area 113 | benedetta tagliabue embt

architect: Benedetta Tagliabue Miralles Tagliabue EMBT

location: Shanghai, China

year: 2010

A rose by any other name would smell as sweet, come Giulietta sussurra a Romeo nella tragedia di Shakespeare oppure Rose is a rose is a rose is a rose come nel verso di Gertrude Stein? Ed una sedia è una sedia è una sedia è una sedia, oppure la superleggera di Gio Ponti ha qualcosa che non hanno tutte le altre sedie? E quella sedia dà le stesse emozioni sia a me che vivo a Milano che al mio amico Tim Yip che vive a Beijing? Quando FederlegnoArredo – l’associazione dei produttori di interior design che raduna oltre duemila produttori italiani che hanno imposto al mondo intero la loro creatività – mi ha sollecitato ad ideare una mostra di prodotti italiani di design da realizzare a Shanghai in occasione della World Expo 2010, non ho avuto dubbi sul fatto che la porta per entrare nel mondo cinese non poteva che essere la porta del cuore e delle emozioni.
Ecco perché ho invitato Tim Yip a guardare il design italiano con i suoi occhi e ad immaginare una installazione d’arte in una galleria d’arte per parlare prima di tutto con il linguaggio dell’arte. Ogni altra strada sarebbe stata muta, incapace di parlare ad un popolo che da millenni ha esercitato la sua sensibilità a cogliere il senso nascosto, l’emozione, il mistero ancora prima della forma e della funzione. Il risultato di questa contaminazione è nelle foto di Luciano Romano il cui occhio nitido e realistico si sposa con le magiche atmosfere di picchi e terrazze, nebbie ed ombre di un paesaggio in continuo movimento, come quello del Guilin che ha ispirato Tim Yip.
Ma vorrei raccontare qui anche la mia sorpresa quando nell’allestimento di Tim ho visto affiorare – quanto intenzionalmente e quanto inconsciamente non so – la ragione accanto all’emozione. L’installazione, costruita come un viaggio attraverso nove villaggi per celebrare nove incontri senza tempo tra forme del design italiano e magia del paesaggio naturale cinese, si apre con i vassoi argentei della serie “100 piazze” di Fabio Novembre. Le piazze stilizzate delle nostre città, sia Roma o Firenze, Torino o Milano, sono tutte icone dell’architettura italiana a misura d’uomo, immagini stilizzate di una idea di città che è profondamente radicata nella nostra storia e nella nostra cultura. Questa forma di “città come opera d’arte” collettiva e metatemporale, costruita per l’uomo intorno all’uomo, è proprio l’opposto del modello globale imposto dal progresso economico – in crescita vertiginosa ovunque ed anche in Cina – che crea città verticali, anonime, identiche in ogni parte del mondo. “Timeless time” si apre quindi con lo sguardo poetico sulle piazze italiane e si chiude con l’immagine melanconica di un villaggio di grattacieli fittamente abitati. I grattacieli sono librerie senza libri e senza pareti che sembrano lasciare a nudo la vita quotidiana di una umanità smarrita!
Mi piace pensare che quest’ultima immagine dell’installazione, poetica e dolente al tempo stesso, sia come un grido ed al tempo stesso un’invocazione a recuperare una idea di città a misura d’uomo, una idea di life style che torni a mettere al centro il benessere dell’individuo ed il suo bisogno di sognare. Così una sedia potrà profumare come una rosa!

Franco Laera

Tangible and Intangible. A conversation with Tim Yip

Beatrice Papucci: Come è nata l‘idea di una mostra sul design italiano in Cina?
Tim Yip: Quando lo scorso aprile, durante il Salone del Mobile di Milano, ricevetti la proposta dallo studio Change Performing Arts, il loro intento era quello di organizzare una esposizione che desse una lettura del design italiano dal punto di vista critico cinese. Oltre al padiglione italiano all’Expo, desideravano organizzare una mostra sull’arredamento e dopo esserci confrontati, abbiamo scelto come titolo “Timeless Time”, un tema che trascende i limiti temporali e che riesce ad accomunare l‘estetica di entrambe le culture, quella cinese e quella italiana. Rappresentare Cina e Italia, sul piano della percezione estetica e culturale, richiede un lavoro in grado di oltrepassare i limiti temporali; l’Italia dà molta importanza alla produzione manuale e le piccole e medie imprese hanno iniziato a sviluppare prodotti ad alto contenuto artistico e di gusto raffinato, oggetti capaci di resistere al passare del tempo, che appaiono perennemente innovativi possedendo uno stile avanguardistico che riesce a penetrare nel futuro; allo stesso modo anche nella cultura cinese si ricerca la comunicazione tramite un concetto creativo atemporale. La pittura cinese trascende la realtà del soggettto ritratto e penetra nel regno dello spirituale, le forme trascritte sulla carta diventano il riflesso della natura arricchito dalle emozioni. Questa idea mi ha fatto pensare ai paesaggi di Guilin, dove le montagne e i corsi d’acqua vanno a comporre terrazzamenti unici, una natura in continua evoluzione che incarna perfettamente il concetto atemporale di tempo. Partendo da qui ho iniziato ad esplorare le affinità di forma e spirito cinesi e italiane sul piano della cultura estetica, le loro possibilità di permearsi e di comunicare vicendevolmente.
B.P.: Il concetto “timeless time” non corrisponde a una idea così evidente per un pubblico occidentale. Può provare a spiegarlo?
T.Y.: L‘idea di tempo per i cinesi ha una logica mistica particolare che scaturisce dalla comprensione della spazialità. Questo sistema logico è sia scientifico che metafisico. Il tempo si configura come un essere poetico o spirituale anziché misuratore di una sequenza di eventi. Questo si ripercuote sul modo in cui noi guardiamo l‘arte, poiché ricerchiamo in essa un senso di eternità, un valore privo di limiti temporali, che però conserva al suo interno le tracce dello scorrere del tempo. L‘arte e il design italiano si approcciano in un modo completamente diverso; la cultura occidentale tende a ricercare una relazione dell‘oggetto con lo spazio e la meditazione su corpo e anima, quando si fondono, raggiunge un potere che sfida la definizione di tempo. Quando queste caratteristiche diverse si decontestualizzano si raggiunge una condizione di “a-temporalità“.
B.P.: Il concept dell’allestimento si fonda su una sorta di estetica neo-orientale, quali sono le sue chiavi di lettura?
T.Y.: La Cina antica seguiva una filosofia estetica che oggi abbiamo dimenticato, privandoci così di una ricca fonte di creazione; una fonte portatrice di un’infinita forza penetrante per gli oggetti e per il pensiero. Nel momento in cui ho appreso questa forza penetrante, ho cercato di cancellare i modelli fisici e i simboli per entrare nuovamente nel mondo spaziale, utilizzando però lo spazio per creare un dialogo con l’antichità e modellare le forme sulla base di questa idea. Nella concezione estetica cinese, si parla spesso di “viaggio”, cioè di un’ininterrotta trasformazione, un movimento continuo dove il cuore può trovare la propria tranquillità, giungendo allo stesso tempo a un metodo di osservazione di tutti gli esseri viventi. Questo sistema può permeare anche la creazione artistica, facendo sì che l’osservatore possa arrivare a sperimentare il concetto creativo. Nel caso della mostra abbiamo cercato di creare un paesaggio in movimento attraverso la vista, l’udito il cambiamento delle stagioni, ricreando una natura astratta e un’atmosfera nella quale gli splendidi e variegati oggetti del design italiano possono fondersi armoniosamente con l‘idea della pittura paesaggistica cinese.
B.P.: Un allestimento che recupera il paesaggio naturale (con l‘inserimento di montagne e corsi d‘acqua) ma anche le tecniche di composizione del tradizionale giardino cinese. Si tratta di un tentativo di fondere natura e artificio per raggiungere l‘idea di natura dominata?
T.Y.: Molte persone, cresciute in città, hanno un costante sentimento di nostalgia verso la natura. I cambiamenti che la nostra generazione ha sperimentato rappresentano una transizione dal naturale all’artificiale. Stiamo freneticamente creando un mondo artificiale che ha come sua ragione d’essere l’economia. La natura nella sua totalità è svanita, passando attraverso la nostra manipolazione e deformazione. Ogni oggetto prodotto è un pezzo di natura perduto, ma ci dimentichiamo continuamente che ogni filo d’erba e ogni albero sono una delle cause della nostra esistenza, cancellarli in un attimo non avrà ripercussioni soltanto su di loro ma anche su noi stessi. Ognuno spera di trovare un modo per bilanciare lo sviluppo umano con la protezione dell’ambiente, ma in un momento in cui le conoscenze scientifiche non sono ancora mature né messe in pratica vediamo tutto grigio. Durante la preparazione di “Timeless Time” non ho riflettuto solo sulla natura ma anche sull’umanità, che ha accumulato memorie per moltissimo tempo con un’innata aurea di mistero che ne unisce tutte le fila. Anche in un oggetto di arredamento possiamo facilmente ritrovare le speranze intrinseche delle persone, la forma o il contenuto che esse vogliono esprimere. Anche i comportamenti umani si celano in essi e ne rivelano le intenzioni, nascondendosi come un colore di sfondo di un “ukiyo-e” giapponese. Nell‘ultima parte della mostra abbiamo voluto ironizzare su questa idea: case standardizzate con arredi standardizzati duplicati all‘infinito che raccontano cosa sta prendendo piede, nei paesi in via di sviluppo, ai tempi della globalizzazione. Il sogno dell‘uomo che continua a voler decorare il mondo. Anche la scelta del giardino cinese è un’estensione dell‘idea di natura artificiale. Avendo come punto di partenza il flusso del pensiero e come obiettivo d’azione i sensi fisici, abbiamo ricostruito, all’interno di uno spazio limitato, un giardino con rocce, acqua, pareti-ombra, salici che si muovono incessantemente, terrazzamenti eleganti e tranquilli, silenziosi corridoi, sfondi e paesaggi che riflettono il flusso della meditazione. Tutti i giardini costruiti per “Timeless Time” testimoniano la ricerca della natura perduta e cercano di farci rientrare nuovamente in questo mondo di immagini attraverso una ridisposizione dello spazio.
B.P.: Che tipo di legame collega il design italiano alla cultura e alla tradizione cinese?
T.Y.: Fin dai tempi antichi la cultura orientale e quella occidentale si sono sempre sviluppate in due differenti direzioni. La civiltà occidentale, che ha mostrato il suo massimo splendore in Grecia,
si è trovata ad attraversare molteplici correnti: l’Islam, il Cristianesimo, il Rinascimento e attraverso queste fasi l‘Occidente ha trovato un suo modo di relazionarsi al mondo.
Gli occidentali tendono a considerarsi padroni di ogni cosa mentre, al contrario, gli orientali credono che la natura abbia un potere mistico capace di creare una genealogia che ricerca un collegamento metafisico. Questa connessione metafisica è visibile in tutto ciò che li circonda e nei rituali della vita quotidiana. Fin dall’antichità il mondo ‘fisico‘ cinese è sempre stato dominato dal mondo ‘metafisico‘; la creazione di qualsiasi oggetto implica l’inserimento nelle vie del bene e del male che influenzano la vita, pertanto anche la Cina ha prodotto ideologie totalmente diverse da quelle occidentali, come il separarsi dai costumi mondani per ritornare alla natura. Il mondo naturale, per gli occidentali, va compreso grazie alle conoscenze della fisica. In Cina, invece, ci si basa sullo spirito che deve essere in conformità con la fede nella comprensione della percezione estetica della natura. Di conseguenza, le considerazioni pluralistiche della cultura italiana si differenziano nettamente dalla tradizione cinese. L‘una è concentrata sulla volontà del singolo individuo, l’altra ricerca lo stato di negazione dell’”io”.
B.P.: Il numero 9 ricorre in vari modi all’interno della mostra: 99 oggetti, 9 sezioni, l’inaugurazione avvenuta il 9/9, che significato ha questo numero nella cultura cinese?
T.Y.: Il numero 9 in Cina rappresenta l’infinito. La Cina ha sempre avuto, fin dai tempi antichi, una teoria centrale dell’intangibile: utilizzare una logica centralizzante molto semplice per includere il mondo naturale nella sua totalità, generando, sul piano comunicativo, vari tipi di totem attraverso la scrittura pittografica. Tuttavia, poiché il 9 è l’ultimo dei numeri interi, il 10 è un numero che non si potrà mai raggiungere, ecco perché questa mancanza fa sì che il 9 generi la forza dell’infinito. Il 9 ha un significato importantissimo in Cina: è il simbolo dell’eternità prospera e senza fine.
B.P.: Lei ha lavorato con grandi registi come Ang Lee vincendo l’oscar per la scenografie del film  “La trigre e il dragone”, è la prima volta che si cimenta nell’allestimento di una mostra di design?
T.Y.: Alla fine del 2007 ho iniziato a organizzare mostre d’arte personali avvicinandomi a qualcosa di diverso dalla scenografia di un film. La prima è stata “Quieta illusione” tenutasi alla Galleria d’Arte Contemporanea di Pechino. Durante l’allestimento di questa mostra ho iniziato a interessarmi all’interazione tra i visitatori e la mostra stessa, al rapporto tra lo spazio e le opere e alla relazione con lo spettatore. Tutto questo ha preso poi lentamente la forma di un linguaggio spaziale poiché durante l’osservazione delle opere spesso emerge una forza. Questa fascinazione verso la disposizione degli oggetti nello spazio ha fatto sì che accettassi l’invito di Christian Dior a organizzare la mostra per il suo sessantesimo anniversario presso la Galleria d’Arte 798 UCCA, nella quale sono stati esposti un centinaio di abiti disegnati dallo stilista insieme a 22 artisti contemporanei cinesi. In quell’occasione creai l‘installazione di un giardino utilizzando il bambù, un materiale che riusciva a formare un dialogo tra arte e moda. Nel 2009, la mostra “Positivity“ sintetizzava l’idea di ‘assenza di preoccupazione‘ rappresentata dall‘inserimento di un ghiacciaio di 14 metri e del gigante Lili alto 6 metri. Quest’opera ha segnato un nuovo corso nel mio modo fare installazioni, sempre più basato sull‘esperienza della vita quotidiana. Sulla stessa linea concettuale si pone un‘altra mostra dal titolo “Summer Holiday” esposta nel 2010 al Museo di arte contemporanea di Taipei.
B.P.: Che tipo di rapporto ha con l’azienda italiana Federlegno e da quanto tempo collabora con loro?
T.Y.: Ci siamo conosciuti al Salone del Mobile di Milano in aprile e subito dopo è iniziata la collaborazione per “Timeless Time”.
B.P.: Quale è stato il criterio della selezione degli oggetti? Appartengono alla cultura italiana o alle aziende italiane? Sono oggetti storicizzati o di nuova produzione?
T.Y.: Sono tutti oggetti d’arredamento italiani disegnati negli ultimi 10 anni, tra di essi ce ne sono molto noti, ma fondamentalmente sono tutti contemporanei e d’avanguardia, dotati di uno straordinario modernismo.
B.P.: Come si è svolta la collaborazione con Luciano Romano che ha effettuato una lettura fotografica della mostra alla ricerca dei tratti distintivi che connettono la cultura italiana e quella cinese?
T.Y.: Luciano è un fotografo di grandissima esperienza. Poiché dalle sue fotografie emerge il collegamento e la corrispondenza fra le due culture, ha dovuto lavorare sullo studio di diverse visioni. Luciano ha avuto molta pazienza e creatività nel superare queste difficoltà, i suoi lavori sono facili da apprezzare e la loro peculiarità è subito evidente. È un fotografo maturo, raro da incontrare.
Nelle fotografie dei nove scenari si incontrano contemporaneamente il contesto cinese e quello italiano, questo è il principio con cui io li ho progettati. Poiché si scoprivano sempre nuove possibilità comprendevo sempre più, attraverso la visione di Luciano, il sistema di valori e il gusto che gli italiani hanno per le immagini. E allo stesso tempo, all’interno di queste corrispondenze capivo, attraverso le immagini, la trasformazione della Cina alla luce della situazione attuale. In questo rapporto tra le due parti, l’Italia emerge per il design dell’arredamento che ha un fascino maturo insostituibile. Tutte le competenze nella creazione di immagini hanno un’apparenza intatta e fortemente distintiva. Guardare alla Cina rappresenta invece una possibilità ininterrotta di cambiamento, una continua trasformazione delle immagini che, stratificandosi, hanno prodotto una notevole forza dinamica che ci permette di cogliere in un batter d’occhio un po’ della tradizione, uno sguardo lontano verso l’immensità e il progredire del futuro; adottando un atteggiamento di collocazione multipla per assemblare queste numerose possibilità si crea un paesaggio infinito, pieno di contrasti illimitati. All‘interno della mostra la Cina rappresenta l’indefinito, l’Italia il reale e insieme danno luogo a un’interazione che vede un susseguirsi di movimento e pace.