area 127 | identity of the landscape

Archea Associati, Antinori Winery - photo by Pietro Savorelli

Tra le molte rassegne della Biennale di Venezia ve ne sono state due, distanti oltre vent’anni, il cui messaggio, espresso in sintesi fin dalla titolazione, torna alla mente con evidenza ogni qual volta si affronti un qualsiasi tema urbano o si operi in un qualunque contesto consolidato ed è “La presenza del passato“ proposta e diretta da Paolo Portoghesi nel 1980, e nel 2000, “Less aestethic more ethics“, immaginata da Massimiliano e Doriana Fuksas quale esortazione di una presa di coscienza collettiva nei confronti del paesaggio contemporaneo. Tralasciando le differenze siderali di proposte che forse assumono “assieme” il valore retorico dell’ossimoro, conviene analizzare questi contributi in una nuova dimensione storica, comprimendone le distanze e rendendone utilizzabili contemporaneamente visione e contenuti. La “forzatura” critica che propongo risulta meno paradossale di quanto si possa ritenere se si proiettano entrambe le prospettive proposte – il valore della memoria e quindi dell’identità dei luoghi; l’esigenza per l’architettura di interpretare principi, programmi, necessità, piuttosto che le forme – nella trasformazione e nell’utilizzo dell’ambiente naturale. In effetti nei confronti del paesaggio e degli ecosistemi sottoposti a trasformazione non può essere concesso, in via di principio, l’indiscriminata
e superficiale alterazione di quell’equilibrio che il tempo, e quindi il passato, hanno costruito con tanta faticosa lentezza e, parimenti, non è pensabile adoperare quegli strumenti disciplinari, quali la composizione architettonica in senso classico che, se palesano la ricerca di armonia e coerenza alla scala dell’edificio, divengono inutilizzabili rispetto all’orizzonte del territorio. In sostanza per operare consapevolmente nel paesaggio occorre un alto senso di responsabilità orientato a ridurre il consumo di suolo e minimizzare il rischio della modificazione genetica di un ambiente naturale che nel processo di antropizzazione ha conquistato, come nel caso di gran parte del paesaggio italiano, una nuova straordinaria naturalità. Il rispetto e la necessità di preservare questo patrimonio ambientale impongono allora il prevalere di una coscienza critico-etica sulla dimensione estetica, o meglio definiscono l’opportunità per costruire una nuova estetica disegnata e misurata sul valore etico delle diverse proposte. Conseguentemente l’architettura alla scala del paesaggio non può essere “il gioco sapiente – e privato – dei volumi sotto la luce”, per usare solo una delle innumerevoli e più conosciute definizioni del progetto, quanto la ricerca di un’interpretazione dei luoghi proposta e narrata come esperienza e finalità collettiva.