area 113 | benedetta tagliabue embt

architect: Benedetta Tagliabue embt (Miralles Tagliabue EMBT)

location: Expo Shanghai

year: 2010

Felicità e progetto
Federica Morgia

“Chi torna da un viaggio non è mai la stessa persona che è partita“. (Antico proverbio cinese)

Il 2010 è stato un anno piuttosto notevole per l’architettura italiana. Kazuyo Sejima viene nominata direttore della XII Biennale d’Architettura di Venezia, Zaha Hadid inaugura il MAXXI a Roma e Benedetta Tagliabue vince il premio per il miglior padiglione alla Expo di Shanghai. Indubbiamente un territorio dal dominio prevalentemente maschile, alla fine del primo decennio del XXI secolo, si apre definitivamente alla presenza femminile non solo come corollario ma, come attore protagonista nell’architettura contemporanea. Se la cifra che caratterizza i progetti di Sejima è il linguaggio sofisticato ed asciutto dell’architettura diagramma realizzata con estrema raffinatezza e gli edifici di Zaha Hadid costituiscono un paradosso geometrico nell’uso estremo di un materiale da costruzione reso duttile dalla sperimentazione figurativa e progettuale, le realizzazioni di Benedetta Tagliabue coniugano un’idea ispiratrice poetica e lieve all’impegno corale e instancabile della sua realizzazione, frutto di un processo complesso e di uno sforzo collettivo. La grande scommessa della vita non è arrivare a ottenere più potere o denaro ma, provare ad essere felici. Vivere è ricercare la felicità. Benedetta Tagliabue conclude una sua recente intervista con queste parole. Questa convinzione si riflette nella sua concezione del progetto d’architettura. La sfida è quella di rinnovare ogni volta la dimensione ludica e appagante del lavorare sui temi che ci appartengono, attraverso i quali stabilire prima di tutto un rapporto identitario con se stessi, lavori che raccontano di sé, delle proprie esperienze, del proprio vissuto. Il progetto è un percorso psicogeografico dentro il quale precipitano i luoghi e gli episodi della propria vita. Sarebbe possibile tracciare delle mappe, a partire dai progetti dello studio EMBT, nelle quali memoria e geografia si intersecano reciprocamente. Nell’esercizio bretoniano del “cadavere squisito”, in cui il concetto successivo si inanella al precedente, riusciamo a rintracciare elementi che accomunano gli uni a gli altri i lavori di Miralles e Tagliabue.
Lo studio EMBT, fondato nel 1997 da Benedetta Tagliabue ed Enric Miralles, ha continuato a lavorare instancabilmente anche dopo la prematura scomparsa dell’architetto catalano avvenuta dieci anni fa. “Non ho sottolineato il momento della morte di Enric l’ho sfumato, desdibujado. Come abbiamo sfumato, sempre, il limite tra la presenza dei nostri edifici e i loro vuoti. Come facciamo nella nostra architettura nel tentare di trovare una continuità con l’intorno. Così, dopo la morte di Enric, abbiamo operato nello studio, negli stessi termini, facendo un lavoro in continuità, nel tempo e sempre vivo”.
Dal 2000 al 2009, lo studio lavora a oltre 148 progetti, una media di più di 16 progetti l’anno, sviluppando fino a costruirli, sia quelli iniziati con Miralles sia quelli del tutto nuovi. I lavori si travasano l’uno nell’altro senza soluzione di continuità in una molteplicità corale di allusioni e rimandi. Il progetto del padiglione spagnolo a Shanghai, che ha nuovamente proiettato lo studio al di fuori dei confini europei dopo le realizzazioni dei primi anni ’90 in Giappone, non avrebbe potuto essere realizzato senza il lavoro di tanti anni sul tema del rivestimento in ceramica sviluppato negli interventi barcellonesi del parco Diagonal Mar e della copertura del mercato di Santa Caterina, mentre la complessità della sua struttura in ferro si è potuta controllare solo attraverso l’esperienza precedente della costruzione del Foyer del Parlamento di Scozia ad Edimburgo. I temi principali attorno ai quali ruotano tutti i lavori più recenti sono quelli del recupero delle radici e delle tracce che connotano i luoghi dove i progetti nascono e si costruiscono. La scelta dei materiali da costruzione è spesso dedotta dai contesti geografici a cui i progetti appartengono o che sono ad essi compatibili, in cui il tema dell’ecologia e della sostenibilità, anche economica, si coniugano. Nel 2007 Benedetta Tagliabue vince il primo premio del concorso per la realizzazione del padiglione spagnolo, secondo premio Izaskun Chillida e terzo Federico Soriano, il lavoro si sviluppa in tre anni in stretta collaborazione con l’ingegnere Julio Martinez Calzón, dello studio MC2 di Madrid con il quale lo studio progetta dalla metà degli anni ’90 e con il quale realizza alcuni tra i più interessanti progetti recenti come la torre del Gas Natural e le barriere antirumore della Gran Via entrambi a Barcellona o la macchina scenografica per lo spettacolo del coreografo Merce Cunningham. La società SEEI, che commissiona l’edificio, stanzia un budget complessivo di 18 milioni di euro per la realizzazione del padiglione spagnolo a Shanghai ed avvia una operazione imprenditoriale molto determinata, per favorire l’apertura del mercato cinese alla Spagna. L‘Esposizione Internazionale, dal tema “Better City-Better Life“, si prefigge di costituire un modello di sostenibilità ambientale e di avanguardia tecnologica. Il progetto nasce dall’idea di accogliere e contenere in uno spazio avvolgente e protettivo, persone e culture diverse. Durante la fase concorsuale in studio ricorrono le immagini legate alla Spagna di fiori, flamenco, della vita “en la calle”. L’idea di una gonna in movimento rimanda alla creazione di uno spazio dinamico e vivo e a un materiale da costruzione che assomigli alla trama di un tessuto. La proposta di EMBT consiste nel trasformare, il metodo di lavorazione artigianale del vimini molto usato sia in Cina che in Spagna, in una tecnica di costruzione, realizzando un ponte ideale tra Oriente e Occidente. Come nella struttura di un cesto, supporti tubolari metallici si auto sostengono a formare la superficie perimetrale alla quale è agganciata la tamponatura in vetro curvato e la schermatura in pannelli di vimini. La struttura interamente smontabile e ricollocabile è costituita da 25 km di acciaio tubolare. La facciata, a pacchetto, costituisce una membrana climatica naturalmente ventilata che scherma dalla luce solare diretta e mantiene costante la temperatura interna impedendone l’eccessivo surriscaldamento. Il padiglione occupa una superficie di 6000 mq e sviluppa 7624 mq su due livelli. La facciata esterna è costituita da più di 8200 pannelli in vimini marroni, beige e neri. Intrecciati a mano dagli artigiani di Shandong, provincia situata nella regione nord orientale della Repubblica Popolare Cinese. Attraverso l’idea di un contenitore primordiale, si sviluppa la concezione di un paesaggio dentro l’edificio, di un vuoto centrale che risucchia i flussi come in uno stomaco. Al centro del padiglione c’è una piazza, un pezzo di edificio senza tetto, che rappresenta la piazza spagnola, lontana dalla monumentalità della Plaza de Toros o della Plaza Real ma, centrale nella vita sociale del barrio, un salotto a cielo aperto dove potersi incontrare e poter stare.
La forma organica, che realizzata ricorda la sagoma zoomorfa di un rettile in movimento, rompe il limite del confine geometrico dentro il quale è contenuto il progetto, che si apre a formare uno spazio completamente permeabile e accogliente. Come accade nelle opere di Land Art, il padiglione di Benedetta Tagliabue ridefinisce e reinterpreta lo spazio circostante, tutto da progettare, per tracciarne i connotati e costruire, attraverso questi, un nuovo paesaggio. Definire i tratti del contesto serve a preparare le condizioni perché un progetto possa funzionare. Lo stesso approccio lo ritroviamo nell’intervento del Campus Universitario a Vigo dove viceversa, gli edifici si precisano a partire dal progetto dei percorsi e dello spazio collettivo. In quest’occasione allo sforzo progettuale si associa un’abile capacità nella gestione manageriale dell’incarico che persuade il committente ad investire nella progettazione paesaggio e non solo degli edifici in esso situati.
La critica contemporanea premia il padiglione di Shanghai con il prestigioso RIBA per la migliore architettura straniera e colloca il lavoro di EMBT in continuità con la tradizione del Modernismo Catalano di Antoni Gaudì. Un doppio registro coniuga l’uso del segno spregiudicato ed espressivo alla capacità di coinvolgere una eterogenea compagine di esperti (decoratori, ceramisti, fabbri, artigiani, ebanisti, falegnami, paesaggisti, artisti, sociologi etc.) alla realizzazione dell’opera. Il protagonismo del disegno si stempera, nella produzione di questi ultimi anni, con la presenza delle cosiddette arti minori. L’intreccio dei pannelli in vimini, lavorati con sapiente destrezza dagli artigiani di Shanong, si compongono come le scaglie sulla schiena del drago per dialogare in un racconto senza tempo né spazio con la matericità dei frammenti di ceramica sui dorsi dei mostri di Parque Güell a Barcellona.

Federica Morgia, phd in architectural design with a Rome based practice. She worked in Spain with J. Navarro Baldeweg and is one of the principals of Officina5_ArchitettiAssociati. Since year 2000, she did some research with the Faculty of Architecture of Rome. In 2007 she wrote Catastrofe: istruzioni per l'uso, in 2008, she's one of curatos of the exhibition Peacebuilding, Architecture in [post] Conflictual Areas; in 2010 she wrote EMBT. Architecture from 2000 to 2010. She had lectured in various universitites and her projects have been published in Casabella, d'A, Industria delle Costruzioni, Arte e Critica.

 

Architecture + Structure 
Julio Martínez Calzón, Carlos Castañon

L‘originale e complessa configurazione architettonica del Padiglione spagnolo per l‘Esposizione mondiale 2010 di Shanghai, in Cina, è costituita da un sistema di superfici spaziali curve di angolazioni diverse che generano una serie di aree concatenate, sia all‘interno che all‘esterno, con uno stile altamente espressivo.
La struttura del Padiglione è realizzata con due reticolati distanziati di 80 cm, costituiti da tubi circolari disposti ortogonalmente. Sorregge direttamente la facciata continua di vetro o il rivestimento a scomparsa sul lato interno e, sul lato esterno, una serie di ampi pannelli di vimini che da un lato garantiscono la protezione dai raggi diretti del sole e, dall‘altro, sono permeabili alla luce, all‘aria e alla pioggia, conferendo così all‘insieme un aspetto esterno molto organico. All‘interno dei volumi generati dalla doppia superficie della facciata strutturale, i pavimenti e i tetti dell‘edificio, che poggiano sugli elementi strutturali del reticolato principale interno o dello strato della facciata, sono realizzati con lastre composite sopra un‘armatura di profilati di acciaio laminato. A queste lastre sono collegati sistemi di travi reticolari verticali, che sono integrati nei divisori degli spazi vuoti centrali convenzionali per gli ascensori e le scale. L‘intero insieme, composto dalla facciata strutturale curvilinea, da lastre e travi reticolari, forma un sistema strutturale globale interattivo, di sostegno e rinforzo, perfettamente in grado di sopportare l‘azione combinata di tutti i carichi a cui può essere esposto: gravitazionale, eolico, sismico, termico e così via. Di conseguenza, la sua concezione strutturale si definisce in termini di un unico corpo, senza giunti di dilatazione di alcun genere. Il Padiglione non possiede seminterrato ed è costruito direttamente su una fondazione superficiale. Al termine dell‘Esposizione, l‘edificio dovrà essere smontato e trasferito in un‘altra sede per essere utilizzato come edificio permanente. Pertanto, la struttura principale è stata progettata in modo da essere realizzata tramite grandi pannelli modulari bullonati insieme per facilitare le operazioni di montaggio e smontaggio. Considerando la natura temporanea dell‘Expo, il progetto dell‘edificio avrebbe potuto essere eseguito in base ad un criterio di durata inferiore a 5 anni e ad un tempo di ritorno di 50 anni per i carichi in questione. Tuttavia, il criterio della durata ridotta è stato applicato solo alle lastre di fondazione e di pavimentazione, che possono essere demolite, mentre per gli altri elementi della struttura, è stato necessario considerare una durata di servizio di 50 anni a causa del loro riutilizzo previsto in un secondo tempo. Un edificio di queste caratteristiche, dove la forma insolita deve essere garantita da una struttura a vista, richiedeva un lavoro di collaborazione molto speciale tra i team responsabili dell‘architettura e della struttura, che hanno lavorato insieme in assoluta armonia per scolpire e strutturare la forma libera del padiglione. Sin dalle fasi iniziali del progetto, durante la fase di gara e fino al termine della costruzione in sito dell‘ultimo elemento strutturale, gli ingegneri strutturisti di MC2 si sono tenuti costantemente in contatto con gli architetti di EMBT, instaurando un dialogo fluido. Dalle decisioni più importanti e difficili discusse con Benedetta Tagliabue fino ai problemi meno rilevanti di tutti i giorni esaminati con il suo gruppo dinamico di architetti, la comunicazione tra i due team è stata constante e molto fluida. Il raggiungimento della forma finale del padiglione e la decisione sulla tipologia strutturale che meglio si armonizzava con la stessa, con una disposizione strutturalmente efficiente ed un aspetto visivo accattivante, è stato il frutto di un costante dialogo tra i team di Architettura e di Ingegneria. Questo dialogo ha richiesto lo sviluppo di nuovi processi operativi e strumenti software che consentissero uno scambio fluido di informazioni.
Le diverse forme che costituiscono il Padiglione spagnolo hanno chiaramente una doppia curvatura. Questi tipi di forme, se utilizzati in modo adeguato, presentano un ottimo comportamento strutturale. Nella ricerca della struttura del Padiglione spagnolo, sono stati presi in considerazione non soltanto l‘efficienza strutturale della tipologia da utilizzare, ma anche la sua semplicità e i costi di produzione e costruzione. Di conseguenza, la principale tipologia scelta in cui la struttura può essere classificata è quella di un doppio reticolo di tubi d‘acciaio curvi ortogonali.
Il padiglione può essere suddiviso in due aree principali, una per il contenuto espositivo (che comprende tre sale espositive, un negozio e uno spazio aperto) e una per gli uffici, chiusa al pubblico. Le tre sale espositive e lo spazio aperto sono caratterizzati dall‘assenza di colonne interne: infatti, l‘unico sostegno per pavimenti e tetti è rappresentato dalle facciate strutturali curve. L‘area degli uffici, benché circondata dalle facciate, presenta un sistema strutturale più convenzionale, con colonne (diritte) interne e un‘armatura di travi.
La struttura tubolare del padiglione ha una disposizione marcatamente spaziale che richiede, oltre ad uno specifico approccio analitico per assicurare un‘analisi ottimizzata del comportamento strutturale del sistema a barre ideale, l‘elaborazione, in parallelo, di un secondo approccio metodologico per i dettagli e le caratteristiche dei giunti, dei sistemi portanti e dei collegamenti strutturali che garantiscano un comportamento conforme ai rispettivi criteri di progettazione ideali definiti.
Tenendo conto delle enormi quantità di questi collegamenti e delle condizioni di interazione dei diversi sistemi tubolari, è stato considerato indispensabile stabilire una serie di condizioni parametriche sistematiche che riflettessero i diversi aspetti di ciascun dettaglio in modo semplificato, dai dettagli più ripetitivi e standard a quelli più singolari.
In virtù della forma libera di questo Padiglione, è fondamentale sfruttare tutti gli aspetti che possano trarre beneficio dalla duttilità dell‘edificio. Per “duttilità“ si intende la capacità di integrare una struttura, determinata da un minimo pratico di energia di deformazione interna dovuta a carichi esterni, nella geometria di una particolare forma.
Nel progetto iniziale è stata rivolta particolare attenzione al processo costruttivo: i tubi sono stati curvati, tagliati e saldati in officina, dove si è proceduto all‘assemblaggio di piccoli pannelli che potevano essere trasportati e facilmente manipolati in sito. La larghezza di questi pannelli costruttivi è stata fissata a circa 4,80 m, infatti sono costituiti da un modulo completo da 2,40 m formato da due nervature o parti radiali e due metà del modulo con i tubi orizzontali. L‘altezza massima di questi pannelli è di circa 7 m.
Una volta in sito, i pannelli vengono collegati insieme verticalmente e orizzontalmente tramite tasselli bullonati con bulloni ad alta resitenza per facilitare sia il montaggio che lo smontaggio di questi elementi al termine dell‘Expo e anche per ridurre la quantità di saldature da eseguire in sito. Solo in casi particolari e per migliorare la presenza strutturale in aree pubbliche come ingressi, corridoi e così via, vengono saldati insieme in modo continuo. L‘intersezione tra i tubi orizzontali (paralleli) e verticali (meridiani) di ogni strato viene eseguita fuori asse, poiché i tubi verticali sono continui mentre quelli orizzontali sono tagliati. È prevista la disposizione sistematica di appoggi a cerniera tra le facciate strutturali e i pavimenti per assicurare che il trasferimento dei carichi dei primi sui secondi avvenga nelle condizioni più favorevoli per tutti gli elementi. I perni di cerniera sono inseriti tra fazzoletti triangolari che sono centrati rispetto ai tubi verticali delle facciate su un lato e rispetto alle travi di estremità sull‘altro. Le travi triangolari sono realizzate tramite lastre di acciaio e aste longitudinali più basse che assicurano una finitura ottimale e una visione complessiva di qualità eccellente. Le travi di estremità invece sono utilizzate per delimitare i pavimenti e i tetti. Normalmente, queste travi di estremità sono costituite da profilati a C mentre in alcuni casi particolari (i tetti) sono profilati a scatola. Il processo costruttivo del padiglione, benché di elevata complessità tecnica a causa della geometria estremamente irregolare e dei sistemi insoliti impiegati, è relativamente semplice. Inizialmente sono state realizzate le fondazioni a base di lastre e piattaforme con una fase precedente di risistemazione parziale e precarico del terreno per tre mesi. Nello stesso tempo è stata eseguita la curvatura e saldatura dei tubi nell‘officina per le costruzioni in acciaio, procedendo al montaggio dei diversi moduli della struttura che sono stati successivamente trasportati in sito e, quindi, collegati tra loro. Questo processo di montaggio dei moduli bullonati insieme è stato concepito originariamente per ridurre la quantità di saldature da eseguire in sito e per facilitare il successivo smontaggio e rimontaggio dell‘edificio. Tuttavia, una volta iniziata la costruzione, l‘Imprenditore alla fine ha deciso di saldare molte delle giunzioni.
Una volta raggiunto ciascun livello dei piani con il montaggio delle facciate strutturali, ad esso è stata collegata l‘armatura dei pavimenti, quindi è stato gettato il calcestruzzo fino al raggiungimento dei livelli dei tetti. I tetti delle sale espositive, senza colonne interne, dovevano essere realizzati su un‘impalcatura provvisoria che non poteva essere rimossa fino al completamento di tutti i tetti, in quanto era necessario che l‘intera opera fosse in grado di sopportare il proprio peso. Tutta la tecnologia alla base dell‘analisi, della produzione e della costruzione della struttura del Padiglione spagnolo contrasta in modo sorprendente con i pannelli di vimini che rivestono l‘edificio. Tuttavia, benché ciascuno degli 8500 pannelli di vimini sia stato realizzato a mano, la loro definizione, in termini sia di forma che di posizione sulla facciata, ha richiesto l‘uso, da parte del team di architettura, di un software di manipolazione 3D all‘avanguardia.
Nel progetto architettonico e strutturale si è rivelato di importanza fondamentale il ruolo svolto dal software, sia quello di tipo commerciale che quello sviluppato appositamente per questo progetto. In un primo momento, la forma è stata concepita come superfici geometriche NURBS (“Non-Uniform Rational B-Splines“) nel software Rhino del team di architettura. Dopo la manipolazione della forma, le superfici sono state tagliate da piani verticali e orizzontali che hanno dato origine a curve che hanno definito l‘asse dei tubi strutturali corrispondenti.
In tal modo, la forma a doppia curvatura è stata ottenuta attraverso la combinazione di due famiglie – orizzontali e verticali – di tubi a curvatura singola, semplificando la produzione nell‘officina delle costruzioni in acciaio. A partire dal modello geometrico 3D generato dal team di Architettura nel software Rhino, il modello strutturale viene creato, manipolato ed analizzato, fornendo il feedback al team di Architettura in un processo iterativo in cui vengono messi a punto i valori relativi alle dimensioni, alla resistenza e alla geometria. A tal fine, è stato utilizzato un software di analisi strutturale appositamente sviluppato. Questo modello geometrico è stata utilizzato successivamente dall‘officina per la realizzazione dei componenti che richiedeva una definizione geometrica precisa. Pertanto, un unico modello geometrico ha rappresentato il linguaggio di comunicazione tra progettazione architettonica, progettazione e analisi strutturale e costruzione in officina. La progettazione di una forma libera fornita dal team di Architettura richiede un approccio di larghe vedute per la sua struttura, che tenti di individuare il sistema strutturale archetipale più idoneo – o una combinazione di sistemi – che meglio si armonizzi con la sua geometria, sfruttando la sua stessa forma. Questo approccio, che può essere definito la ricerca della “duttilità“ della forma, è possibile solo attraverso uno studio approfondito del comportamento strutturale intrinseco che una forma può causare, un processo assistito in modo significativo dall‘utilizzo di un software flessibile per computer.

Julio Martínez Calzón is prof. Dr. Structural Engineer and President of MC2 Engineering Consultant Office in Madrid. With a experience of more than 40 years in designin bridges and special structures, he has collaborated with many world-renowned Architects such as Norman Foster, Santiago Calatrava, Rafael Moneo, leoh Ming Pei, Juan Navarro Baldeweg, Tadao Ando, Arata Isozaki and others. Some of his most remarkable works are: Palau Sant Jordi (Isozaki), Collserola Tower (Foster), Canal Theaters (Navarro Baldeweg), Torre Espacio (Pei, Cobb, Freed and partners) and the Spanish Pavilion for the 2010 Expo in Shanghai (Miralles Tagliabue EMBT).

Carlos Castañon is a Structural Engineer and Director of MC2 Engineering Consultant Office in Madrid. He has worked together with Julio Martínez Calzón for the past eight years, collaborating on several bridges and special building projects. He has been the engineer in charge of the structural design  and analysis of the spanish Pavilion for the 2010 Expo in Shanghai, and currently collaborates with Miralles Tagliabue EMBT on several other projects.