area 108 | Mexico City

Luis Barragán, Satélite Towers, Mexico City, 1957

La capitale degli Estados Unidos Mexicanos, questo il nome ufficiale del paese secondo la costituzione, oltre ad essere sede dei poteri dell’unione è, essa stessa, Distretto Federale; pertanto è un agglomerato politico economico e sociale a cui il termine di città, anche alla luce degli oltre 25 milioni di abitanti che popolano l’intera area metropolitana, sembra difficilmente adattabile.
Nei consueti rapporti urbanistici condotti dalle Nazioni Unite, Città del Messico risulta, al 2003, dopo Tokyo, la megalopoli più grande al mondo per numero di abitanti con un valore di crescita che, pur rallentato rispetto agli anni ‘80 e ’90, non accenna a fermarsi; l’ottava metropoli del pianeta per prodotto interno lordo, una delle più estese con una latitudine di oltre 50 chilometri in direzione nord-sud e circa 35 chilometri lungo la direttrice est-ovest, posta ad un’altitudine di 2300 metri sul livello del mare. Questa enorme distesa di costruzioni e addensamento di persone, cresciuto vorticosamente come riferisce l’architetto e critico Jose Castillo “solo negli ultimi 100 anni”, è la causa di uno dei più grandi stravolgimenti ambientali posti in atto dalle attività umane, l’origine della fine di un ecosistema dove è scomparsa ogni forma di vita naturale precedente. L’antico assieme di laghi che occupavano buona parte del territorio del Distretto Federale a formare una conca ricca di acqua è stato lentamente prosciugato; già nel 1900 il presidente Diaz inaugurò un complesso di opere per il drenaggio delle falde dell’intera valle che ha soppresso ogni forma lacustre. Nel tempo sono scomparsi i boschi che si estendevano sulle montagne circostanti e conseguentemente la maggior parte della fauna. Un disastro ecologico e ambientale largamente annunciato che ha avuto il suo culmine all’inizio degli anni ’80 quando, di fronte all’evidente e insostenibile condizione d’inquinamento atmosferico, attraverso una politica di sgravi e incentivi fiscali, si è avviato un processo di decentramento di parte delle attività industriali distribuite in oltre 54 aree che si sviluppano su di una superficie di 2500 ettari; intensificato il potenziamento e la costruzione di un esteso sistema di trasporto pubblico incentrato sulla rete della metropolitana avviata a partire dal 1969 – oltre 180 stazioni distribuite in 12 linee che consentono il trasporto quotidiano di circa 5 milioni di passeggeri – si è provveduto a realizzare un sistema di controllo e monitoraggio della qualità dell’aria – IMECA –, introdotto il metodo delle targhe alterne per la circolazione delle automobili; dichiarata, per oltre metà del territorio, l’Area di Riserva Ecologica. Tuttavia è facile comprendere come ogni possibile tentativo di rispondere ai problemi di una simile concentrazione umana si infranga di fronte alla complessità di una condizione dell’abitare costantemente sottoposta alla verifica di eventi non controllabili, dalle antiche inondazioni ai recenti terremoti – quello del 1985 fu particolarmente violento e distruttivo – oppure prevedibili e conosciuti ma difficilmente constastabili come la crescita della cosiddetta “città informale”, dove è difficile contrastare povertà, criminalità, traffico, congestione, inquinamento, qualità degli edifici e degli spazi urbani. Juan Villoro, scrittore e giornalista messicano descrive la città come “…una galassia disordinata…” in cui, sentenzia:  “…siamo troppi”. E ancora rispetto all’incremento demografico  e la crescita urbana: “Ci troviamo di fronte ad un fenomeno bizzarro: ci siamo trasferiti in una città diversa senza esserci mai spostati, viviamo in una metropoli nomade”. In effetti la città, il paesaggio e le condizioni degli abitanti cambiano continuamente mentre i tempi decisionali della politica e della scienza urbana, quando anche dotata di eccezionali capacità di analisi, di sintesi e di proposte progettuali, risultano cronicamente in ritardo rispetto alle esigenze del vivere in un luogo che sembra una sorta di gigantesco acceleratore di particelle alimentato dalla pressione dell’economia e della speculazione che comprime senza sosta ogni spazio vitale.
Secondo Javier Barreiro Cavestany “Davanti a uno scenario dai contorni apocalittici, è quasi un miracolo che la città funzioni. Ma non è meno sorprendente che, in mezzo al caos del traffico,
ai problemi dei rifiuti, dell’inquinamento, della speculazione, delle mafie e dei conflitti sociali, si continuino a produrre delle architetture d’autore di prim’ordine”. Così come non deve stupire
che in taluni casi alcune porzioni di tessuto cresciuto spontaneamente abbiano trovato una propria dimensione vitale, multifunzionale, multietnica e quindi multiculturale; una dimensione
che fondamentalmente esprime la vera identità di Città del Messico: essere una megalopoli.