“Questa casa non è un edificio: è un pensiero”. “È un luogo dove il silenzio ha un’architettura e il paesaggio una voce”, Emilio Ambasz.

È il 1975, e un trentaduenne argentino di nascita e cosmopolita di adozione, concepisce un progetto capace di dialogare coi maestri dell’architettura e con i dibattiti più avanzati sul ‘fare architettura’. Si chiama Emilio Ambasz, laureato alla Princeton University in tempi record, che solo 3 anni prima, nel 1972, è divenuto celebre in tutto il mondo per aver organizzato al Museum of Modern Art of New York (MoMA) - in qualità di Curator of Design per il Department of Architecture and Design dal 1969 al 1976 - anche la mitica mostra “Italy: the new domestic landscape”, portando alla ribalta mondiale il design italiano.

In quegli anni, il giovane architetto si era guadagnato grande e precoce fama grazie a una serie di mostre, dibattiti e conferenze brillanti al MoMA, con le quali aveva messo in discussione tutto: dal concetto stesso di “paesaggio domestico” ai fondamenti filosofici delle istituzioni culturali come il museo e l’università. È il 1975, e al progetto della Casa de Retiro Espiritual viene immediatamente assegnato il primo di una lunga lista di premi e riconoscimenti: il prestigioso Progressive Architecture.
Da subito si presenta in tutta evidenza come un’opera che sfida le convenzioni dell’abitare.

Il progetto diventa un punto di accesso privilegiato al mondo di Emilio Ambasz: mentre gruppi come Superstudio e Archizoom proiettavano un futuro distopico in cui abitare la Terra sembrava impossibile, Ambasz reagisce avvolgendo gli ambienti nella terra, cercando redenzione in un’architettura che è insieme monumentale e introspettiva. La Casa de Retiro Espiritual si propone sia come manifesto che come opera compiuta, al contempo eccezionale nelle sue qualità enigmatiche e ‘Pietra di Rosetta’ per interpretare l’intera pratica di Ambasz ed emblema della sua poetica architettonica.

Alla Casa de Retiro Espiritual - è stato scritto - ci sono muri senza un dentro. Come si può comprendere l’opera di un architetto la cui opera più autobiografica è una casa le cui facciate non racchiudono stanze e le cui stanze sono quasi senza facciate?”.

All’esterno, la struttura è definita da due enormi pareti bianche svettanti che si incontrano ad angolo retto. Non c’è copertura.
Un meraviglioso belvedere posto quasi alla cima delle mura si affaccia sospeso su 600 ettari di verde immersi nelle verdi colline della Sierra Morena.
Le grandi pareti aperte a libro sono solcate da due scale gemelle ancorate alle pareti e sporgenti sul vuoto, accompagnate da un corrimano ondulato che è anche canale di acqua: la sorgente, posta al vertice, si riversa verso il basso percorrendo diagonalmente le murature per raccogliersi nello spazio quieto del patio, protetto dal sole e dal vento.
L’architettura scompare nel paesaggio: sul cortile ipogeo si affacciano gli ambienti principali della casa, definita da muri sinuosi. Il tutto è illuminato da lucernari che sfruttano gli effetti mutevoli della luce naturale.

Cosa si può dire - si chiesero in molti - di una casa composta da una serie di camere da letto e stanze di ricevimento coperte di terra, tutte perfettamente illuminate?”.

Dal punto di vista progettuale - afferma Barry Bergdoll, Meyer Schapiro Professor of Art History and Archaeology alla Columbia University - la casa è uno dei primi esempi ad attirare l’attenzione per l’uso della vegetazione e della terra come strumenti di isolamento termico, ben prima che queste strategie fossero inserite nel discorso globale sulla sostenibilità.
Ambasz ha stratificato l’edificio nella terra, servendosi di una combinazione di incisioni e terrapieni, in un insieme di tecniche dove la praticità della protezione termica contro il calore estremo del sud della Spagna incontra la poesia di un’architettura come opera del paesaggio”.

La Casa de Retiro Espiritual è un'opera che lavora sui margini tra paesaggio e costruito, tra il visibile e l'interiore, tra la materia e il mito: un’opera-manifesto, che pone l’architettura non come tecnica o stile, ma come rito.

Secondo Ambasz, un progetto architettonico è un insieme di rituali che, come nelle favole, raccoglie e dà forma a emozioni e sentimenti profondi e universali. "Considero l'architettura come la ricerca di una dimora spirituale," afferma. "Un architetto può essere il guardiano del deserto delle città create dall'uomo, o il mago che crea forme eterne. Il contesto in cui l'architetto è chiamato a operare può cambiare, ma il compito rimane lo stesso: dare forma poetica al pragmatico. Se un'opera architettonica non tocca il cuore", sostiene Ambasz, "è solo un altro edificio".