area 109 | art and architecture

architect: Luisa Lambri

Untitled (Sheats-Goldstein House, #14), 2007.  All photos courtesy of Studio Guenzani, Milano; Thomas Dane, London; Luhring Augustine, New York; Marc Foxx, Los Angeles; Galeria Luisa Strina, Sao Paulo; Gallery Koyanagi, Tokyo

Nel guardare le fotografie di Luisa Lambri ci si dimentica del loro soggetto, sebbene sia facilmente riconoscibile. Non sono molte le immagini dell’artista che lasciano in sospeso l’osservatore. Benché tutte siano state realizzate all’interno di edifici, poche concentrano l’attenzione sul proprio soggetto. Questo è un paradosso, visto che da ben oltre un decennio l’apparente soggetto della fotografia di Lambri è l’architettura, talora filtrata attraverso vetro o condensa, scolpita dalla luce o soffusa di colore. L’artista opera una deliberata scelta delle sue angolazioni, preferendo un taglio diagonale, una porta rotante sui suoi cardini, un armadio lasciato socchiuso, un corridoio in prospettiva accelerata. L’angolazione condiziona profondamente la nostra percezione, mentre il riflesso intensifica il nostro senso di fuga visiva dalla costrizione del piano. I punti di vista di Lambri paiono volèe dello sguardo – talvolta in riflessi, talvolta in audaci balzi oltre la cornice. Solo di rado l’artista si misura con una visione frontale, e in tal caso lo sguardo è subito intrappolato in filtri e reti. Più spesso, invece, le sue immagini richiedono un volger del capo, lo scrutare in una profondità che quasi non si riesce a sondare.

Untitled (Gifu Apartments), 2000
Untitled (Gifu Apartments), 2000

Le superfici che racchiudono spazi interni variano da scure a chiare, da opache a lucide, mentre attraggono o deflettono l’attenzione. Luce e ombra si mescolano con colori instabili lungo un corridoio, schizzano pozze su suoli scuri o s’illuminano allorché guardiamo attraverso finestre. Le fotografie di Lambri possiedono una superficie reale che è messa laboriosamente in risalto dall’elaborazione digitale e oppone perpetua resistenza a una facile illusione di profondità. La superficie stampata, poiché sempre impregnata di colore, acquista una densità propria difendendosi dalle distrazioni della prospettiva. Con tale rinforzo le immagini di Lambri osteggiano la trazione della diagonale cara all’artista e affermano la propria piattezza.
Lambri ha fotografato una serie di illustri dimore del Novecento senza mai rivelarle in immagini immediatamente riconoscibili. Il suo approccio a luoghi ben noti a chiunque si interessi di architettura impone un processo di de-acculturazione e il deliberato accantonamento proprio di quegli aspetti che hanno reso alcuni edifici punti di riferimento nel loro campo. Pensiero e disciplina sono processi indispensabili per conquistare un punto di vista in grado di eliminare il cliché e restituire freschezza all’attimo del riconoscimento. I punti d’osservazione di Lambri non si limitano a giocare con abili ritornelli incentrati sul dato familiare; la scelta dell’artista è sempre premeditata in modo da svelare qualcosa che senza di lei avremmo potuto non notare mai.
Anni fa capitò anche a me di fare quest’esperienza nell’osservare alcune sue fotografie di un edificio che da tempo studiavo. Certo di riconoscerne ogni particolare, fui ben presto spiazzato da una fotografia con la Casa del Fascio progettata da Giuseppe Terragni per la città di Como. In un’immagine del corridoio del secondo piano colsi all’improvviso, sospeso nelle lastre di marmo nero che rivestono una rientranza del pianerottolo, un riflesso spettrale del luminoso atrio dell’edificio: qui, d’un tratto, a un’incalcolabile distanza, un’immagine della Casa si librò su una delle sue scure pareti, come se fosse un “altro” quasi tomografico. Prima di allora non avevo mai visto niente di simile né mai l’ho visto dopo; a Lambri va il merito di un’autentica scoperta, poiché questo è di fatto
ciò che la sua foto rivela: qualcosa di non-visto e non-immaginato, eppure evidente all’occhio, un fantasma dell’edificio annidato nel proprio riflesso. Meno spettacolari, ma altrettanto significative sono le immagini di interni in cui l’artista cattura in qualche modo il passaggio dell’occupante, anche quando non ne è rimasto alcun indizio. Lambri non insegue tracce di eventi (per creare un fascicolo di prove legali), invece lascia l’osservatore libero di immaginare mutamenti che non evidenziano né causa né scopo. Gli armadi della De Menil House di Houston comunicano, anche se chiusi, un’impressione della loro vuotezza, e là, dove le porte sono appena lievemente aperte, un senso di tangibile vacuità soverchia la solidità della superficie.
In ugual modo una serie di fotografie raffiguranti il giardino recintato dell’edificio durante un temporale contiene la furia degli elementi e segna l’umidità quasi fosse catturata all’interno di una beuta. Il tempo, osservato in tutti i suoi sfrenati effetti, rimane all’esterno della casa, il cui confortevole teatro offre la visione di un palcoscenico immerso in una violenta bufera.
Per ottenere immagini dotate di tali potenzialità Lambri deve “elaborarle” in studio. Le sue stampe recano traccia di trasformazioni che si spingono ben oltre la semplice rimozione di difetti o la messa a punto di colore e tono: esse pervengono allo status di immagini soltanto mediante processi che si sviluppano “all’interno”, similmente al camaleonte il quale, più che assumere i colori dell’ambiente circostante, vi aggiunge il proprio per creare motivi di cui esso costituisce soltanto un frammento. La fotografia di Lambri schiude appena un po’ la porta di accesso a un interno dell’immagine il quale non rivela bensì nasconde il proprio soggetto. L’architettura, perennemente affascinante in quanto sfugge alla nostra presa, conduce, nelle immagini dell’artista, una vita sonnambolica e continuerà a ossessionare il nostro ricordo di luoghi, siano essi noti o sconosciuti. In un video del 2000, nel mettere insieme la Casa del Fascio e l’Asilo Sant’Elia da lei frequentato a Como quand’era bambina, Lambri fuse il ricordo personale di un luogo con la fantasmica immagine di una cattedrale nel deserto creata dall’architettura del Novecento. A dimostrare la duplice natura del piano piatto dell’immagine – declinato dalla memoria, ma arrestato nel presente – forse nessuna fotografia dell’artista riesce meglio della serie realizzata negli appartamenti progettati a Gifu da Kazuyo Sejima, nei quali imposte interne di legno rotanti su perni ora bloccano la luce ora le consentono di penetrare nella stanza con intensi fasci di fulgore. Che ad avvolgere la luce siano ante orizzontali o a escluderla siano scuri verticali, in ogni caso la superficie dell’immagine comincia a “rompersi” allorché viene consumata dal chiarore. È in tali immagini di Lambri che la fotografia è resa sinonimo di se stessa.

Luisa Lambri è nata a Como nel 1969 e attualmente vive a Milano. La sua opera è stata presentata alla Biennale di Venezia in due diverse occasioni: nel 1999 nell‘edizione numero 48 dal titolo ”dAPERTutto” dove le fu conferito il Leone d‘oro e nel 2003 alla 50a edizione dal titolo ”Sogni e Conflitti: la dittatura dello spettatore”. Sue mostre personali sono state presentate in molte sedi internazionali tra cui il Baltimore Museum of Art, Baltimore, MD; The Menil Collection, Houston, TX; Palazzo Re Rebaudengo, Guarene d’Alba.