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Paulo Mendes da Rocha, MUBE museum, São Paulo. Photo by Leonardo Finotti

La bellezza del cemento

La parola “cemento” che dovrebbe riferirsi semplicemente al più diffuso e utilizzato materiale da costruzione in realtà evoca, in moltissimi ambiti culturali, scenari e stati d’animo contrapposti.  Solitamente dai media è utilizzato in modo negativo per descrivere l’effetto della speculazione edilizia, della pressione immobiliare e della devastazione del paesaggio i cui effetti sono congiuntamente sintetizzati nel neologismo “cementificazione”. Non c’è pertanto da stupirsi se, nella pubblica opinione, la “questione” assuma ogni volta un carattere sinistro e problematico in grado di evocare circostanze affatto piacevoli. Viceversa restando all’interno dell’ambito disciplinare dell’architettura e dei cultori della materia, la parola assume valori e significati totalmente positivi, liberatori, solidali, perfino poetici. Il cemento, come è noto, è un legante, uno strumento per realizzare il calcestruzzo (impasto di ghiaie, sabbia, acqua e appunto cemento) e, con l’aggiunta dell’armatura in acciaio, dalla fine dell’ottocento, elemento essenziale di qualsiasi costruzione, almeno per la realizzazione delle fondazioni (nel caso di edifici in acciaio o legno); per non parlare degli impieghi strutturali soprattutto in ambito di opere specialistiche, come ponti, trafori, dighe. Ma non è l’aspetto tecnico che in questa sede ci interessa, né le caratteristiche meccaniche o la facilità d’uso che hanno reso il cemento un “materiale universale”, quanto il suo aspetto simbolico ed evocativo, le capacità espressive e narrative di un materiale che nel concedere libertà quasi infinita di comportamento e manipolazione ha introdotto nel fare architettura una responsabilità etica dalla quale oggi non è possibile prescindere, pena la caduta di ogni agire nell’ambito oscuro descritto inizialmente. Se infatti come legante assume un carattere intrinseco alla disciplina del progetto, incentrata appunto sulla composizione e quindi sull’arte del comporre (da com-ponere, cioè mettere assieme), come prodotto industriale, assume addirittura un valore mistico poiché reagisce con l’acqua (elemento indispensabile per l’esistenza) che, in un certo senso, gli “conferisce una propria vita” ed una propria identità trasformandolo in una sorta di materiale lapideo realizzato artificialmente. Nel “prodigioso” passaggio dal fluido al solido, il cemento permette di costruire “pietre” che si rendono indipendenti dal problema della forma assumendo le infinite figurazioni del recipiente che lo contiene, mentre strutturalmente, con l’aggiunta dell’acciaio, produce un complesso composto che consente di realizzare  pezzi di roccia continua, resistente ed elastica da cui si ricavano travi di cemento con maggiori capacità delle travi in legno, “pietre” più performanti di alberi. Certamente se non è il cemento, ma l’ingegno umano, a liberare il problema della forma – basti pensare alle mirabili estroflessioni di pietra e mattoni consegnateci dall’immaginazione di Antoni Gaudí – di sicuro, come materia plasmabile, rende possibile immaginare scenari limite, non euclidei, alchimie costruttive come quelle realizzate da straordinari scienziati come Eduardo Torroja, Pier Luigi Nervi, Luciano Baldessari, Félix Candela, Eero Saarinen, Eladio Dieste, Sergio Musmeci. In effetti, in assenza di questa sottile e finissima “polvere grigiastra”, non sarebbe possibile godere dell’ombra del portico privo di colonne del Museo Mube di San Paolo di Paulo Mendes da Rocha, o ancora, semplicemente a titolo di esempio, ammirarare l’incredibile sbalzo del CCTV progettato da Rem Koolhaas a Pechino, che è sì, interamente in acciaio, ma “sta su” grazie ad una incredibile fondazione in calcestruzzo dallo spessore ipertrofico. Naturalmente tanta libertà, facilità d’uso ed oggi, anche di calcolo, si paga a caro prezzo, così il cemento, al pari di altre invenzioni che si sono largamente diffuse nel corso del XX secolo, è legato allo stesso destino e forse, declino, dell’automobile; ci ha reso capaci di muoversi individualmente, di viaggiare, di conoscere, di sognare e divertirci ma allo stesso tempo ha generato e genera traffico, inquinamento, caos, incidenti. Per questo ogni volta che mescoliamo cemento, ghiaia, sabbia con l’acqua, restando in attesa della conseguente reazione chimica, dobbiamo essere consapevoli della responsabilità che ci assumiamo, poiché quell’impasto può produrre poesia, un semplice riparo o piuttosto desolazione.