area 132 | exhibition

La rete, l’informazione digitale, la presenza, talvolta fin troppo invadente dei social network e, più in generale, i sistemi di comunicazione contemporanei sono profondamente cambiati nel corso degli ultimi venti anni imponendo una profonda riflessione sull’uso dei tradizionali mezzi di trasmissione del sapere quali ad esempio, libri, riviste, mostre ed esposizioni. Qualcuno, in preda alla nostalgia se ne lamenta cogliendo nelle nuove tecnologie l’imbarbarimento e la superficialità della comunicazione contemporanea che racchiude in 140 caratteri pensieri e indicazioni che meriterebbero ben altro spazio. Molti ne gioiscono inneggiando ad un’ipotetica democratizzazione delle informazioni, dimenticando che gli errori e il mancato controllo di veridicità dei contenuti possono risultare dannosissimi e perfino pericolosi in una società dominata dai media. A nostro giudizio questi, come tutti i cambiamenti, devono essere compresi in profondità in modo da sfruttarne in positivo le potenzialità, anche se ovviamente non tutti i risvolti devono essere salutati con interesse solo per il proprio carattere innovativo, anche perché sul campo spesso rimangono molte vittime: testate storiche che purtroppo scompaiono, giornali che ridimensionano il proprio ruolo e la propria capacità di azione, mostre prive di contenuti reali poiché tutte incentrate sulla virtualità.
Talvolta molte questioni si complicano perché non riusciamo con obiettività a comprenderne e ad analizzarne il senso, più frequentemente ancora si confondono i mezzi con i fini. Non è raro incontrare editori per i quali il fine della loro attività sia pubblicare libri o stampare riviste ed il prodotto costituisca il mezzo, un mero strumento; mentre il fine dovrebbe coincidere con la trasmissione di contenuti e idee. Parimenti molte istituzioni culturali ritengono che la loro attività sia racchiusa nel momento catartico dell’esposizione, in realtà non è così, seppur talvolta l’abitudine ci riporti a tali valutazioni. Ora, se in questi convulsi anni di profonda trasformazione del mercato editoriale ritroviamo un po’ di sano equilibrio, non possiamo non constatare come una testata sia, per sua natura, un centro di ricerche che analizza e propone contenuti in relazione ad un determinato argomento e che una rivista (cartacea) altro non sia che una delle possibili modalità di trasferimento delle conoscenze acquisite, mentre la tecnologia ne mette a disposizione altre che richiedono codici e linguaggi adatti alle nuove condizioni
di condivisione del sapere: la rete, le app, le trasmissioni via streaming, ecc. Identica riflessione deve essere fatta in relazione ad ogni attività espositiva il cui fine coincide non già con la mostra – o con l’ipotesi di allestimenti più o meno coinvolgenti che costituiscono lo strumento tradizionalmente utilizzato per il trasferimento delle informazioni – quanto le informazioni stesse e la necessità per i diversi enti ed organizzazioni di diffonderle nel mondo trasformando la conoscenza da un fenomeno di élite (i fortunati che hanno l’opportunità di visitarle) in contributi generalizzati disponibili per tutti.
Tale finalità etica ha un riflesso sulle tecniche e le tecnologie da utilizzare per la diffusione dei contenuti di ogni esposizione integrando le opportunità di una conoscenza reale con le possibilità offerte dalla visione e dalla trasmissione virtuale dei contenuti. Ovvio quindi che i contorni disciplinari di un settore che un tempo si insegnava nelle università con la denominazione, almeno in Italia, “allestimento e museografia“, veda mutare i propri ambiti di intervento offrendo spazi e visioni un tempo non conosciuti. Tutto ciò cambia anche la dimensione spaziale e architettonica di tali luoghi? Non sempre! La questione infatti riguarda più il software che l‘hardware anche se il design non può rimanere naturalmente indifferente ai cambiamenti.