area 114 | São Paulo

Per realizzarsi, il Brasile ha bisogno di lirismo, la capacità di dimenticarsi, e di virtù, la capacità di superarsi. La sua architettura moderna è una lezione magistrale di queste due istanze redentrici.
Anísio Teixeira (pedagogo brasiliano, 1900 -1971)

São Paulo: trasformazione e conservazione per una cultura cosmopolita

Claude Lévi-Strauss, nella sua raccolta di documenti fotografica su São Paulo (relativa al periodo tra il 1935 e il 1937), mise in guardia sull’inutilità dell’atteggiamento nostalgico nei confronti di quanto non è più possibile ritrovare nel momento presente, evocando quella sensazione che ci stringe il cuore nell’attimo in cui, al ricordo o alla vista di certi luoghi, siamo sopraffatti dall’evidenza che non vi sia al mondo nulla di stabile o di permanente al quale poterci aggrappare.
A provocare nel grande antropologo una simile sensazione di generale ineluttabilità può essere stata l’eccessiva mutazione e trasformazione della stessa città di São Paulo, la metropoli che altrove era stata definita “la città con il più alto tasso di crescita al mondo”. Una realtà urbana che lo studioso è in grado di ritrovare solo nelle immagini conservate nella memoria e nelle sue fotografie. In effetti, le statistiche che descrivono tale processo sono impressionanti: nel 1872, São Paulo contava 31.385 abitanti, mentre nel 1890, dopo l’abolizione della schiavitù e quando si iniziarono a raccogliere i frutti dell’economia del caffè, i suoi abitanti passarono a 64.934. Nel 1900, agli albori del periodo repubblicano, la città contava già 239.820 abitanti; venti anni dopo, ai primi bagliori della modernità culturale, arrivava a 579.033, mentre dal 1940 al 1950 il numero quasi raddoppiò, passando da 1.326.261 a 2.198.096. La città conta oggi 11.244.369 residenti ed è capoluogo di una regione metropolitana con circa 20 milioni di abitanti. Sono trascorsi tre secoli tra la fondazione di São Paulo e la città che oggi riconosciamo come manifestazione urbana. Si tratta di una realtà che trae origine da un afflusso demografico risultante da una congiuntura sociale, economica e politica a cui hanno contribuito svariati fattori, quali la produzione di caffè destinata all’esportazione, la fine della schiavitù e della monarchia, l’avvio dell’industrializzazione interna e un’immigrazione senza precedenti. Tutto ciò ha portato all’instaurazione di una società dai tratti complessi. Tali eventi succedutisi tra la fine del XIX e i primi decenni del XX secolo hanno trovato espressione in una singolare e straordinaria modalità di espansione urbana: possiamo affermare che è la trasformazione il marchio distintivo di São Paulo, poiché, mentre cresceva orizzontalmente, la città andava riedificandosi sul medesimo tessuto urbano. In uno dei suoi studi dedicati alla città, Benedito Lima de Toledo presenta una successione di tecniche utilizzate nella costruzione degli edifici locali: la città originaria con murature in pisè (fango umido) venne sostituita dalla città con murature in terracotta e in seguito dalla città in cemento2. E tutto questo nell’arco di un solo secolo. Se associamo il considerevole aumento demografico alle modalità con cui i vari gruppi etnici si sono stanziati in questa regione e hanno dato vita a un processo di mutua contaminazione di usi e costumi, pur mantenendo i propri sistemi di valori e le proprie forme di occupazione urbana, possiamo elaborare un’idea di città che sfugge a quanti vi si accostano da semplici visitatori. Agli albori della sua crescita demografica, São Paulo accolse gruppi etnici provenienti da molte regioni del Brasile e del resto del mondo, dando vita a una consuetudine sociale che si diffuse rapidamente: ciascun gruppo tendeva a riconoscersi sulla base di una continua presa di coscienza delle reciproche affinità e divergenze, associando i propri comportamenti e modi di essere alle rispettive origini geografiche e culturali. L’analisi di tematiche simili si riscontra con frequenza nelle cronache e nelle opere letterarie dell’epoca, nelle quali presero corpo etichettature, stigmatizzazioni e pregiudizi, ma anche segnali privilegiati di natura identitaria. In una città la cui genesi storica passa attraverso correnti migratorie interne ed esterne, un’urbanizzazione e una crescita demografica esplosive, nonché un crogiolo di costumi coesistenti nello stesso spazio, indagare l’assidua presenza delle rappresentazioni delle diverse identità “straniere” rappresenta un tipo di approccio alla comprensione della singolare relazione che si è venuta a creare tra cultura e spazio urbano. São Paulo può essere vista come un mosaico di memorie di luoghi altri che ciascun immigrante o gruppo sociale ha portato con sé in qualità di valore della propria idea di città o di urbanità. Memorie di luoghi altri e memorie di ciò che ormai è stato distrutto forniscono la linfa vitale a una città che, pur essendo concreta, è anche rappresentazione di altre città e culture. Alcuni gruppi sociali, chiamati a vivere in una città continuamente nuova, hanno cercato i propri esclusivi luoghi di auto riconoscimento. Tuttavia, considerando le dinamiche urbane, la stessa idea di permanenza e di identificazione con lo spazio urbano non poté essere duratura, soprattutto per le classi popolari, molto vulnerabili al processo di allontanamento da un tessuto urbano. A São Paulo si venne così a creare un cosmopolitismo di matrice popolare, all’interno del quale la condivisione del vissuto consentiva di fuggire dal dolore dell’esilio all’interno della grande metropoli. La conoscenza dell’esperienza dell’altro, dello straniero, costituiva inoltre una forma mediante la quale riconoscersi nelle stesse (e perennemente avverse) condizioni. Quando, negli anni Venti,  la città inizia a crescere verticalmente, si intensifica il processo di demolizione e ricostruzione. Il primo “grattacielo” cittadino, l’Edificio Sampaio Moreira (1913-1924), fu progettato in cemento armato dall’architetto Cristiano Stockler das Neves su 13 piani e 50 m di altezza. L’Edificio Martinelli, costruito tra il 1925 e il 1929, con i suoi 25 piani e una superficie totale di 46.123 m2 è il simbolo di questa nuova era. Ambedue gli edifici sono giunti integri fino ai giorni nostri e costituiscono pertanto un’eccezione alla regola della continua trasformazione. Secondo Aldo Rossi, le permanenze rappresentano un passato che continuiamo a vivere. Noi aggiungeremmo che si tratta di un passato che continua a offrire lezioni di urbanità che non cessano di essere attuali. La densità storica di un edificio non si riduce alla sua mera età, ma si misura con la sua capacità di rendersi attuale, di costruire una relazione qualitativa con il tempo: in altre parole, anziché consumarsi, un edificio si contemporaneizza. Alcune isolate esperienze di edifici moderni nel settore centrale di São Paulo, realizzate in gran parte negli anni Cinquanta, hanno confermato questa accezione estesa di permanenza, poiché hanno portato, in una visione di insieme, alla realizzazione di un sottosistema urbano, localizzato nel cosiddetto Centro Novo: un’area di espansione collocabile ad ovest del nucleo cittadino originario, identificabile nel settore compreso tra la valle del fiume Anhangabaú, l’Avenida São João, l’Avenida Ipiranga (e le adiacenze alla Praça da República), l’Avenida Consolação, la Rua Xavier de Toledo e la Praça Ramos. In quest’area si trovano le maggiori permanenze costruite nel periodo più florido dell’economia del caffè, alla fine del XIX secolo, oltre ai principali grattacieli modernisti della metà del XX secolo. Tra questi ultimi si distinguono i cosiddetti edifici città, complessi che promuovono relazioni che sono proprie di un contesto urbano, implementate dalle molteplici funzioni (attività commerciali, servizi e residenze) e dalle proposte di morfologie che stabiliscono nuovi percorsi pedonali sovrapposti ai tracciati viari esistenti. All’interno di quest’area perimetrale esistono almeno venti edifici (Edifício Eiffel, Edifício Copan, Edifício Itália, Edifício Conde Silvio Penteado, Edifício Louvre, Conjunto Zarvos e Ambassador, Galeria Metrópole, Edifícios Esther e Arthur Nogueira, Galeria Califórnia, Galeria Louzã, Galeria das Artes, Galeria 7 de Abril, Galeria Ipê, Galeria Nova Barão, Galerias Itá e R. Monteiro, Galeria Guatapará, Grandes Galerias, Conjunto Presidente, Galeria Olido e Galeria Apolo) costruiti con gallerie di transito che ospitano servizi e attività commerciali sul livello terreno: si tratta di vere e proprie strade interne all’edificio privato, collegate alle vie di passaggio pubblico e tra di loro, che offrono percorsi pedonali alternativi e creano una ricca trama di interrelazioni tra la città e l’architettura. Gli edifici Copan (1951), di Oscar Niemeyer, e la Galeria Metrópole (1959), di Salvador Candia e Giancarlo Gasperini, sono due notevoli esempi in tal senso, i quali, dopo aver sofferto abbandono e degrado fisico, sono ora oggetto di un recupero che permetterà di dimostrare le rispettive potenzialità di attualizzarsi e di impartire lezioni di urbanità a una metropoli che vuole essere sempre nuova. L’Edificio Copan è uno dei simboli del paesaggio urbano di São Paulo. Il suo volume a corpo unico e curvilineo, articolato in una struttura a lamine orizzontali con funzione di schermo solare, ospita 1600 appartamenti con circa 5000 residenti distribuiti su 30 livelli, e presenta una morfologia differenziata caratterizzata da una generosa permeabilità: le sue gallerie distribuite in lieve pendenza favoriscono un aggiustamento di livello con le vie circostanti. La Galeria Metrópole è definita da una torre di 23 piani destinata a uffici e posta su una struttura di 5 piani, disegnata come se fosse un isolato urbano in verticale:  un giardino interno scoperto (quasi una piazza), circondato da negozi con vetrine e una sala cinematografica (oggi dismessa).  La Galeria Metrópole, con un lato che dà sulla Avenida São Luiz e sulla Praça D. José Gaspar (che ospita la Biblioteca Mário de Andrade), possiede anche un accesso sulla Rua Basílio da Gama che crea un collegamento diretto con la Praça da República. I due edifici funzionano quindi come un centro di confluenza e di irradiazione di percorsi pedonali. Dall’edificio Copan si può accedere alla Galeria Metrópole passando ad di sotto dell’Edifício Conde Silvio Penteado e attraversando l’Avenida São Luiz. Il percorso, per quanto breve, è tuttavia emblematico ai fini di ciò che si intende dimostrare in questa sede: la ricezione di moderni principi di architettura e di urbanismo nella città di São Paulo è avvenuta in un contesto urbano consolidato, rendendo necessaria la creazione di una interdipendenza tra urbanistica e architettura partendo dalle permanenze già esistenti.

Luís Antônio Jorge Architetto e urbanista Professore presso la Facoltà di Architettura e Urbanistica della Università di São Paulo. Coordinatore del settore “Progettazione, Spazio e Cultura” del Programma di Post-laurea della FAU/USP.