area 108 | Mexico City

Juan O‘Gorman, progettista della casa-studio di Diego Rivera e Frida Kahlo a San Angel a Città del Messico, disse, a proposito della sua opera, che “la casa fece molto scalpore perché mai fino ad allora si era vista in Messico una costruzione la cui forma derivasse totalmente dalla funzione”. La piena adesione ai principi dell‘architettura funzionalista – la forma segue la funzione – furono più volte dichiarati pubblicamente dall‘architetto messicano che, in maniera ancora più esplicita, affermò che “l‘architettura risponde alle necessità del momento con la tecnologia adeguata e la massima economia”. Naturale impostazione “razionalista” per un architetto formatosi negli anni venti – anni in cui fu pubblicato in Messico “Vers une Architecture” di Le Corbusier – impostazione che, secondo Diego Rivera, era segno di una chiara vena artistica, e che lo convinse a commissionargli la casa studio per lui e Frida in quanto “una cosa realizzata strettamente su criteri funzionali è anche un‘opera d‘arte”. Eppure oggi, dopo che il tempo e le vite di vari personaggi hanno scritto la trama affascinante e complessa di uno dei periodi più importanti della recente storia messicana, è possibile affermare che  l‘architettura costruita da O‘Gorman è andata oltre le sue stesse premesse, che il progetto cioè non si è limitato ad essere solo “forma della funzione”, espressione diretta delle nuove tecnologie e della loro corretta applicazione, e che il manufatto è diventato esso stesso forma del contenuto, segno estremo di sintesi tra significato e significante.
La casa di Diego e Frida infatti non è la semplice rappresentazione della funzione domestica e artistica dei due, ma è altresì il racconto, la materializzazione delle loro vite, della loro unione, del loro amore. Esito che travalica le intenzioni dichiarate dell‘architetto ma non estraneo alla sensibilità e alla profondità con cui egli seppe rispondere, a soli 26 anni e con l‘esperienza di una sola architettura realizzata, alle richieste di due dei più grandi artisti del suo paese.
O‘Gorman ha la consapevolezza del suo compito sin dall‘inizio, non a caso definisce pubblicamente Rivera colui che “sapeva insegnare ai Messicani cosa fosse il Messico”. Malgrado ciò, per realizzare la sua dimora, non immagina qualcosa di “tradizionale o vernacolare” bensì declina, estremizzandoli, i principi dell‘architettura razionale, andando oltre le soluzioni tecnologiche adottate da Le Corbusier per casa Ozenfant dieci anni prima – casa per un artista che è il naturale riferimento per il giovane architetto messicano – e introducendo in maniera originale, quanto rivoluzionaria, elementi propri di quella cultura autoctona, di quella coscienza popolare di cui il grande pittore era interprete. La casa realizzata in un lotto all‘angolo tra calle de Palmas e avenida Altavista, progettata nel 1931 e terminata nell‘anno successivo, in realtà sono due case-studio tra loro unite: una più grande e possente destinata a Diego, di 21 anni più grande di Frida e dalla corporatura massiccia e imponente, e l‘altra più piccola, si direbbe quasi minuta e fragile, come era la natura di Frida, unita alla prima solo da un ponte alla quota del solaio di copertura, percorso evidentemente più simbolico che funzionale. Lo studio di Diego, a doppia altezza, è aperto solo verso nord, dove la luce è quella giusta per l‘atelier del pittore, attraverso un‘enorme parete vetrata inclinata che prospetta sul retro del lotto, lontano dalla strada e dalla confusione; lo spazio di lavoro di Frida invece è aperto su tre lati, la luce può entrare a qualsiasi ora del giorno, dallo studio si può guardare verso l‘esterno e modulare la privacy e l‘intensità luminosa attraverso tende disposte lungo tutto il perimetro. Le differenze tra le due parti della casa sono evidenti, finanche le scale, pur entro linguaggi e soluzioni stilistiche proprie del Movimento Moderno, sono ispirate una alla solidità e l‘altra alla leggerezza, quasi all‘inconsistenza materica e alla imprevedibilità del percorso. Così come le vite dei due protagonisti, una diretta, volitiva, senza deviazioni e l‘altra spezzata costantemente dal dolore, dagli incidenti, dalle malattie. Il ponte è la sottolineatura poetica di due vite che per essere unite devono essere separate, indipendenti, il ponte non è un collegamento diretto, è un percorso articolato frutto di una scelta lunga e ponderata: bisogna salire attraverso scale esterne fino al terrazzo, passare da un corpo all‘altro esposti al sole o alle intemperie e giungere finalmente, riscendendo lentamente, negli spazi del quotidiano dell‘altro. Per il resto il linguaggio purista e le forme stereometriche ed austere ben si predispongono ad accogliere le opere della coppia, ricche di colori e figure reali e mitiche, gli oggetti della tradizione e i ricordi dei loro viaggi, al punto che l‘architetto, a differenza del linguaggio dello “stile internazionale”, rinuncia al bianco come colore predominante e utilizza, per le due dimore, il rosso e il blu, colori propri della tradizione vernacolare messicana. Non solo, a fronte di soluzioni tecniche essenziali al limite del “brutalismo” – impianti elettrici e idraulici a vista, cisterne e grondaie esterne – O‘Gorman perimetra il lotto con una recinzione in cactus ottenendo un contrasto evidente tra la casa, intesa come “macchina da abitare”, e lo spazio urbano da cui si separa attraverso una “natura locale” addomesticata e riutilizzata.
La casa è anche scena della dolorosa separazione tra i due artisti. Frida viene a conoscenza di una relazione tra sua sorella e Diego e abbandona per sempre San Angel. È il 1934, solo nel 1940, dopo aver ottenuto il divorzio, i due si sposano nuovamente e dal 1941, anno della morte del padre di Frida, la coppia va a vivere nella casa natale di Frida, la casa Azul a Coyoacán. Casa Azul è una tradizionale casa di Città del Messico, realizzata nel 1904 da Guillermo Kahlo e lentamente modificata nel tempo per adattarsi alle esigenze familiari. Quando Frida torna a  Coyoacán con l‘intenzione di stabilirsi definitivamente, Diego, di nuovo suo marito, attua delle modifiche all‘impianto originale con l‘intenzione, ancora una volta, di dare forma sia alle esigenze pratiche di una vita di coppia rispettosa delle necessità personali di autonomia, che di esprimere, attraverso la casa, i loro interessi comuni, le passioni per l‘arte, l‘archeologia e la cultura tradizionale. La casa viene decorata con elementi appartenenti alla cultura popolare, dotata di nuovi spazi per lo studio di Frida e per una camera da letto autonoma, realizzati con strutture in pietra vulcanica del Pedregal lasciata a vista. Il giardino inoltre fu arricchito di una fontana e di una piccola piramide a gradoni per l‘esposizione di idoli precolombiani e un locale per conservare  i reperti archeologici.
Due case quindi, entrambe espressione di legami affettivi e di scelte di vita più che di esigenze pratiche. In entrambe il linguaggio non è “stile” ma è il mezzo per raccontare una storia, la narrazione della vita di due artisti, la burrascosa avventura di un amore speso sullo sfondo di cambiamenti epocali, tra personaggi e artisti che hanno scritto la Storia – Trotsky, Breton, Gershwin, Eisenstein –, tra opere che ancora oggi raccontano di impegno sociale, passione politica, fede nell‘arte. Frida muore tra le mura colorate della sua casa paterna il 1954, tre anni dopo Diego Rivera, prima di morire, dona Casa Azul alla nazione messicana che la trasforma nel museo permanente di Frida Kahlo.

Paolo Giardiello, (Napoli, 1961), architetto, laureato nel 1987, PHD in Arredamento ed Architettura degli Interni. Dal 1999 al 2002 è professore a contratto di Architettura degli Interni presso la Facoltà di Architettura dell'Università degli Studi di Napoli "Federico II". Dal 2001 è professore associato di Architettura degli Interni presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Svolge attività di ricerca e ha pubblicato numerosi volumi e saggi sia in Italia che all’estero. Tra i più recenti Architettura contemporanea in Brasile, 2006; EMBT 1997/2007 10 anni di architetture Miralles Tagliabue, 2008; Smallnes. Abitare al minimo, 2009.