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Il senso costruttivo delle icone di Nervi in mostra a Roma

Due dispositivi chiari ed evidenti tengono insieme le 14 opere di Pier Luigi Nervi esposte al MAXXI di Roma in una mostra curata da Carlo Olmo, Sergio Poretti e Tullia Iori dal titolo “Pier Luigi Nervi: architettura come sfida. Roma: ingegno e costruzione”. I dispositivi sono: Nervi produttore di icone strutturali e Nervi grande costruttore. Partiamo dal secondo. Quella di Nervi è un’architettura ingegnerizzata, ovvero una architettura dove la forma è inscindibile dalle ragioni del cantiere. In genere non è detto che i due aspetti siano compatibili, anzi il più delle volte divergono. Nella storia del razionalismo strutturale italiano ad esempio Riccardo Morandi, e specialmente Sergio Musmeci, hanno rappresentato un’ingegneria di puro progetto in cui la fase di cantiere era considerata ancillare rispetto a quella ideativa e di calcolo. Il Ponte sul Basento di Musmeci, con le sue irrequiete forme plastiche nate da una interpretazione innovativa del sistema di calcolo, è un esempio evidente di questa attitudine; un’opera straordinaria, senza dubbio, ma talmente costosa da non aver avuto ulteriori sviluppi. Sul fronte opposto invece Silvano Zorzi, per cui il cantiere e le necessità tecniche ed economiche dello stesso non dovevano essere disgiunte dal tavolo da disegno e dal calcolo, tanto che l’opera più famosa di Zorzi, il Ponte sullo Sfalassa sulla Salerno-Reggio Calabria, nasce proprio dalle esigenze di realizzazione. Nervi rappresenta una rara sintesi tra i due aspetti, una sintesi che arriva a piena maturazione nelle opere romane per le Olimpiadi del 1960. Il Palazzetto dello Sport, lo Stadio Flaminio, il Palazzo delle Sport ed il Viadotto di Corso Francia non solo sono progettate da Nervi, ma anche realizzate dall’impresa di costruzioni di cui è titolare (la “Ingg. Nervi e Bartoli”) tra l’altro dopo aver vinto una gara e le gare, ieri come oggi, si vincono con un’offerta economica vantaggiosa per la committenza. Il successo negli appalti è spiegato da quello che Poretti e la Iori chiamano il “sistema Nervi” che consiste in un innovativo modo di costruire le grandi strutture attraverso dei procedimenti sostanzialmente artigianali: il ferrocemento e la prefabbricazione a piè d’opera. Il Palazzetto dello Sport, costruito proprio con queste tecnologie, è costato 200 milioni di lire, una cifra molto bassa per l’epoca, ed è stato costruito in appena sette mesi e ciò grazie anche ad una organizzazione del cantiere ferrea, in cui mentre venivano realizzati in opera i cavalletti, in contemporanea a terra venivano gettati sui casseri i 1620 pezzi prefabbricati della cupola. Nella mostra campeggia un grande plastico del Palazzetto in costruzione con cui i curatori riescono a restituirci sia la “forma Nervi” che il “sistema Nervi”, inscindibili l’una dall’altra e finalmente restituiti con sfizioso piglio didattico al pubblico. La domanda viene spontanea: cosa sarebbe oggi del “sistema Nervi”? Ben poco, ed è triste ammetterlo. Il costo della mano d’opera, aumentato a dismisura rispetto a cinquant’anni fa, renderebbe improponibile il ferrocemento, che ricordiamo era ottenuto attraverso una fittissima armatura di ferri sottili con un getto ridotto al minimo. Lo stesso dicasi per la prefabbricazione a piè d’opera, laboriosa e complessa, difficilmente realizzabile dalle maestranze generaliste delle odierne imprese di costruzioni. Notizie da un mondo antico quindi, un mondo diametralmente opposto a quello attuale in cui processi standardizzati ed industrializzati, a parte casi rari, non riescono a produrre grandi opere, sia per dimensione che qualità. Chiunque opera nell’ingegneria, chiunque viva la costruzione, si rende conto perfettamente di tutto ciò, come si rende conto che le sempre più accerchianti normative inibiscono sempre di più l’inventiva, relegandola ad una qualità dei bei tempi passati. La capacità non solo costruttiva, ma anche imprenditoriale di Nervi, da lui trasmessa non solo con le opere ma anche con testi come “Costruire correttamente” (1964), permette quindi oggi per contrasto di ragionare sulla situazione attuale in cui ormai sembra definitivamente arrivato a compimento quel processo che ha trasformato la tecnica del cemento armato in Italia da sapere di avanguardia a quello che giustamente Poretti definiva, in un Casabella di alcuni anni fa, “sapere di routine” (n. 739; 2006). La mostra va vista quindi come un appello a scardinare l’attuale situazione, tecnica e politica, per cui se rinascesse un Nervi sarebbe impossibilitato ad esprimersi. L’altra idea su cui si organizza la mostra è quella di estrapolare dalle opere dei frammenti di forte impatto plastico capaci di sintetizzare in veri e propri slogan l’opera di Nervi, in altre parole delle icone. Carlo Olmo, uno dei curatori, ammette che l’idea è strumentale per fornire un dispositivo semplice ed immediato per comunicare con il pubblico e l’allestimento (curato da Alessandro Colombo e Paola Garbuglio) è concepito, con grazia e misura, proprio in tal senso. Quella iconografica è per Nervi un’interpretazione nuova. Di solito infatti è Riccardo Morandi ad essere ricordato per le sue icone, prima tra tutte la “trave bilanciata”, così l’ha visto Bruno Zevi e così è ricordato. Ma le icone funzionano anche per Nervi. Possiamo infatti estrapolare i cavalletti, pezzi di volte nervate o ondulate, i pilastri a superficie rigata ed i solai a nervature isostatiche ed i contrafforti plissettati senza che questi ultimi perdano il loro senso. Ciò è indicativo e deve far riflettere. Nervi infatti, sebbene lo dissimuli con maestria, è un progettista che tende al compromesso: è classico e di avanguardia allo stesso tempo, le sue cupole possono considerarsi un compromesso sintetico tra il sistema voltato romano e quello nervato gotico, così il senso delle sue forme, sebbene tenda alla sintesi plastica, volontariamente non la raggiunge mai del tutto, tanto che è ancora possibile da essa estrapolare i singoli elementi (le icone) in una loro parziale ma chiara autonomia. Per ultimo un’annotazione. L’anno trascorso è stato l’anno di Nervi: mostre a Bruxelles, Venezia e Roma, pubblicazioni, libri e quant’altro. C’è da chiedersi il perché di un fenomeno le cui ragioni a mio avviso coinvolgono l’attuale architettura. Da più parti sentiamo infatti un disagio nei confronti di quell’architettura che ormai da diversi decenni ha preferito gli involucri alla struttura, nei confronti di quell’“architettura vestita” che è diventata il marchio di fabbrica delle archistar. Le nude architetture di Nervi, dove ciò che appare è la struttura, dove i finiti sono ridotti al minimo, dove la forma è chiara ed immediata, dove gli interni corrispondono da un punto di vista stilistico agli esterni, appare così l’antidoto, sebbene vintage, ad una stagione, quella dell’architettura tutta rivestimento, che ormai ha fatto il suo tempo.

Valerio Paolo Mosco (Roma, 1964) architetto e critico di architettura, ha insegnato a Venezia, Brescia, Ferrara, Chicago e allo IED di Roma. È autore di molteplici pubblicazioni tra le quali: ”Architettura Contemporanea, Stati Uniti – West Coast”, 2008 e ”Architettura Contemporanea, Stati Uniti – East  Coast”, 2009 edito da Motta Edizioni Sole 24 Ore; “Steven Holl”, pubblicato da Motta Edizioni Sole 24 Ore (edizione inglese); ”Sessant’anni di ingegneria in Italia e all’estero” edito da Edilstampa, 2010.