area 120 | Beirut

All’inizio degli anni ’90, Beirut diventa il più grande cantiere archeologico urbano del mondo con quasi centocinquanta siti di scavo su migliaia di metri quadri di estensione. Nell’urgenza del periodo di ricostruzione post-bellico si stavano infatti realizzando imponenti progetti infrastrutturali e di sviluppo di un’ineguagliata grandezza nel seno della capitale libanese.
La storia, a lungo misconosciuta, di questa città è stata quindi rivelata e confermata dalla fioritura di scavi, realizzati sempre all’interno di un quadro generale detto di ‘salvataggio’.
Il processo di scavi urbani, controllato dalla Direzione Generale delle Antichità con l'assistenza tecnica dell‘Unesco, viene eseguito nel corso di diversi anni da una nuova generazione di archeologi urbani.
Il futuro delle eccezionali vestigia (bastioni dell'età del bronzo, torri e quartieri ellenistici, interi settori della colonia romana di Berytus, vari aspetti della città bizantina, fortificazioni medievali e mamelucche) scoperte durante i molti cantieri, pone un eterno dibattito: fino a che punto dobbiamo proteggere le testimonianze della storia nella città del futuro? Quali sono gli orientamenti della politica ufficiale?
Dopo il 1993, sensibilizzazione, interpretazione e rivendicazioni hanno alimentato tutte le discussioni, talvolta anche virulente soprattutto per la partecipazione dei media. Poco a poco però, l’interesse per l’archeologia si è dissipato per la mancanza di informazione e di implicazione attiva della società civile. L’esposizione all’aria aperta in situ dei resti scoperti durante questi anni, riflette in un certo modo un’evoluzione di mentalità non accompagnata da un uguale cambio legislativo. Le principali opzioni sul tavolo sono le seguenti:
Rimozioni irreversibile dei resti, successiva al rilevamento documentale del cantiere archeologico sotto l’egida scientifica delle autorità competenti: La maggior parte dei ritrovamenti conosce questa sorte.
Conservazione in situ. Opzione legata al valore eccezionale del sito e delle vestigia, dal significato indiscutibile per la storia del posto. È un’opzione oggetto di aspri negoziati fin dal 1995 per gli scavi del ‘tell‘ di Beirut (il termine “tell“ viene dall‘arabo e significa ‘collina‘. Indica un tipo di sito archeologico, risultato dell‘accumulo e della seguente erosione di materiali depositati dall‘occupazione umana in lunghi periodi di tempo.ndr), dove le imponenti vestigia della Biruta dell’età del bronzo affiancano le fondazioni del castello medievale. È un opzione ugualmente seguita nel caso delle mura, sempre medievali, e del quartiere fenicio, entrambi situati nella zona dei nuovi Souk senza, comunque, che siano indicati con chiarezza i criteri di selezione seguiti. Questa forma di conservazione implica una stretta interazione con il progetto futuro (modifica del progetto architettonico) o un abbandono dello stesso: sotto forma di riempimento parziale o totale di un sito, la conservazione passiva è praticata nel Giardino del Perdono, situato nel quartiere delle Chiese, dove la vegetazione ha rapidamente preso il sopravvento.
Smontaggio scientifico e rimontaggio parziale ex-nihilo: quest’opzione riflette un compromesso tra il mantenimento in situ e lo smontaggio definitivo e può essere un soluzione interessante quando è applicata con tutte le garanzie scientifiche e morali.
Le vestigia del Decumano massimo, smontate da sotto la Moschea Mohamad El Amine, o del quartiere ellenistico al centro della piazza dei Martiri, attendono ancora, all’aria aperta, un migliore avvenire.
I siti in cui finalmente si raggiunge un’integrazione, dopo una lunga procedura di sensibilizzazione della proprietà circa il valore aggiunto così ottenuto, perdono inevitabilemente l’originaria autenticità diventando a volte semplici elementi ornamentali più che frammenti di storia urbana accessibili a tutti.
Questa possibilità, che sembrava praticamente impossibile ancora pochi anni fa, è diventata piuttosto comune senza, comunque, riuscire a dare alla città una chiara leggibilità delle sue vestigia: tranne alcuni casi, la gran parte delle testimonianze ‘reintegrate’ sono praticamente inaccessibili al grande pubblico.
In certa misura, ci si potrebbe anche chiedere se l’opzione di rilocalizzazione non sia giustificabile sempre, anche quando non si sia in presenza di condizioni eccezionali definite dalle convenzioni internazionali, applicabili ai siti in situazione di pericolo imminente (come nei templi di Abu Simbel, Diga di Assuan, Egitto 1964).

Yasmine Makaroun Bou Assaf is an architect-restorer specialized in built-up heritage and archeological site management. With a PHD in Bronze Age Archaeology, she has been involved in Beirut’s excavations since 1993. As a full time teacher at the Lebanese University (Lebanon) and free lance consultant, she has conducted many projects in the field of restoration and conservation.