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Che piatto vorreste assaggiare?

Il paesaggio urbano di São Paulo appare indecifrabile persino agli occhi dei suoi abitanti. L’antropologo italiano Massimo Canevacci l’ha definita una città polifonica. Ma São Paulo è anche una città autofagica, la quale, per poter crescere, è costretta a divorare se stessa. Con il risultato che attualmente esistono scarse testimonianze di edifici che attestino i 450 anni di vita della città. La grande forza di São Paulo è la sua parte moderna, passata attraverso una fase di crescita vertiginosa tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta, al ritmo, pare, di un edificio nuovo al giorno. Fu proprio questa fase storica a forgiare il carattere e la fisionomia della città attuale, nella quale appaiono in tutta la loro evidenza alcuni ottimi esempi architettonici di quel periodo, come il Parque do Ibirapuera (1954), di Oscar Niemeyer, e il Museu de Arte di São Paulo (1958), di Lina Bo Bardi. La città si presenta oggi articolata in diverse stratificazioni in base alle quali è possibile semplificando, classificare la crescita urbana in tre nuclei ben definiti. Da un lato troviamo la produzione che serve il mercato capitalista, dall’altro l’architettura d’avanguardia, mentre il terzo nucleo, distribuito intorno ai primi due, è costituito dalla città informale, priva di regole, progettata secondo la logica della sopravvivenza, la città delle favelas e dell’edificazione selvaggia. Il primo gruppo, che si potrebbe definire “conservatore” per i suoi legami con lo status quo e il capitale finanziario, presenta una produzione numericamente più elevata, sebbene di scarso interesse architettonico. La domanda di tali edifici non presenta valori di qualità e obbedisce piuttosto a valori populisti e di marketing. Gli esempi negativi più estremi riguardano gli edifici neoclassici che svalorizzano i quartieri più ricchi della città. Tuttavia, essendo l’architettura lo specchio della società, il gruppo degli edifici conservatori possiede alcuni aspetti di notevole livello architettonico.
Le opere contemporanee più significative su grande scala, i centri polifunzionali o i grandi complessi residenziali, sono stati realizzati dallo studio Aflalo & Gasperini, presente nella realtà locale da ormai 50 anni per soddisfare principalmente la domanda dei privati e di gruppi immobiliari. Tra i progetti recenti di maggior rilievo ricordiamo il Parque da Juventude (1998-2010), risultato di un concorso di architettura che ha trasformato il maggior penitenziario del Brasile in un parco pubblico, dotato di una biblioteca e di una scuola per studi tecnici. Gli interventi attuali dello studio Aflalo & Gasperini sono, tra le altre istanze, all’insegna della tecnologia costruttiva, della scomposizione degli elementi dei volumi architettonici, della sostenibilità e dell’integrazione degli edifici nel tessuto urbano. Continuando a considerare i tratti più positivi del gruppo conservatore, sebbene su scala minore, si nota una crescente domanda da parte di un piccolo nucleo di committenti con buona disponibilità finanziaria,  facenti parte di quel pubblico che è solito frequentare alcuni sofisticati templi del consumismo, ristoranti e bar. A causa delle peculiarità della vita cittadina, della mancanza di spazi pubblici, del desiderio di convivere all’interno della propria classe sociale o ancora del senso di insicurezza generato dalla violenza urbana, l’élite cittadina è stata indotta a valorizzare gli spazi chiusi. Le case unifamiliari delle classi agiate hanno dimensioni enormi (non è raro che dispongano di circa 1.000 m2), e posseggono spazi che potrebbero ospitare un numero considerevole di persone. I più sofisticati ricorrono a uno stile contemporaneo per potersi collocare a un livello più elevato rispetto alle analoghe fasce di reddito, mentre la grande maggioranza arreda le proprie abitazione in stile d’epoca, ricorrendo sia a elementi dal vago sapore toscano che ad altri che richiamano gli chalet di montagna piuttosto che le fazendas del Brasile coloniale). Questa domanda, che si traduce in opere caratterizzate da una estrema complessità di dettagli, è soggetta alle mode e alle tendenze. Tra i principali studi professionali che si inquadrano in questa linea di intervento rientrano Isay Weinfeld, Marcio Kogan, Arthur Casas e Thiago Bernardes. Mentre Weinfeld e Kogan ampliano e rendono più sofisticato il repertorio originale di Aurélio Flores, un architetto messicano stabilitosi a São Paulo negli anni Sessanta, Casas utilizza un linguaggio che si ispira all’opera della designer francese Andrea Putman. Bernardes, proveniente da una famiglia di architetti (è nipote di Sergio e figlio di Cláudio Bernardes, due importanti architetti che operarono a Rio de Janeiro), possiede un’opera di una certa importanza, che valorizza i materiali naturali e punta a creare una spazialità di tipo monumentale negli ambienti domestici. Al gruppo conservatore che interviene su piccola scala si è recentemente aggiunto lo studio Triptyque, composto da tre architetti francesi e una brasiliana che ha svolto i suoi studi a Parigi. Ancora poco coinvolto nel dibattito locale, il gruppo ha tuttavia apportato un po’ di freschezza e nuove idee nel panorama di São Paulo.
Ma è indubbiamente nel gruppo avanguardista dove si concentra la produzione che desta il maggior interesse. La parte migliore della sua produzione è realizzata da professionisti di età compresa tra i 40 e i 55 anni, la cui formazione è quindi collocabile a partire dal periodo in cui il Brasile è tornato alla democrazia dopo l’epoca della dittatura. A differenza degli architetti che giunsero al successo all’interno del movimento brasiliano di architettura, la nota scuola di Rio de Janeiro di Lucio Costa e Oscar Niemeyer, gli attuali esponenti dell’avanguardia non iniziarono a operare su un solco ben tracciato. Mentre in epoca passata l’architettura brasiliana moderna rappresentava l’immagine ufficiale del Paese, il cui maggior esempio è costituito dalla città di Brasilia, l’avanguardia di São Paulo opera in un contesto dalle condizioni avverse, senza beneficiare del sostegno dello stato o del mercato. E ciò avviene in gran parte poiché essa è in aperto dialogo con l’altro movimento architettonico brasiliano, la Scuola paulista, che si ispira alle idee innovative di Vilanova Artigas e Paulo Mendes da Rocha. Un discorso ideologicamente collocato a sinistra, che valorizzi la funzione sociale dell’architettura, non è solito stimolare gli entusiasmi di chi è al potere, anche se condivide la medesima ideologia, e tanto meno di chi detiene il capitale. In linea di massima si può affermare che il governo non ha scrupoli nel finanziare progetti di scarsa qualità, e il gruppo avanguardista riesce a ottenere incarichi pubblici quando sono i livelli gerarchici inferiori a dimostrare sensibilità al tema. Ciò è avvenuto, ad esempio, nel caso delle scuole pubbliche costruite nello stato di São Paulo: la presenza all’interno della compagine governativa di tecnici sensibili a un discorso architettonico di qualità ha prodotto oltre un centinaio di edifici scolastici con un progetto degno di nota. Oppure con la recente delibera della giunta comunale di affrontare il problema delle residenze abusive, urbanizzando gli spazi e costruendo complessi residenziali sulle aree occupate dalle favelas. Nei concorsi pubblici, l’avanguardia riesce di solito a trovare una modalità per rendersi visibile e collaborare con il governo; l’unico problema è però che il 75% delle opere messe a concorso non viene realizzato.
Al di fuori dello stato di São Paulo, l’avanguardia trova clienti privati in quella minuscola parte della società che condivide i suoi stessi valori intellettuali. Le commesse riguardano soprattutto case unifamiliari e piccoli spazi da destinare a interventi culturali (i migliori e più cospicui progetti di edifici culturali sono quelli di Oscar Niemeyer e Paulo Mendes da Rocha e, più di recente, di archistar come Herzog & de Meuron, che stanno progettando un enorme complesso per la danza in pieno centro città).  Gli architetti che possono essere considerati parte dell’avanguardia di São Paulo condividono gli stessi valori, rispondono allo stesso tipo di domanda e possiedono un analogo modus operandi: quasi tutti dividono la propria vita professionale tra i loro piccoli studi di progettazione e l’insegnamento nelle facoltà di architettura. La loro produzione, tuttavia – e ciò sia detto ad apprezzamento del loro stato di salute professionale che si traduce in un’incredibile vitalità – appare tutt’altro che omogenea, e può essere classificata in varie categorie.
Il primo nucleo può essere chiamato Generazione di Siviglia ed è formato da quegli architetti che parteciparono all’intenso dibattito relativo alla progettazione del padiglione brasiliano presso l’Expo di Siviglia, come  Álvaro Puntoni, Angelo Bucci, Milton Braga, Fernando de Melo Franco e Marta Moreira. In quell’occasione, nel 1990, fu bandito un concorso pubblico in seno al quale, con Mendes da Rocha nella giuria, la scelta cadde sul progetto di Puntoni e Bucci, suoi ex allievi nella Facoltà di Architettura e Urbanistica dell’Università di São Paulo (FAUUSP), con un progetto evidentemente ispirato ai precetti della Scuola paulista: un involucro in calcestruzzo, a un unico ampio vano e pochi appoggi, basato su un concetto di spazialità introspettiva. Al secondo posto si è posizionato un edificio realizzato da Braga, Melo Franca e Moreira, architetti che oggi partecipano allo studio MMBB, nonostante utilizzassero all’epoca un linguaggio che si allontanava da quello della scuola paulista; in un secondo tempo essi collaborarono con Mendes da Rocha a diversi progetti e sono attualmente i professionisti la cui opera è maggiormente affine a quella del loro maestro. Tra le giovani leve, Puntoni è la personalità più importante all’interno di questo processo: oltre a far parte dell’équipe vincitrice, fu il grande entusiasta della propria generazione che promosse la rivalorizzazione dell’architettura della Scuola paulista, arricchita dal ritorno tra i quadri della FAUUSP, dopo il bando della dittatura militare, di Artigas e Mendes da Rocha.
La Generazione di Siviglia diede continuità alle istanze sociali e spaziali del movimento originario, nella convinzione che la realtà brasiliana non fosse ancora cambiata a sufficienza per rendere necessaria una modifica del loro discorso. In altre parole, i suoi esponenti credevano che valesse ancora la pena riprendere la maggior parte dei principi che caratterizzavano il pensiero
della Scuola paulista. Questo processo di rivalorizzazione della Scuola paulista ha generato una continuità che perdura fino ad oggi (alimentato anche dal premio Pritzker conferito a Mendes da Rocha), esercitando un certo influsso su un’intera generazione di architetti quali, ad esempio, i membri dell’Una, dell’Andrade Morettin nonché del FGMF, ancora più giovani. Ma la produzione di questi architetti  non si limita all’influsso del movimento di Artigas, se si considera l’implemento da essi operato sul vocabolario architettonico grazie ai loro contatti con altri Paesi: per la prima volta in Brasile, un ampio gruppo di professionisti, formatisi tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, ha trascorso periodi di lavoro in Europa o negli Stati Uniti (alcuni di essi si sono stabiliti definitivamente all’estero come, ad esempio, Anna Dietzsch, una delle autrici della Praça Victor Civita, che vive e lavora a New York). Se Paulo Mendes da Rocha è una sorta di leader occulto della Generazione di Siviglia, l’uruguaiano Hector Vigliecca è la personalità di spicco del gruppo di architetti dell’avanguardia paulista. Pur essendo poco celebrato, Vigliecca è una delle figure fondamentali del dibattito architettonico brasiliano, noto per aver apportato una ventata di idee nuove e influenzato un gruppo di progettisti molto sensibili al dibattito internazionale e convinti che i precetti della Scuola paulista erano antiquati e obsoleti. Fanno parte del gruppo influenzato da Vigliecca e dall’architettura post-moderna anche architetti quali, tra gli altri, Mario Biselli, Francisco Spadoni, NPC Arquitetura e Marcelo Barbosa. Il dibattito sul post-modernismo si svolge prevalentemente al di fuori dell’ambito accademico della FAUUSP, ma è presente all’interno di altre università, ad esempio la Mackenzie e la PUC di Campinas, città a 100 km di distanza da São Paulo. Accanto ai professionisti che non rientrano nell’alveo della Scuola paulista esiste un altro gruppo di progettisti sui quali hanno esercitato un influsso decisivo le idee e le scelte professionali di Lina Bo Bardi.
Nel loro caso, muovendosi lungo quella che potremmo chiamare una linea giòpontiana, l’accento è posto sulla valorizzazione degli aspetti artigianali e sullo studio della vera anima brasiliana da ricercare in seno al cittadino comune. Di questo gruppo fanno parte soprattutto gli architetti che collaborano con Lina Bo Bardi, come Marcelo Ferraz e Francisco Fanucci (dello studio Brasil Arquitetura), André Vainer e Marcelo Suzuki. Per concludere, ricordiamo l’opera di Cristina Xavier e Mauro Munhoz, che si sviluppa per entrambi su scala domestica, spesso con l’uso di strutture in legno. I percorsi e i lavori dei due architetti sono tuttavia eterogenei: se da un lato Munhoz fu influenzato inizialmente da Frank Lloyd Wright, Xavier sviluppa la sua ricerca architettonica partendo dalla pratica della costruzione legata al cantiere. Come è possibile notare, tra le esigenze del mercato e l’avanguardia paulista il menù è estremamente variegato e in grado di soddisfare le più diverse esigenze e i palati più sensibili. E voi, che piatto vorreste assaggiare?

Fernando Serapião è critico d’architettura ed editore della rivista Monolito. Collabora a diversi livelli con la rivista piauí e con il quotidiano Folha de S. Paulo, ed ha al suo attivo centinaia di articoli pubblicati su riviste nazionali e straniere, quali Domus China, AV (Spagna) e Arquitectura Iberica (Portogallo). È stato membro di giurie in concorsi sia in Brasile che all’estero, come, tra gli altri, il World Architectural Festival (Barcellona).