area 130 | gathering places

A volte basta poco, anche un solo spunto, una curiosità improvvisa, a dare inizio ad un percorso di ricerca. È accaduto nel 2009 con un intervento1 sulle pagine di questa stessa rivista in cui, a partire da un’analisi dei linguaggi architettonici propri dei luoghi del commercio, ho cominciato una riflessione sul tema dei nonluoghi attraverso le relazioni tra spazio, funzione, forma e linguaggio. Le ricerche2, dall’analisi intrapresa, sono proseguite verso la definizione di un inedito modello di “luogo”, alternativo ai “nonluoghi”, proprio dei contemporanei modi relazionali, sia essi reali che virtuali, con cui declinare gli odierni spazi della collettività, plurifunzionali e atopici, privi di una propria specifica identità, se non quella di seguire e perseguire la compresenza di idee e comportamenti, la velocità, l’effimero, la temporalità, a partire da un tema o una funzione prevalente.

Il materiale prodotto dal gruppo di ricerca che ho coordinato è stato poi raccolto in un libro3 che interseca il fenomeno architettonico con speculazioni di antropologia, sociologia, economia, filosofia del linguaggio e con le frontiere più avanzate dell’informatica applicata e della realtà virtuale intesa come nodo di relazioni, sistema di comunicazione e non come mera rappresentazione.
Il bilancio di quanto accaduto, in questo breve lasso di tempo, evidentemente provvisorio in quanto proprio di un processo in evoluzione, non soddisfa le aspettative, certamente elevate, pur mostrando significativi passi in avanti. Nel mentre la ricerca elabora sempre maggiori e più stimolanti riflessioni sul tema o modelli applicativi – e ne è una prova la proposizione del tema di questo numero di Area – la prassi progettuale diffusa, quella che disegna l’ambiente in cui viviamo, rimane troppo spesso ancora a servizio del “mercato”, delle sue pressioni e quindi dell’aspettativa di prodotti tranquillizzanti negli esiti e nell’evoluzione.
A supporto delle proiezioni della critica e degli studi scientifici possiamo tuttavia riconoscere un timido cambio di tendenza: opere e realizzazioni che danno la precisa sensazione che è possibile fare proprie le ricerche e tradurle in progetto, ascoltare gli utenti, da cui evidentemente proviene una richiesta pressante di prestazioni e valori capaci di adeguare i luoghi collettivi, dando forma costruita alle aspettative del quotidiano. Centri commerciali e outlet che svestono abiti dagli stili del passato e, senza cercare affannosamente improbabili forme del presente, promuovono invece relazioni e interazioni tra spazi e fruitori, tra territorio e manufatto architettonico, tra accessibilità e mezzi di trasporto; luoghi di sosta o di transito che definiscono ambiti di accoglienza o di attesa adeguati alla psicologia dei viaggiatori superando schemi funzionali e distributivi obsoleti e stranianti; nuovi modelli di infrastrutture cercano di mediare il passaggio tra il paesaggio e la sua modificazione, tra lo spazio urbano e l’attesa del privato, del domestico. Esempi di un processo in atto che evidentemente non solo ha compreso, pur se tardivamente, le critiche sollevate sulla perdita del senso reale di “collettività”, ma ha anche valutato la necessità di andare incontro alle nuove forme di relazione sociale e di comunicazione per riuscire a coniugare strategie di marketing e soddisfacimento di bisogni, promozione di prodotti e, nel contempo, di idee e di accrescimento culturale. Questo a partire da nuove forme di linguaggio ed espressione, considerate talvolta marginali o di moda, che invece oggi caratterizzano le nostre vite: canali di comunicazione, interazione e promozione di idee e prodotti che si sono evoluti in questi ultimi anni e che appartengo al cosiddetto mondo immateriale, a logiche virtuali dell’informatica, che hanno definitivamente trasformato le nostre relazioni e finanche i comportamenti fisici, le abitudini, le gerarchie di valore. Gli spazi di collegamento, di connessione e di relazione che ci circondano assorbono tali variazioni relazionali e, nei migliori casi, si adeguano ad esprimere sensi non definitivi ma in evoluzione, dando forma non tanto alle funzioni ma alle ragioni che le sostanziano, adeguando linguaggio e morfologia, composizione e distribuzione, alle necessità fisiche e psicologiche di coloro che li utilizzeranno.
Non più spazi per “utenti” ma luoghi in cui consentire di essere protagonisti e artefici di ambienti da “usare”, da trasformare e con cui esprimersi con creatività; veri ambiti di relazione, da progettare con la propria presenza, con l’uso e la frequentazione, definendoli e adeguandoli alle proprie esigenze, umore e carattere.
L’obiettivo è di conformare spazi flessibili e mutevoli, dove sperimentare sensazioni ed emozioni e non dove subire stimoli indotti o obbedire a comportamenti codificati, dove incrementare gli incontri e l’affermazione delle proprie scelte individuali e non dove amplificare le proprie solitudini attraverso l’iterazione di ritualità posticce, dove comunicare e conoscere, dove studiare e mettere in gioco le proprie esperienze vissute. In definitiva spazi reali, fisici e tangibili, in cui riuscire a ricostruire il dinamismo, la flessibilità e la creatività insita nei “luoghi virtuali” che oggi definiscono e condizionano i nuovi sistemi di relazioni sociali e di comunicazione.
Tali luoghi privi di sostanza materiale, nati inizialmente sulle consuetudini e sulla comprensione del mondo, plasmati dall’esperienza e dalla conoscenza sensoriale, si sono poi evoluti e consolidati in una dimensione mentale più che fisica, di rapporti aperti e liberi più che di gerarchie sociali. “Piazze” intangibili conformate sulle proprie abitudini, costruite a partire dai limiti naturali degli spazi di incontro, del commercio, dell’informazione, degli affari, della cultura e della creatività, a disposizione dell’uomo4.
Cyber-luoghi, come spesso sono stati definiti, che oggi invece, da emanazione della realtà, tornano su di essa ad influenzarla e a modificarla. È quindi la realtà materiale che oggi non può fare a meno dell’interazione appresa nella dimensione virtuale, scambio tra cose e cose, tra persone e persone, e tra cose e persone, a cui siamo ormai abituati. L’interattività implica, infatti, la possibilità di scegliere, di costruire autonomamente il sistema di azioni e informazioni di cui si necessita, conformando, a proprio piacimento, oggetti o spazi. Accettando o rifiutando contatti e rapporti, intimità e solitudini. Il fruitore, da spettatore passivo chiede oggi di diventare artefice delle scelte che intende fare e del carattere dell’ambiente in cui desidera vivere. Una interattività reale, e non usata come mero slogan, può condurre a luoghi diversi da fruitore a fruitore, di giornata in giornata, insomma “progettati” di volta in volta da ogni visitatore.
È evidente che la società odierna, postmoderna o già oltre il postmoderno secondo recenti studi, richiede spazi in cui vivere, con soddisfazione, qualsiasi condizione, sia di anonimato volontario, sia di partecipazione attiva, scegliendo se interagire e quando, per esprimersi o per comunicare con altri. In fondo i nonluoghi, con le loro deformazioni della realtà, con la banalizzazione dei sistemi relazionali, hanno involontariamente assecondato e dato forma al mutare delle attese della società ben più dei più nobili “luoghi”, prodotti da una architettura, per anni, sempre più distante dai desideri elementari, ma condivisi, dei singoli individui. Le tecnologie informatiche e multimediali odierne, invece, non hanno cancellato il rapporto tra le persone, lo hanno semplicemente mutato: la piazza virtuale rispetto quella reale non è più solo il luogo che accoglie le individualità ma è anche la vetrina con cui mostrarsi agli altri e, attraverso precisi canali di comunicazione, filtrare i rapporti. In tal senso l’individualità non è intesa come solitudine in quanto non esclude il contatto con il resto del mondo5, il dare e l’avere, il donare ed il ricevere, scegliendo di mostrare di sé solo quello che si vuole condividere con il resto della comunità che vive i medesimi luoghi, virtuali o reali che siano.
Le potenzialità dell’interazione tra uomo e spazio, tra conformazione fisica di questo e scelte personali, può quindi riferirsi ai comportamenti propri della virtualità, suggerendo una partecipazione diretta del singolo, affinché la parte privata, che si vuole demandare al pubblico, sia controllata e misurata direttamente dall’utente e non filtrata da strategie imposte.
Chi progetta non può più arroccarsi nei propri confini disciplinari e perdere di vista quindi le potenzialità, compresi i rischi, delle modalità di relazione desunte dal mondo immateriale del web e degli strumenti con cui ad esso si partecipa. L’obiettivo è di annullare confini tra esperienze considerate distinte, rendere personali ed interattivi i luoghi collettivi, espandere il senso di appartenenza e del privato, permettere cioè agli spazi dell’architettura, che già di per sé realizzano un’emozione sensoriale, cognitiva e percettiva complessa e completa, di assecondare sogni e speranze in tempo reale, traducendo la tecnica in eventi utili alla significazione e declinazione, in tutte le sue forme, dello spazio da abitare.
Assecondando tale percorso eviteremo nuovi nonluoghi, e costruiremo luoghi di interazione e scambio, spazi che rimandano ad altri flessibili e adattabili e non definitivi e assoluti, in cui esaurire ogni azione desiderata o richiesta. Ambiti carichi di personalità, non più concentrati asettici di funzioni dove assolvere solo bisogni, ma luoghi significanti dove trascorrere in maniera creativa e libera il proprio tempo. È compito di chi progetta e di chi fa ricerca spostare l’attenzione dalla tipologia e morfologia del luogo alla sua flessibilità e adattabilità, dalla comunicazione diretta tra luogo e utente alla possibilità di tessere relazioni e connessioni inedite con lo spazio in cui si è, e nel contempo con altri spazi analoghi dotati delle stesse potenzialità, dalla delimitazione e perimetrazione di funzioni definite alla apertura verso esigenze e bisogni attraverso i quali comprendere la realtà e comunicare il proprio essere tra gli altri, dove coltivare l’utopia di un ambiente adatto a tutti e capace di raccontare adeguatamente il proprio tempo.

Paolo Giardiello, architect, has been associated professor in furniture and interior architecture since 2002. From 1995 to 2006 he has been invited every year to teach advanced and specialization courses at academic and research institutions in Central and South America; he is at present manager of international relations between academic institutions with Uruguay and Mexico and collaborates with research projects conducted in Argentina and Cuba.
From 2008 to 2012 he has been chairman of the council for cultural activities of the architecture faculty of Naples, and as of 2013 he is a member of the junta of the department and the commission for cultural activities of the DiARC Department of Architecture. His current research projects centre on specific disciplinary issues linked to living and the domestic space, the use of public and collective places and the languages of contemporaneity in architecture.

Giovanni Fabbrocino architect, photographer. It is a lover of Matter in Interior Architecture and Exhibition Design at the Department of Architecture (DiARC) of the University of Naples “Federico II“, where he works in educational activities and research projects with Paolo Giardiello. Freelancer, has participated in numerous photo exhibitions, won competitions and published in magazines and photo books.