26 ore di lavoro. È il tempo necessario per produrre un radiofonografo della collezione PRIMO, costituita da cento pezzi numerati, in noce canaletto, dotati della migliore tecnologia contemporanea che, a 55 anni dal primo progetto firmato da Achille e Pier Giacomo Castiglioni lanciano il marchio Brionvega in una nuova dimensione internazionale. Ne parliamo con Maurizio Cini, AD di Sim2 e del marchio Brionvega.

Cosa vuol dire per voi riaffermare il valore del made in Italy?
Abbiamo ricevuto in eredità oggetti straordinari, caratterizzati da una fortissima personalità, ai quali ci siamo accostati ritenendo di dovercene prendere cura con modalità e approcci più consoni all’epoca nella quale viviamo. Siamo consapevoli di essere custodi di vere e proprie opere d’arte e come tali devono essere trattate. Un’eredità, quella di Brionvega, che racchiude in sé lo straordinario periodo degli anni Sessanta/Settanta, dove le opere di persone quali Mario Bellini, Marco Zanuso, Richard Sapper o di Achille Castiglioni (insieme al fratello Pier Giacomo, mancato troppo presto) hanno creato le condizioni per un vero e proprio Rinascimento del Paese, capace di essere leader nei mercati mondiali con produzioni e oggetti ad altissima innovazione tecnologica ed estetica, e grazie a quelle abilità progettuali e di funzionalità che da sempre sono i tratti fondanti del made in Italy.

Il radiofonografo di Brionvega è uno di questi prodotti, presente nei più importanti musei del mondo a partire dal MOMA di New York e in tutti i libri di arte moderna e design…
Esatto, venne studiato per assumere, di volta in volta, conformazioni differenti in base alla funzione richiesta e si presenta come un gioco modulare, un oggetto che si sposta nell’ambiente, dotato di due casse acustiche che offrono più combinazioni possibili: per un ingombro minimo, posizionabili sopra al corpo centrale per ascoltare la radio; ai lati, appese sui fianchi, per ascoltare i vinili; staccate, appoggiate al pavimento, in giro per la stanza per sfruttare al meglio la stereofonia. Ci siamo subito chiesti se uno strumento del genere avesse ancora senso oggi e la risposta è stata un convintissimo sì! Abbiamo dunque iniziato a collaborare con la Fondazione Achille Castiglioni, con i figli Carlo e Giovanna, per rilanciare il radiofonografo, rispettando naturalmente quelle caratteristiche fondanti del prodotto che lo rendono una inimitabile icona del design italiano. E cercando di coniugare la produzione con un business ragionato. Si tratta di un prodotto molto complesso e soprattutto complicato da produrre, poco compatibile con una attività di alto artigianato industriale che, così come era negli obiettivi dei loro creatori negli anni Sessanta, avrebbe dovuto trasformarsi in produzione di serie per la più ampia diffusione possibile. La levigatura dei pannelli in legno, la lucidatura a mano dal piedistallo, ricavato da un processo di fusione e stampo a sabbia; i pulsanti fresati a macchina e rifiniti a mano, cosi come i fori delle scocche, verniciate - sempre a mano - in più passaggi; l'assemblaggio dei diversi componenti oltre all'applicazione delle serigrafie.

Come ha risposto il mercato in questo periodo di lockdown?
Sorprendentemente bene! Abbiamo avuto molte richieste, e moltissime di queste arrivavano dall’estero, dal MOMA di New York, dalla Cina, dalla Corea, dall’Australia. Il meccanismo è quello del passaparola, che riguarda certamente una quota di mercato molto, molto particolare, assolutamente di nicchia ed estremamente selezionato, e sul quale intravediamo dei margini che riteniamo molto interessanti”.