area 120 | Beirut

photo by Pietro Savorelli

Charbel Maskineh: Come valuta lo spazio urbano nel centro storico e nel resto della città?
Maroun El-Daccache: Lo spazio urbano del centro storico di Beirut è ormai condizionato da icone dell’architettura contemporanea progettate da architetti di fama internazionale come Rafael Moneo, Steven Holl, Jean Nouvel, Arata Izosaki, Zaha Hadid, al fine di conferire alla città e alla sua società una immagine moderna e contemporanea, competitiva a livello internazionale; una tendenza che mi fa ricordare, in un certo senso, la grandeur del mandato francese, Beirut città capitale moderna.
Ma l‘architettura delle icone, come dimostra l‘esperienza di molte altre città, ha completamente fallito soprattutto nella sua visione politica come risposta ai problemi urbani nei confronti della nuova generazione. Dubai e Abou Dabi, come altre città del golfo per esempio, rispecchiano questa realtà: sono città prive di ogni idea nuova, sia al livello urbano che architettonico. Mentre invece avrebbero potuto, come anche Beirut, suscitare un dibattito sulle questioni contemporanee architettoniche, urbane e territoriali.
Oggi la vera sfida consiste nel dare una risposta, attraverso una nuova architettura, a problemi urgenti di cui ormai nessuno vuole parlare. È necessario confidare in una nuova generazione di architetti capaci di ricreare una struttura urbana adeguata al futuro delle nostre città. Credo sia opportuno intervenire con progetti capaci di interpretare e colmare i bisogni della nostra società, evitando di creare architetture che diventano meri object design privi di ogni senso architettonico e che espletano la stessa funzione della chirurgia plastica.
C.M.: Perché noi libanesi non abbiamo fiducia nei confronti degli architetti connazionali? M.E-D.: Perché crediamo all’importazione, tutto è importato nella nostra cultura, il Master Plan del centro storico è la riproduzione di un modello già conosciuto: l’isolato, la speculazione…
Mentre invece la ricostruzione post bellica avrebbe potuto rappresentare l‘opportunità di trasformare il centro, e di conseguenza la città, con idee innovative... è questo genere di approccio che manca all’interno del piano attuale.
C.M.: Ma non ritiene che, nonostante tutte le critiche contro Solidere, l‘area del centro sia l’unica parte pianificata rispetto al resto della città?
M.E-D.: Beirut ha avuto molteplici piani regolatori che però sono stati eseguiti solo parzialmente; viceversa adesso con Solidere la pianificazione è rispettata in quanto frutto di un’unica visione politica. La città di Beirut è un amalgama di più realtà urbane dove il privato agisce fortemente sullo sviluppo speculativo della pianificazione.
Il piano di recupero del centro è un intervento molto classico. L‘aspetto critico non è architettonico poiché la qualità dei nuovi edifici è di alto livello, senza dubbio; ma il centro urbano risulta isolato, non integrato con le diverse parti della città. Un intervento urbano a questa scala e di questo rilievo sarebbe dovuto nascere da una visione rivoluzionaria, necessaria per poter avere una posizione competitiva nell‘area mediterranea. La ricostruzione, come si sta delineando attualmente, sembra tendere pericolosamente alla creazione di una nuova città di grattacieli e torri generando un fenomeno assimilabile all‘urban sprawl delle aree periferiche. Quale sarà l‘immagine finale della città? Un’altra città del golfo...?
C.M.: Cosa significa che il piano non è riucito a integrare le diverse parti della città?
M.E-D.: In questi ultimi quindici anni Beirut si è sviluppata in maniera molto caotica. Il piano della ricostruzione del centro storico è stato effettuato su un isolato chiuso all’interno di una dinamica urbana più complessa della quale non è riuscito a tenere conto. Chi abita i quartieri vicini al centro, ad esempio, è ancora costretto a usare l‘auto per raggiungere quella zona che, per come è stata riprogettata, crea paradossalemente un anello di chiusura su se stessa. La ricostruzione avrebbe potuto, e forse dovuto, riflettere e incarnare una visione urbana differente adatta alla nuova società che stava nascendo dopo decenni di sofferenze e di guerra. E questa sfida non è riuscita.

Maroun El-Daccache- Degree in Architecture, Istituto Universitario di Architettura di Venezia IUAV University, Venice 1987, PhD (Research Doctorate in Architecture), IUAV University, Venice 1992.
Part-time Professor in the Department of Architecture at the Lebanese University (1992-1993); Part-time Professor in the Faculty of Fine Arts at University Saint Esprit, Kaslik, USEK (1992-1997); Thesis Advisor in the Department of Architecture at the Lebanese American University (1995-1997); Editorial Director of “USEK ARTS” Review of Architecture (1997-1999); Full-time position in the department of Architecture at the Lebanese American University (since 1998); Final Project Co-Advisor at different Architectural Institutes, Schools and Universities in France, Italy, Germany, Spain and Poland (since 1998); Project manager for the Urban Planning Institute at the Lebanese American University (2000-2003); Coordinator of a collective research on the ideologies of the urban morphology of Beirut (2001-2003); Director of the Urban Planning Institute at the Lebanese American University (2003-2006); Chairperson of the Department of Architecture and Design at the Lebanese American University (since 2005); Member, Teaching Advisory Board, Villard International PhD, Venice University (since 2007).
He starts his professional activity since 1987 in Venice and on 1993 in Beirut. His work was published in different architectures magazines (Local and international) and was exhibit on several national and international exhibitions. His participated on several international and regional symposium and he have different texts and articles related to the Mediterranean City. He was visiting critic in several Universities, Seville, Granada, Las Palmas de Gran Canarias, Venice, Trieste, Granada, Cracow, Berlin, Tunis, and Morocco.