opposto. Letto in questa dimensione non stupisce che il termine sia invocato e valutato come centrale anche da quegli interpreti che superficialmente sembrano approdare verso esiti di assoluta complessità come sottolinea Patrik Schumacher a proposito delle architetture di Zaha Hadid, o Paolo Portoghesi quale paladino di una riflessione e stratificazione della storia all’interno del progetto. La parola semplicità per l’architetto significa quindi non la rinuncia ad un’elaborazione articolata frutto di una ricerca ed un’indagine conoscitiva dai risvolti molteplici, quanto la capacità di un’individuo di cogliere attraverso una propria metodologia, tutta interna alla disciplina del progetto, quegli aspetti salienti che esprimono retoricamente in un frammento, sia esso lo spazio, le superfici, un materiale, quel tutto che è quell’universo variegato costituito da elementi e componenti che caratterizzano il farsi di ogni architettura. E ancora, parimenti ad ogni saggio o testo letterario, l’architettura, se esprime ed è in definitiva narrazione, ciò che realmente ne convalida l’efficacia, non coincide con lo stile o la calligrafia ma con il messaggio che quella stessa narrazione sottende; messaggio che sarà tanto più forte e penetrante tanto più sarà semplice e immediata la sua decodifica e la sua interpretazione. Pertanto la complessità del progetto coincide con i dati e gli elementi di partenza, mentre il suo esito, in quanto sintesi compiuta non può che risultare più semplice.

photo by Oliviero Toscani
photo by Oliviero Toscani

declinazioni:

1. Olivo Barbieri
Un concetto utile  di semplicità lo rintraccio in una antica dichiarazione di Nam June Paik: ”più lavoro con la televisone, più penso al neolitico”.

2. Mario Botta
”semplicità = verità”.

3. Alberto Campo Baeza
La testa di Nefertiti. On simplicity
Semplice semplicità.
Quando l´architetto russo Konstantin Melnikov decise di costruire la sua propria casa, un bianco cilindro affascinante a Mosca, scrisse queste contundenti parole: ”Essendo diventato il mio proprio capo, supplicai l‘Architettura che si spogliasse finalmente dal suo vestito di marmo, che si lavasse il suo viso dal trucco, e che si mostrasse come se stessa NUDA, come una dea giovane e gracile. E come si addice a una vera bellezza, rinunciasse ad essere gradevole e compiacente” (Konstantin Melnikov. ”Na Shchet doma”.1953. Archivi da Melnikov).
SEMPLICE è ESSENZIALE non è MINIMALE
SEMPLICE è LOGICO non è CAPRICCIOSO
SEMPLICE è RAZIONALE non è RAZIONALISTA
”La chiarezza è la cortesia del filosofo”, Ortega y Gasset.
SEMPLICE è CHIARO non è COMPLICATO
SEMPLICE è PURO non è FREDDO
SEMPLICE è DELICATO non è BLANDO
”Je pense l’Architecture, donc je suis un architecte”. R. DESCARTES + ACB
SEMPLICE è VERO non è FALSO
SEMPLICE è ONESTO non è TRUFFATTORE
SEMPLICE è POETICO non è PROSAICO
Da molti anni provo a fare una Architettura essenziale, logica, razionale, chiara, pura, delicata, vera, onesta e poetica. Rifiuto l’Architettura minimale, capricciosa, razionalista, complicata, fredda, blanda, falsa, truffattrice e prosaica. ”Siamo stanchi di vedere come si ricerca la Bellezza, la Bontá e la Veritá delle cose con ornamenti aggiuntivi, sapendo che il segreto non si trova lì. Diceva il mio indimenticabile amico J.A. Coderch che se si suppone che l’ultima bellezza sia come una bellissima testa calva (per esempio NEFERTITI), è necessario averle strappato capello per capello, con il dolore di ogni singolo strappo, uno per uno. Con dolore dobbiamo strappare dalle nostre opere i capelli che ci impediscono di arrivare al loro finale semplice, semplice”. Questo desiderio de Alejandro de la Sota potrebbe essere una chiara espressione di questa ricercata semplice semplicità.

4. Antonio Citterio
Il mio concetto di semplicità è qualcosa di molto complesso, perché qualcosa di semplice non lo è mai per la forma o per la funzione, il concetto di semplice è qualcosa di olistico, in realtà contiene più situazioni che lo rendono semplice. Un oggetto semplice è quasi sempre un oggetto che è facile da capire come si usa. Il martello è un oggetto semplice, mentre il cacciavite non lo è. Un oggetto di design come una lampada si capisce come si accende e come si spegne, se fa una bella luce o meno. Un oggetto semplice è quasi sempre un timeless, è un qualcosa che mantiene il tempo.

5. Felix Claus  
Per noi, la semplicità è sia una strategia di gestione esecutiva del progetto che un principio espressivo della sua architettura. Il declino dell‘artigianalità nell‘ambito del processo edilizio costringe gli architetti a verificare i risultati materiali dei loro piani realizzando progetti esenti da potenziali pecche esecutive: a tal fine, il progetto viene ridotto a pochi elementi essenziali, tali da garantire un risultato perfetto. In un mondo sempre più ossessionato dall‘immediata gratificazione degli stimoli visivi, l‘architettura tende a soddisfare tali richieste dando vita a progetti sempre più appariscenti. Da parte nostra, riteniamo che uno spazio pubblico degno di questo nome necessiti di edifici semplici e generici in grado di soddisfare le esigenze degli utenti. Questi edifici produttivi sono strutture lineari, prive di complicazioni superflue ma ricche di carattere. Queste due interpretazioni della semplicità trovano analogo riscontro in gastronomia: preferiamo dedicare tutta la nostra energia alla perfetta esecuzione quotidiana di un piatto semplice (gli spaghetti aglio e olio, ad esempio), verificando la qualità di tutti gli ingredienti, la preparazione, il servizio e la relativa fedeltà culturale, piuttosto che alla stressante preparazione dell‘ennesimo menù trendy di diciassette portate. Nelle parole di Mies, ”Non voglio essere interessante, ma valido”. La semplicità è una virtù.

6. Nigel Coates
La semplicità è relativa, spesso sopravvalutata e talvolta ingannevole. Se paragonata al Royal Pavilion di Brighton ad opera di Nash, la Casa Rossa di William Morris è minimalista e, oserei dire, semplice. Nella mia opera ho sempre preferito un approccio narrativo basato su un’ampia gamma di idee e sfumature semantiche, ma evito le complicazioni senza motivo. Il design consiste nel creare soluzioni efficaci in base al proprio metro di giudizio. All’inizio di un progetto do libero sfogo alla mia creatività e colleziono riferimenti dalla più ampia gamma di fonti possibile: una volta padroneggiati il lessico narrativo e volumetrico, elaboro il concetto finché risulta semplice e chiaro come un teorema. L’equilibrio è un’autentica arte, ma è necessario saper creare l’eccesso al fine di poterlo equilibrare. Nella mia filosofia architettonica, considero il National Centre for Popular Music di Sheffield e il suo gemello Powerhouse::uk (struttura temporanea adibita a spazio-mostra a Whitehall, Londra) come perfetti esempi di semplicità: in entrambi gli edifici, i quattro ”tamburi” rappresentano una dichiarazione di autonomia spaziale quanto più possibile indipendente dal contesto. Sono privi di elementi che suggeriscano la presenza di stanze al di là delle facciate e i ”tamburi” potrebbero rappresentare tanto gallerie quanto cisterne industriali: ciò dona loro una semplicità ultraterrena. Fra gli oggetti da me creati, il centrotavola Big Shoom per Alessi è la semplicità fatta accessorio, in grado di riunire nelle sue curve un concentrato di chiarezza e mistero. Sia il museo che il centrotavola fanno uso dell’acciaio inossidabile, un materiale che forse più di ogni altro incarna per me il concetto di semplicità.

7. Michele De Lucchi
La semplicità è un atteggiamento mentale che diventa molto comprensibile se riferito alla figura dell’artigiano. L’artigiano fa le cose una ad una e mette nel suo lavoro un impegno personale alla ricerca di una gratificazione emotiva, sulla quale può basare il conseguimento del profitto (Richard Sennett).
Oggi io leggo il termine semplicità al lavoro manuale e a una comprensione immediata dell’organizzazione delle tecniche di produzione. Nel generale incremento di complessità dei sistemi tecnologici a disposizione, la semplicità, riferita alla consapevolezza di come si costruiscono le cose, è la sintesi. La semplicità è l’attitudine che cerchiamo di più per ritrovare l’uomo. Imparare significa far diventare le cose più semplici ai nostri occhi. Così una cosa diventa sorprendente quando è sorprendentemente semplice.

8. Carlos Ferrater
- x - = +
less x less equal more

9. Massimiliano Fuksas
”Less Aesthetics more ethics”. Può essere d‘aiuto ad un progetto e ad un‘utopia per un futuro migliore?

10. Luca Molinari
”Lontana dai fasti estetizzanti del Minimal, l‘architettura riscopre il piacere quasi francescano della verità dei materiali, della consapevolezza civile delle scelte, del mistero insondabile della
realtà e dei suoi abitanti. Progettare semplice per dare forma a un pensiero complesso;  Progettare semplice per ridurre al minimo le dispersioni di risorse e il consumo di territorio; Progettare semplice perché il progetto contemporaneo deve essere a misura di bambino per essere ben vissuto dagli adulti; Progettare semplice senza rinunciare alla ricchezza  della nostra storia. Semplicemente sublime perché lo spazio nuovo  dovrà accogliere la vita complessa e instabile del futuro”.

11. Bruno Munari
Complicare è facile,
semplificare è difficile.
Per complicare basta aggiungere,
tutto quello che si vuole:
colori, forme, azioni, decorazioni,
personaggi, ambienti pieni di cose.
Tutti sono capaci di complicare.
Pochi sono capaci di semplificare.
Per semplificare bisogna togliere,
e per togliere bisogna sapere che cosa togliere,
come fa lo scultore quando a colpi di scalpello
toglie dal masso di pietra tutto quel materiale che c‘è in più.
Teoricamente ogni masso di pietra può avere al suo interno una scultura bellissima, come si fa a sapere
dove ci si deve fermare nel togliere, senza rovinare la scultura?
Togliere invece che aggiungere
vuol dire riconoscere l‘essenza delle cose
e comunicarle nella loro essenzialità.
Questo processo porta fuori dal tempo
e dalle mode...
La semplificazione è il segno dell’intelligenza.
Un antico detto cinese dice:
”quello che non si può dire in poche parole
non si può dirlo neanche in molte”.

12. Sergio Polano
Con l’aiuto dell’etimologia, attraverso un percorso stratificato dalla radice comune indoeuropea [*plek-], si scopre che ‘semplice’ è ciò che subisce e mantiene una singola primaria modifica tramite flessione, curvatura, torsione, piegatura. Tuttavia, la parola ereditata dal latino letteralmente confonde le pluralità divergenti dell’etimo: la traccia di un plesso (plexus da plectere) non equivale
a una banale piega (plicatus da plicare): il primo nodo tra dei fili non è lo stesso di una qualsiasi spiegazzatura di un foglio. Iterando il nodo con regolarità e abilità, si giunge all’intreccio tessuto nel complesso (complexus), mentre aggiungendo spiegazzatura a spiegazzatura al più si ricava da un foglio un che di complicato (complicatus): nel primo caso, si incrementa la qualità, nel secondo la quantità. Non a caso, ‘spiegare’ (explicare) non è privare delle pieghe ma svolgere e trarre il semplice dalle pieghe ossia conservare il dispiegarsi del complesso: questa semplicità ha in sé tutte le pieghe della complessità. Privare delle pieghe, invece, è semplificare, appiattire le pieghe in un informe anteriore alla prima piega; aggiunger pieghe su pieghe, senza trarne intrecci, è complicare. Semplicità e complessità perciò sono complementari, si includono reciprocamente, secondo un gradiente di regolare armonicità e intima necessità; altrimenti, la semplificazione è la faccia opposta della complicazione, ma ambedue son gratuite, la prima riduttiva, la seconda esornativa.

13. Paolo Portoghesi
”Il semplice – scrive Heidegger in Il sentiero di campagna – serba e custodisce l’enigma di ciò che è destinato a durare e di ciò che è grande” e aggiunge: ”A coloro che si trovano così distratti e smarriti il Semplice appare uniforme. L’uniforme provoca sazietà e disgusto. Chi si sente sazio trova unicamente ciò che è monotono e indifferente. Il Semplice è fuggito. La sua forza silenziosa si
è inaridita... La rinuncia non prende. La rinuncia dona, dona la forza inesauribile del Semplice”. La semplicità non si raggiunge con facili scorciatoie, riducendo al minimo costi e benefici e nello stesso tempo l’impegno a cambiare e migliorare la vita degli uomini. Il semplice è una qualità che si raggiunge al termine di un lungo percorso autocritico in cui è fondamentale la rinuncia: rinuncia a ciò che non è essenziale per ottenere lo scopo che ci si prefigge, rinuncia alle inutili differenze che combattono una apparente, preziosa uniformità e raggiungono una pretenziosa uniformità proprio nella esasperata ricerca della differenza. Rinuncia alla superbia della tabula rasa che propone di costruire sulla cenere abbandonando le ricchezze che provengono dalla esperienza e dalla grande tradizione che – come ha scritto Heidegger ”viene verso di noi in quanto avvenire”. La città antica è una lezione pregnante di semplicità, fatta di ripetizione tipologica, di analogia morfologica, di continuità nel cambiamento. La semplicità non si può scindere dalla durata e dalla grandezza. È il crisma di opere insigni come di anonimi frutti di una cultura condivisa e non va scambiata per un facile minimalismo.

14. Franco Purini e Laura Thermes
Due complessità.
La semplicità non è un punto di partenza, bensì di arrivo. Essa è l’esito naturale della complessità. In effetti più una situazione è molteplice, diversa e mutevole nelle sue componenti; più un problema si rivela denso di aspetti che spesso sono contrastanti fino alla più esplicita conflittualità; più una condizione appare composita, attraversata da sollecitazioni simultanee e opposte più la situazione, il problema e la condizione richiedono per diventare comprensibili e operanti un lavoro lungo e difficile di sintesi. Si tratta infatti di estrarre dalla casualità quella necessità – una quadratura magica – capace di trascendere e di legittimare i fenomeni con i quali ci si confronta. Da questo punto di vista la semplicità non è altro che la forma cosciente e sublimata della complessità. In qualche modo la semplicità non è tanto un problema di semplificazione, nel senso che non si tratta tanto di diminuire il numero, la stratificazione e l’intersezione degli elementi costitutivi dei fenomeni, quanto di depurare gli elementi stessi da tutto ciò che è accidentale, superfluo o inutile o che rappresenta un’interferenza comunicativa. Per quanto riguarda l’architettura è compito primario di chi progetta e costruisce pervenire a questa sintesi la quale, tra l’altro, consente di essere conosciuta nei suoi termini reali più facilmente e in modo più preciso da chi dovrà abitare gli edifici che si vogliono costruire. Essere semplici permette infatti di aprire le questioni architettoniche ai destinatari dell’architettura, facendoli così partecipi dei processi decisionali. Questa complessità-semplice o, se si vuole, questa semplicità-complessa, deve però nascondere una seconda complessità, questa volta nascosta, oscura e inattingibile. Una complessità che è emozione e mistero, un riflesso di quell’insondabilità del cosmo e della vita che non tutti vogliono cercare e interrogare.

15. Patrik Schumacher
Semplicità relativa.
La semplicità del design può essere solo un valore relativo, relativo rispetto alla complessità del compito. È la semplicità relativa a produrre l‘autentica eleganza: una soluzione elegante
è la più semplice possibile, senza per questo perdere in funzionalità. La semplicità va di pari passo con l‘ordine e, per di più, con l‘ordine complesso: la semplicità di cui parlo non esclude la complessità. Se fossi costretto a scegliere fra semplicità e complessità, la mia scelta cadrebbe su quest‘ultima, ma questa è una falsa dicotomia: la semplicità relativa esprime la complessità con una precisa economia di mezzi. Le differenze in grado di fare la differenza devono essere espresse all’insegna della massima semplicità. La semplicità deve essere uno strumento eloquente, in grado di ridurre la complessità visiva ai fini della chiarezza visiva dell‘organizzazione funzionale. Il valore, così espresso, della semplicità relativa, è compatibile con lo stile contemporaneo da me promosso e sottoscritto, vale a dire il Parametricismo. Presso ZHA, questo concetto si traduce spesso in una dinamicità curvilinea, che consente di differenziare lo spazio senza inquinare il panorama visivo mediante l‘introduzione di angoli o di altri elementi che spezzino la continuità. La semplicità comporta inoltre un approccio astratto nei confronti dei dettagli, dettato dalla volontà di non lasciare che gli elementi architettonici distolgano l‘attenzione dall‘organizzazione globale degli spazi. Struttura e costruzione non rappresentano un valido canale di espressione: la semplicità che cerco prevede il minimalismo nei dettagli ma lo rifiuta all‘atto della composizione. La mia filosofia è espressa da questo motto: riduzione della complessità visiva superflua a favore dell’orientamento nell’ambito di strutture organizzative complesse.

16. Benedetta Tagliabue
Il ritornello di una canzone che si sentiva molto qualche anno fa qui in Spagna diceva: “Antes muerta que sencilla”… “Meglio morta che semplice”. Era evidentemente una canzone di flamenco che veniva da un mondo latino... e chi cantava era una bambina. Chissà quel ritornello era un’occasione per riflettere sul tema: “Semplice come qualcosa di negativo? Mah!” . Forse semplicità nel senso di “non studiato, totalmente naturale” è un concetto che va accettato dopo esser passati per molti gradi di sofisticazione. Forse è accettabile solo quando rappresenta lo stadio più elevato di complesse evoluzioni... “semplicità” intesa come il massimo grado della complessità. Semplice perchè sembra che non ci sia il trucco. Perché il trucco è già così innato che sembra sparire... ma sempre c’è! Se no ritorniamo al ritornello della canzone...

17. Oliviero Toscani
Invitato tra gli altri a descrivere o declinare in maniera sintetica il termine semplicità, Oliviero Toscani ha invitato alla redazione di Area una serie eloquente di immagini, alcune delle quali pubblicate in queste pagine.  Da questa pur breve selezione di fotografie, frutto di un lavoro ed una ricerca-denuncia dedicata all’architettura e al paesaggio italiano, si evince con evidente chiarezza quanto sia complicata, artefatta e cervellotica l’immagine architettonica di un paese che certamente ha smarrito negli ultimi cinquant’anni il senso più autentico e sincero del costruire (si pensi per confronto ai contenuti e alle immagini della mostra di Pagano sull’architettura rurale italiana alla VI Triennale di Milano del 1936). Dalle immagini d’oggi viceversa si comprende, senza possibilità di smentita, quanta mancanza di semplicità circondi l’architettura “normale” dove normale indica i luoghi del quotidiano, quel gusto nazional-popolare che se un tempo si rispecchiava nei romanzi di Vasco Pratolini oggi si riflette nella più volgare consuetudine televisiva. Per sfuggire al banale, alla modestia, alla pochezza di idee e contenuti, progettisti (geometri, periti edili, ingegneri e probabilmente anche molti architetti) assieme ad una moltitudine di committenti sembrano partecipare entusiasti ad una gara di “complicazione delle cose semplici” dove predomina con l’ignoranza, cioè la mancanza di conoscenze, il cattivo gusto.